Salta al contenuto

Periodica Magazine: lo spazio per il dialogo aperto

Sessualità e autismo attraverso l'esperienza di Red Fryk Hey

Sessualità e autismo attraverso l'esperienza di Red Fryk Hey

Attraverso l’esperienza di Red approfondiremo un tema ancora considerato un tabù per le persone autistiche e disabili: la sessualità.Secondo le più recenti ridefinizioni dell’autismo (Singer, 1998), esso va inteso in termini di neurodiversità o neuroatipicità e non più di disturbo, malattia. L’autismo, infatti, è solo uno dei tanti modi in cui la mente umana può funzionare. Non è altro che una normale variazione neurologica al pari di razza, genere e sessualità. Per questo motivo, l’autismo non ha cura: perché non è una malattia. Il movimento per le neurodiversità si pone come obiettivo proprio quello di modificare la percezione tradizionale delle persone neurodivergenti, cambiare gli stereotipi negativi identificando talenti e bisogni della persona. Inoltre, ha lo scopo di valorizzare gli individui emarginati e far sì che venga attribuito loro il giusto valore all’interno della società, in quanto costituiscono anche loro una risorsa. Gli attivisti si impegnano quotidianamente a superare le rappresentazioni errate, legate, ad esempio, all’immagine dell’autistico con disabilità cognitiva, con disturbi del linguaggio o dell’apprendimento. Proprio per questo motivo, le persone autistiche che non hanno altri disturbi, faticano ad essere riconosciute tali. La diagnosi, in questi casi, arriva ancora troppo tardi, o non arriva mai.   La diagnosi tardiva di autismo: l’esperienza di Red Fryk Hey Questo è il caso della storia di Red Fryk Hey, la quale ha ricevuto la sua diagnosi a 31 anni. Fino a quel momento Red ha vissuto male, non tanto per la sua condizione, ma perché la società la disabilitava, non riconoscendo la sua diversità e il suo modo differente di percepire suoni, colori, le interazioni con le altre persone. Sentiva di “non essere creduta”. Red (nome derivante dal colore rosso, il suo preferito) è nata a Cuneo ed è ballerinə, insegnantə, coreografə e attivista per i diritti delle persone autistiche. Ama profondamente l’Hip Hop come cultura e le piace esprimere questa passione sia attraverso il lavoro coreografico che con il freestyle. Spazia dalla danza contemporanea alla sperimentazione. Il tutto condito da energia, stile, tecnica, umiltà, passione, impegno, allenamento costante e determinazione: ingredienti che hanno reso Red unə professionistə affermatə nel settore della danza. Ha vinto numerose competizioni a livello sia nazionale che internazionale, sia in qualità di danzatricə che di coreografə. La divulgazione di Red sui social network Quando si parla di autismo l’informazione non è mai troppa, anzi spesso è poca e sbagliata. Per questo Red, tramite i social network, specialmente Instagram, tiene particolarmente alla missione divulgativa. Sulle sue pagine condivide soprattutto il suo interesse principale e la sua professione: la danza. Uno strumento attraverso il quale cerca di coniugare il mondo della danza con il mondo dell’autismo. Tramite questa azione di condivisione Red sta piano piano scardinando tutti quei pregiudizi che non consentono alla persona autistica di essere riconosciuta in quanto tale. Red ha deciso di condividere con noi la sua esperienza e di affrontare delle tematiche che costituiscono dei tabù quando si parla di autismo: la sessualità.   Red, come hai vissuto l'arrivo del menarca e come lo vivi tuttora?Lo attendevo tantissimo, soprattutto perché le mie compagne di classe che mi bullizzavano avevano già vissuto questa esperienza e io no. Una volta arrivato il momento ho tirato un sospiro di sollievo. Nei mesi successivi, essendo io una persona non binary, ho iniziato a ripudiarlo a tratti e vivo le mestruazioni così tuttora. A livello sensoriale non percepisco dolore, solo molto gonfiore fastidioso.   Come hai vissuto la tua sessualità con l'inizio dell'adolescenza?In famiglia era un argomento tabù ed ero convintə fosse un peccato fare sesso, a causa della mia famiglia cristiano cattolica. L'ho vissuta con senso di vergogna ed imbarazzo per questo motivo, pur essendo stata una persona molto curiosa. Però tutto mi affascinava, soprattutto quelle sensazioni fisiche così forti, prima, dopo e durante.   Quando eri impegnatə in delle relazioni, cosa ti faceva sospettare della tua neurodivergenza? E gli altri notavano questi aspetti?Mi veniva continuamente detto che pareva la mia mente non smettesse mai di essere in movimento, anche durante l' intimità.Il mio modo di comunicare, a rimando dei partners, passava dall'essere intenso all'essere assente. Non riuscivo a relazionarmi con le loro famiglie, soprattutto se legate al contatto fisico e alle regole sociali tipiche. Non comprendevano le crisi che avevo a volte quando ero espostə a troppi stimoli sensoriali. Inoltre il mio modo di socializzare con i loro amici e le loro amiche non piaceva mai, soprattutto perché io sottolineavo quanto mi mettesse a disagio stare con loro e quanto non mi interessava far parte di un gruppo di persone. Non comprendevano come talvolta descrivevo le mie emozioni e la realtà.   Com'è cambiato il rapporto con il tuo corpo da quando hai ricevuto la diagnosi (se è cambiato)? Non ho un buon rapporto con il mio corpo e non è cambiato dopo aver scoperto di essere autisticə. Il momento in cui ho un buon rapporto con esso è quando danzo!   Hai avuto esperienze all'interno di relazioni amorose e/o rapporti sessuali dove ti sei sentitə discriminatə? Sì, inconsapevolmente per via delle mie caratteristiche autistiche e la mia percezione, per il mio essere non binary e...ho anche subito un abuso.   Cosa pensi debba cambiare quando si parla di sessualità e autismo? Smettere di infantilizzarci. Spesso proprio non si parla di sessualità e autismo perché si parla di noi persone autistiche come se fossimo sempre bambinə.   C'è qualche altro messaggio in particolare che vuoi mandare riguardo questo argomento? Ascoltate le persone autistiche che vogliono e possono raccontare la propria esperienza in ogni ambito.   L’autismo è un universo ancora da esplorare e ancora molto poco conosciuto, pregno di pregiudizi. Gli attivisti danno voce anche a chi una voce non la ha, ma è ancora predominante la concezione dellə autisticə come una persona con disabilità. Per questo, ci auguriamo che le storie come quelle di Red vengano diffuse sempre di più allo scopo di sensibilizzare sul tema e di non ridurre le persone autistiche alla loro condizione.   ANTONELLA PATALANO

Saperne di più
Ciclo mestruale e yoga: i consigli che non ti aspetti

Ciclo mestruale e yoga: i consigli che non ti aspetti

  Praticare yoga fa bene alla salute, ormai lo sappiamo. Lo leggiamo sui social, ce lo dicono l* nostr* amic*, lo abbiamo provato di persona. Chissà perché però per x ragioni quando arrivano le mestruazioni all’improvviso praticare yoga, fare sport, qualsiasi cosa diventa molto più difficile. Nessuno sa meglio di noi stess* cosa è meglio per sé durante le mestruazioni, alcun* di noi si sentono molto stanch* o hanno mestruazioni molto dolorose che non consentono di fare attività fisica; tante altre volte però ci sentiamo bloccat* dal senso di imbarazzo, dalla paura di macchiarci, o perché ci hanno detto che “quando hai il ciclo” stai a riposo o non fare “questo o quello”.  Il ciclo mestruale ha una durata che varia dai 25 ai 35 giorni: ha inizio con il primo giorno della mestruazione e termina il giorno precedente alla mestruazione successiva. Il ciclo mestruale è poi caratterizzato da quattro fasi: la mestruazione, la fase follicolare, l’ovulazione e la fase luteale. In ognuna di queste fasi, il nostro corpo, impegnato in attività diverse, di cui sono protagonisti ormoni diversi, reagisce diversamente.  Al contrario di quello che spesso siamo portat* a credere, la fase mestruale non è quella in cui necessitiamo di più riposo o in cui necessariamente siamo fiacch* e stanch*, anzi molto spesso è vero proprio il contrario (sempre tenendo a mente che siamo tutt* divers*). Questo per dire che quando scegliamo quando e come muoverci, facciamolo partendo dall’ascolto di noi stess* e di come ci sentiamo veramente. Se facciamo parte del gruppo “ho le mestruazioni e non le sento” (beat* voi!! ma spoiler alert dovrebbe essere così per tutti), questo periodo dedicarsi a pratiche energizzanti e dinamiche, ma non eccessive, è l’ideale. Per farvi un esempio una classe da 30-60 minuti di vinyasa yoga o di hatha flow sono delle opzioni perfette.    Se invece facciamo parte del gruppo “ho fastidio, anche verso il mondo” (ti capisco), lo yoga ti può aiutare a stare meglio. Ecco una piccola sequenza che può aiutarti a gestire i dolori, da eseguire con calma, in maniera dolce e delicata, sempre ascoltando se stess*: Allungamento laterale: da sedut* porta una mano a terra in linea con il gluteo e allunga il braccio opposto verso l’alto. Inspira profondamente e allungati verso il lato della mano poggiata a terra. Ripeti dal secondo lato. Posizione del piccolo cobra: da posizione prona, con i piedi distanzi alla larghezza delle anche, porta le mani sotto le spalle e solleva testa e petto dal pavimento. Mantieni il petto aperto e le spalle basse, concentrandoti sull’allungamento delicato della parte frontale del corpo, in particolare dell’addome.  Posizione del cammello modificato: portati sulle ginocchia, con i fianchi in linea con le ginocchia e le mani ai fianchi. Radica leggermente il coccige e porta lo sterno verso l’alto, aprendo bene il petto e allungando in maniera dolce e delicata la parte frontale del corpo. Posizione della foglia: porta gli alluci uniti, i glutei sui talloni e le ginocchia divaricate. Poggia la fronte a terra e allunga le braccia di fronte a te. Se sei più comod* porta un cuscino sotto addome e fronte. Chiudi gli occhi e respira profondamente, cercando di lasciare andare ogni tensione.  Se anche tu, come tant* di noi, non ti senti a tuo agio durante le mestruazioni a fare sport perché hai paura delle macchie, dei rumori, degli odori, ricordati che è tutto normale!È capitato a tutt* almeno una volta di macchiarsi, e magari in altre situazioni, e sono sicura che non è successo nulla di poi così grave, vero? I rumori, l’aria dalla vagina, hanno un nome. Si chiama queefing, può avvenire durante i rapporti, ma sì, può succedere anche facendo sport o facendo yoga, soprattutto facendo asana in cui si sollevano le gambe. È piuttosto comune, è solo aria intrappolata che esce, niente di preoccupante. Pensiamola un po’ come quando sudiamo facendo addominali e la schiena fa rumore a contatto con il tappetino, niente di più! Ancora una volta il mio consiglio rimane sempre quello di ascoltare noi stess* e decidere sulla base di quello che ci sentiamo di fare e di cosa ci fa stare bene, anzi meglio!   Martina RandoCo-founder Yome e Insegnante Yoga  

Saperne di più
Female gaze e film delle Barbie

Female gaze e film delle Barbie

Queer culture e rivendicazione di genere nella nostra infanzia C’è stato un momento in cui tutte noi bambine (e personcine queer) nate fra gli anni ‘90 e 2000 siamo diventate pazze per i film delle Barbie. Barbie la Principessa e la Povera, Barbie e le dodici principesse danzati, Barbie e il Lago dei cigni, Barbie e il Castello di Diamanti, Barbie e la magia di Pegaso, e così via, i film delle Barbie ci offrivano scenari onirici rosa e scintillanti fatti di diademi e coroncine fatate a cui tutte guardavamo con stupore, ammirazione e desiderio. Ma che c’entrano i film delle Barbie con il Female Gaze? Ma che cos'è il Female Gaze? Innanzitutto, il Female Gaze è un approccio cinematografico, di origine femminista, in cui i tre sguardi che caratterizzano la scena, quello della regista, dell’attrice e della spettatrice, sono femminili. É bene precisare che più che il genere di questi tre soggetti, quello che importa è la rappresentazione che viene fatta delle donne: non come corpi oggettificati, ma come soggetti dotati di agency. Nasce in contrasto alla rappresentazione cinematografica tradizionale, definita ora Male Gaze, di cui praticamente tutta la cinematografia mainstream è un esempio, a volte in modo più evidente, a volte più velatamente. In questi film il taglio della ripresa si focalizza sul corpo delle donne anziché su quello che dicono, spesso offrendo una collezione di primi piani di parti di corpi sessualizzati in slow motion. I ruoli femminili spiccano innanzitutto per la bellezza dell’attrice, non per la caratterizzazione del personaggio, che è spesso tipizzato e stereotipico: il rapporto fra i ruoli di genere uomo-donna rientrano nella narrativa attivo-passivo cara alla cultura eteronormata, la camera priva i personaggi femminili dell’autonomia e della possibilità di autodeterminarsi. Il pubblico si identifica nel punto di vista del genere privilegiato, che diventa così il punto di vista naturale e “imparziale”: lo sguardo maschile è lo sguardo universale. Ma come dare spazio, articolare, lo sguardo femminile? Non basta mettere una donna protagonista in un film d’azione, magari in una tutina attillata, come non basta capovolgere il paradigma: non è sessualizzando i corpi maschili alla Magic Mike che si ottiene un Female Gaze, ma solo un Male Gaze applicato ad altri uomini. La camera del Female Gaze è focalizzata sul cosiddetto feeling seeing, come spiega Joey Soloway, regista, direttorə e produttricə statunitense, in un suo celebre TIFF Talk: una camera soggettiva che ci mostra il viaggio emotivo dellə protagonista da dentro, ci permette di sentire e vedere cosa sta provando; le emozioni hanno priorità sulle azioni. Si potrebbe dire che se il Male Gaze tende ad oggettificare le donne, il Female Gaze tende ad umanizzare gli uomini. Ma torniamo alle Barbie. Per quanto mi riguarda, i film delle Barbie occupano un posto speciale nel mio cuore perché hanno segnato la conclusione di un periodo della mia vita, l’infanzia. Sono stata l’ultima cosa “da bambina” che ho apprezzato, prima di rinnegare completamente la mia femminilità nella preadolescenza e iniziare ad allontanare tutto ciò che era vagamente metaforicamente rosa. Ho rimparato ad amarli e a rivendicarmeli da poco. Ma cosa spaventava così tanto la me dodicenne di quell’ingarbuglio di canzoncine in controvoce, scarpette da ballo e gonne ampie? Penso che la risposta sia: la loro eccessiva femminilità, che la misoginia interiorizzata regalatami dalla società patriarcale a cui mi affacciavo a dodici anni, mi ha insegnato subito a disprezzare. Perché se lo sguardo universale dominante è quello maschile, tutto ciò che non è stato diretto, interpretato e non ha come fruitore l’Uomo, cioè non presenta i caratteri tipici del Male Gaze, diventa frivolo, non interessante, superficiale, anche implicitamente degradante. “Roba da ragazze”. E Barbie, avvolta nel suo tulle rosa, trotterella a tutto gas fuori dal Male Gaze, lo stordisce a colpi di glitter, passi di danza, vulnerabilità ed espressione emotiva. Il mondo dei cartoni delle Barbie è fondamentalmente uno spazio in cui il punto di vista maschile (tradizionalmente inteso) non è protagonista, o proprio non è presente. Un luogo in cui lo sguardo, le emozioni e i sentimenti della bambina, o personcina queer, diventano importanti, centrali. Ma come si articola il Female Gaze nei cartoni delle Barbie? Dato il target, i film delle Barbie hanno come protagoniste indiscusse le relazioni di amicizia femminile, che vengono rappresentate come rapporti sociali orizzontali, egualitari, bilanciati. Il pubblico si identifica nella prospettiva femminile e il taglio cinematografico mette in luce il significato di essere donna nell’universo Barbie. E seppure le relazioni romantiche eterosessuali siano spesso presenti nel sottofondo, non rappresentano mai il fulcro della trama. I personaggi maschili ci sono, ma non rivestono ruoli determinanti né esercitano oppressione, agiscono spesso in posizione di alleato. Non esistono dinamiche di potere fra generi, Barbie non deve rivendicare il suo ruolo di protagonista impersonando le caratteristiche della mascolinità tossica performante che il Male Gaze impone ai protagonisti maschi: si mostra vulnerabile, premurosa, sognatrice, mette in discussione le sue scelte, sbaglia, è in grado di perdonare e perdonarsi. Ma vediamo qualche esempio. Riporterò le mie considerazioni sui miei due film delle Barbie preferiti, che alla fine sono anche quelli più dichiaratamente queer e in cui il Female Gaze è più evidente. Barbie e il Castello di Diamanti e Barbie - la Principessa e la Povera. Il primo racconta la storia di due “amiche” inseparabili che vivono in una casetta cottagecore, semi-isolate dalla società. Durante il corso del film devono affrontare diverse sfide che mettono a dura prova il loro rapporto, ma alla fine il loro legame trionfa e le due possono riunirsi.   Il tema principale è indubbiamente la celebrazione della relazione fra donne, che viene proposta in modo spontaneo, semplice, quotidiano, in contrasto con la rappresentazione cinematografica mainstream che tende a demonizzare e devalorizzare i rapporti femminili ritraendoli come complicati, insidiosi, maliziosi. É facile per una persona queer identificarsi in questo film in particolare perché tutte le dinamiche rappresentate prescindono dagli schemi sociali patriarcali tipici del Male Gaze: a differenza di altri cartoni Barbie, le due protagoniste si mostrano completamente disinteressate nei confronti di potenziali relazioni eterosessuali, sebbene si presenti l’occasione (ironicamente inoltre, a metà film saltano su un arcobaleno magico lasciando indietro i due ragazzi che si erano offerti di accompagnarle nella missione). Identificazione che viene rafforzata quando, alla fine del film, dopo una scena romantica strappalacrime che vede una protagonista salvare l’altra da un incantesimo grazie al potere dell’”amicizia”, le due rifiutano l’offerta di restare a vivere nel Castello di Diamanti. Tutto ciò che desiderano è infatti tornare alla loro casetta nel bosco dove possono vivere da sole, coltivare fiori e cantarsi canzoni d’amore reciprocamente (più bella fra tutte, Connected: “Every time that I breathe/ I can feel the energy/ Reachin' out, flowing through/ You to me and me to you/ You are everywhere I am/ Separate souls unified/ Touchin' at the speed of life”). Barbie - la Principessa e la Povera è una storia di giochi di potere, scambi di persona, regni in banca rotta. La trama si articola su due ragazze, nate lo stesso giorno ed identiche in tutto ma provenienti da due classi sociali radicalmente diverse, che dopo essersi conosciute casualmente, si scambiano i ruoli e le rispettive vite, da cui entrambe vorrebbero di scappare. I temi fondamentali sono l’autodeterminazione, la ricerca della libertà, l’affermazione dei propri desideri. Le due protagoniste infatti, si sentono costrette a rivestire un ruolo che la società ha loro imposto: la canzone rivelatoria “I am a girl like you” mette in luce il profondo legame che nasce fra le due quando si rendono conto di subire la stessa ingiustizia sociale, schiacciate reciprocamente nel ruolo di futura moglie di uno sconosciuto, e di operaia sottopagata sommersa di debiti (“I'm just like you/ You're just like me/ There's somewhere else we'd rather be/ Somewhere that's ours/ Somewhere that dreams come true/ Yes, I am a girl like you”). Un’altra tematica che viene toccata nel film, e che ancora una volta incoraggia l’identificazione delle persone queer, è l’accettazione di sé stessə attraverso la celebrazione della diversità: il gatto di una delle due protagoniste abbaia anziché miagolare, e questo è causa di disagio per l’animale, perché sente che la sua vera identità non rientra in una categoria specifica e normata (né cane, né gatto). Erica, una delle due protagoniste, prontamente intona una canzone attraverso cui lo sprona a non cambiare, a ricordarsi che “diverso” non significa “brutto”: “If you bark, celebrate it,/ Make your mark, serenade it/ And if what you are is a strange you/ Doesn't mean you should change you/ Only means you should change your point of view”. L’eroina si dimostra alleata e affettuosamente solidale in un momento di vulnerabilità dell’amico gatto: “There is not one hair of you/ That I would rearrange/ I love you the way you are/ And that will never change.” Perciò, si può dire i film delle Barbie rappresentino l’avanguardia dell’inclusività o della decostruzione del Male gaze in ambito cinematografico? Sarebbe piuttosto approssimativa e incorretta come lettura: Barbie, infatti, promuove un ideale di femminilità specifico e tradizionale, oltre che privilegiato ed escludente (una donna bianca, cis, magra, abile). E anche nei cartoni, alla fine non viene mai distrutta la gabbia sociale in cui i personaggi si trovano all’inizio, le storie non lasciano spazio ad interpretazioni più profonde del contesto sociopolitico in cui si articola la vicenda. Barbie non è una rivoluzionaria, non vuole davvero rompere gli schemi, sovvertire un sistema in cui non si identifica. E questo è chiaramente dovuto al fatto che tutto l’impero Barbie poggia, comunque, su un ideale individualistico liberale, che non ha davvero interesse nel provocare una riflessione critica complessiva nellə piccolə spettatricə. Perciò vanno condannati in toto? Direi di no. I cartoni delle Barbie hanno offerto e offrono comunque uno spazio sicuro alle personcine queer e alle bambine al di fuori dal Male Gaze, in cui possono sentirsi rappresentatə, avvoltə da un caldo e profumato abbraccio rosa pastello. Hanno dato a persone come me, prima di entrare a dodici anni in contatto con le dinamiche stereotipiche di genere della società eteronormata, la possibilità di immaginarmi ad esempio a convivere con una ragazza in un bosco mangiando pane e marmellata per sempre. E questo prima che articolassi una riflessione di qualsiasi natura sul mio orientamento romantico. Perciò non penso abbia senso condannare le ragazze e le persone queer che ora ricordano affettuosamente i film delle Barbie come qualcosa in cui nella loro infanzia si sono identificate. E per questo, tutto sommato, li rivendico.   VALERIA REGIS   Hanno ispirato l’articolo: Joey Soloway on The Female Gaze, MASTER CLASS, TIFF 2016: https://www.youtube.com/watch?v=pnBvppooD9I&t=2602s Barbie and the straight-to-DVD movie: pink postfeminist pedagogy: https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/14680777.2016.1178158?needAccess=true Overanalyzing the Barbie Movies: https://www.youtube.com/watch?v=ZION_-IsJro

Saperne di più
5 CONSIGLI PER AVERE CAPELLI PERFETTI DURANTE IL CICLO

5 CONSIGLI PER AVERE CAPELLI PERFETTI DURANTE IL CICLO

Quanto può il ciclo mestruale incidere sul cambiamento dei capelli? Abbiamo parlato con Shampora, una realtà tutta italiana che si occupa di cura del capello, realizzando prodotti 100% personalizzati per te. Insieme abbiamo approfondito quelle che possono essere le interazioni tra ciclo mestruale e capelli. Esiste una correlazione tra capelli e ciclo mestruale? Partiamo da un presupposto: ogni persona e ogni corpo è diverso, per questo non esiste una situazione “standard” che si verifica durante le mestruazioni per quanto riguarda capelli e cuoio capelluto. Infatti, ognuno di noi risponde in modo differente! Diverse sono le persone che notano, però, un cambiamento nella propria chioma correlata all’arrivo delle mestruazioni.Innanzitutto, per capire la correlazione tra cuoio capelluto e ciclo mestruale, dobbiamo parlare di ormoni: i nostri capelli, così come la nostra pelle, cambiano anche in base a loro. Gli ormoni, infatti, influenzano non solo il nostro corpo e la nostra mente, ma possono influenzare il ciclo di crescita dei capelli, la produzione di sebo e il ricambio cellulare. Come le mestruazioni influenzano i capelli e il cuoio capelluto? Oltre a riscontrare eventuali dolori, umore ballerino e spossatezza generalizzata, le mestruazioni potrebbero non risparmiare nemmeno i nostri capelli e il nostro cuoio capelluto.Prima delle mestruazioni, il nostro corpo produce un livello più alto di androgeni (ormoni maschili) – in particolare testosterone. Il testosterone ha diverse funzioni tra cui quella di aumentare naturalmente la produzione di sebo. I capelli potrebbero subire un appesantimento dovuto a un accumulo maggiore di sebo sul cuoio capelluto durante il periodo premestruale, apparendo, soprattutto nella parte superiore in zona radici, più piatti, oleosi e tendenti a sporcarsi più velocemente. Durante le mestruazioni, invece, si verifica un abbassamento improvviso degli estrogeni (ormoni femminili) e dei livelli di ferro e minerali presenti nel nostro corpo che, in combinazione a un aumento di stress e stanchezza fisica, possono portare a indebolire il capello, che potrà apparire più spento e infragilito e, in alcuni casi, si potrebbe riscontrare anche un aumento della caduta dei capelli. Niente panico, però, i capelli in questo caso ricrescono da soli! Quello che possiamo affermare con certezza è che gli ormoni sono tra i principali protagonisti durante le mestruazioni. Quando queste iniziano, condizionano anche il nostro cuoio capelluto, che potrebbe tendere a essere più sensibile e soggetto a irritazione. Ovviamente, ogni corpo è diverso e così il proprio livello di ormoni: alcune persone potrebbero notare un aumento del sebo nella settimana prima dell’inizio delle mestruazioni, altre durante le mestruazioni, altre ancora potrebbero non notare una vera e propria differenza rispetto agli altri giorni. Insomma, ogni persona ha la propria esperienza unica!   5 consigli utili per mantenere i capelli in salute durante il ciclo? Per mantenere al meglio capelli e cuoio capelluto durante le mestruazioni, il team di Shampora ha creato una lista di 5 consigli da tenere a mente: Non fare pettinature che tirano i capelli: i capelli, durante le mestruazioni, sono di fatto più deboli e tendono a cadere più facilmente. Prediligi delle acconciature morbide come le trecce o lascia semplicemente la chioma sciolta.  Evita prodotti troppo aggressivi: meglio utilizzare shampoo con tensioattivi delicati. Questi risultano più gentili sul cuoio capelluto durante le mestruazioni e prevengono l’eccessiva eliminazione del sebo naturale che protegge i capelli. Anche se senti il bisogno di lavare i capelli tutti i giorni, non farlo: cerca di lavarli al massimo 1 volta ogni due giorni per non rimuovere eccessivamente il sebo “buono” che mantiene in salute la chioma. Segui una dieta bilanciata: assumi tante vitamine, ferro, acido folico, vitamina c, zinco e biotina. Conduci una dieta ricca di verdura, frutta e proteine! Cerca di ritagliarti del tempo per riposare: dormire ed allentare lo stress durante il ciclo mestruale (e non solo) è importante per abbassare l’indice di cortisolo (ormone dello stress) che ha un ruolo fondamentale nella regolazione del ciclo di vita del follicolo pilifero. Un suo aumento, infatti, potrebbe portare a una riduzione nella formazione del follicolo e un’accelerazione della degradazione di sostanze necessarie per il benessere dei nostri capelli. Ciò può causare disordini e disfunzioni nel normale ciclo di crescita del capello con l’effetto di un possibile aumento della caduta. Per scoprire più di questi consigli, visita il sito di Shampora! 

Saperne di più
HAI MAI PENSATO DI RALLENTARE?

HAI MAI PENSATO DI RALLENTARE?

“The ideal candidate should be able to work in a fast-paced environment”.  Una delle frasi che leggo di più quando, distrattamente, controllo le nuove offerte di lavoro settimanali: “Lə candidatə ideale dovrebbe saper lavorare in un ambiente lavorativo dinamico”. Ed effettivamente mi accorgo che da quando ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro mi sono trovata da subito a seguire un certo tipo di ritmi, a volte frenetici più che dinamici, in tutto ciò che facevo, e che alla fine dei conti ho imparato a farlo molto bene, perché l’ambiente lo richiedeva. Portare a termine un compito celermente significa poterne fare un altro subito dopo e di conseguenza produrre, se così si può dire, di più.  Nel mondo occidentale industriale – ma ormai anche post-industriale – veloce è bello perché è prestante e produttivo e si ha sempre bisogno di essere produttivi ai massimi livelli e ritmi, altrimenti non si contribuisce alla crescita dell’azienda, del brand, dell’economia, della società e così via dicendo.È probabilmente largamente interiorizzata la concezione che lento è invece sinonimo di pigrizia e di conseguenza di improduttività. Ma ad oggi si dovrebbe ancora essere di questa idea?È abitudine di alcuni marchi di fast e luxury fashion, come hanno messo in luce alcuni bilanci in certi casi diffusi dalle società stesse, distruggere l’invenduto – piuttosto che metterlo ai saldi e degradare in un qualche modo il nome del brand – per far spazio alle nuove collezioni che sostituiscono a ritmi frenetici ciò che era una tendenza la stagione (o anche solo il mese) precedente.Questo perché le industrie sono ormai predisposte a produrre, o meglio sovra produrre, con una certa velocità per arrivare a certe quantità, senza preoccuparsi dell’effettivo bisogno che c’è dei loro prodotti. È veramente inevitabile arrivare a questo? Perché produciamo a questa velocità considerando gli impatti economici e soprattutto ambientali che possono avere queste modalità? Durante il primo lockdown invece, all’inizio del 2020, per quanto i risvolti negativi dello stesso siano stati numerosi, molti si sono accorti di come da alcune analisi fosse risultato che una pausa temporanea delle emissioni del traffico e delle attività industriali delle città avessero riportato livelli di qualità dell’aria, prima discutibili se non pericolosi, ad un grado di nuovo vivibile e più sano. Questi sono solo alcuni degli esempi di come a volte lavorare, produrre, muoversi, vivere a ritmi dinamici – fino a che non diventano sfrenati – non porta solo vantaggi ma può anche essere dannoso. Forse non dalla prospettiva di produttività e crescita economica ma, per inciso, è davvero lo scopo ultimo di tutto ciò che facciamo?Per quanto sia praticamente impossibile, e non proprio l’ideale per una serie di motivi che possiamo immaginare, pensare di fermare nuovamente le città, il traffico, il movimento di persone, le industrie e lo stile di vita che a cui ci siamo abituati nel lockdown, si potrebbe forse iniziare in un qualche modo a pensare di rallentare. Rallentare può essere interpretato da alcunə come prendersi una pausa dal lavoro, quando possibile, scandire le proprie giornate, dedicare dei momenti del giorno ad attività rilassanti con conseguente giovamento per corpo e mente, tutte modalità che i supporter dello slow living ci insegnano per ritrovare una sana connessione con sé stessi e l’ambiente che ci circonda. Tuttavia, andando oltre la visione individualistica della cosa, il rallentare può essere anche guardato da un punto di vista diverso, con la prospettiva di portare vantaggi alla società e di preservare l’ambiente, se declinato in strade e ambiti specifici. Prendiamo come esempio il problema di distruzione dell’invenduto da parte di grossi produttori in ambito fashion citato: come si potrebbe interpretare il rallentare in chiave benefica?   Rallentare la produzione – Manufacturing On Demand e analisi dei dati Per quanto possa sembrare utopico, rallentare la produzione industriale di beni e prodotti non è una pratica del tutto inesistente. Il liberarsi dell’invenduto distruggendolo da parte delle aziende è chiaramente causa di grossi danni per l’ambiente in merito di spreco di materia prima e risorse ancora totalmente utilizzabili: cosa sarebbe successo invece sel’azienda produttrice avesse prodotto solo quello di cui i suoi clienti avrebbero avuto bisogno? Ad oggi sembra impossibile aspettarsi da alcuni dei colossi, specialmente del fast fashion, una modifica in questa direzione delle loro modalità di produzione ma a quanto pare non è una via impraticabile.La produzione on-demand, per alcuni settori industriali, è ad esempio un processo in cui la merce viene prodotta solo quando richiesta e come richiesta dal consumatore con il coinvolgimento di piattaforme e tecnologie ad hoc. A differenza dei metodi di produzione tradizionale si evitano in questo modo grossi sprechi di materiale, non sono necessari grandi spazi per lo stoccaggio e il prodotto finale è anche più personalizzabile dal cliente stesso. Con lo stesso scopo, quello di rendere più efficiente la produzione e minimizzare in questo modo sprechi e invenduto, alcune società si stanno muovendo per indirizzare le loro modalità produttive basandosi sull’analisi dei dati digitali degli acquirenti presi, ad esempio, da siti di e-commerce. In questo modo gli è consentito di produrre solo ciò che è richiesto in quel momento e di cambiare velocemente direzione insieme alle mutazioni della domanda dei consumatori. Rallentando i ritmi e le quantità che si producono oggi con queste pratiche, diminuendo di conseguenza gli sprechi e i danni ecologici che essi comportano, anche le aziende produttrici stesse possono trarne vantaggio. Possiamo quindi augurarci un futuro del genere?   Rallentare (o prolungare) la vita di un prodotto – Upcycling, Repairing, Reusing Mentre la produzione industriale è qualcosa per la cui evoluzione dovremmo forse aspettare ancora qualche anno di avanzamento tecnologico, il ciclo di vita di un prodotto è ciò con cui abbiamo e avremo a che fare molteplici volte nell’arco della nostra vita.L’upcycling di prodotti è una delle pratiche che permettono di allungarne la vita nel momento in cui pensiamo non ci servano più, non svolgono più la loro funzione come si deve o semplicemente non ci piacciono più. In poche parole: se una cassetta di legno non ci serve più per contenere la frutta può diventare un contenitore per piante da balcone oppure se una gonna troppo lunga ormai non ci convince più può essere tagliata e ricucita per essere indossata di nuovo.Lo stesso principio vale per il riparare ciò che si è rotto. Alcune aziende di abbigliamento sportivo e tecnico particolarmente attente alla causa ambientale, ad esempio, cercano di contribuire loro stesse condividendo con gli acquirenti delle guide o tutorial su come riparare i loro prodotti.E infine uno dei migliori modi per prolungare il ciclo di vita di un prodotto: continuare ad utilizzarne uno che è stato già usato ma che è ancora in ottime condizioni. Per rimanere nell’ambito dell’abbigliamento, ad oggi, con le numerose app per acquisti di prodotti usati o pre-loved fruibili da casa propria esattamente come da un sito di e-commerce, ri-usare l’usato è diventato facile come comprare il nuovo ma più conveniente.Prestando attenzione a tutte o anche solo alcune di queste pratiche di fronte ai prodotti con cui abbiamo a che fare ogni giorno si può veramente spostare l’asticella un po’ più verso uno stile di vita basato sulla circular economy e un po’ meno vicino a ritmi di consumo frenetici e forse pericolosi.   Rallentare il nostro bisogno di consumo – Mi serve davvero? Forse una delle cose più difficili da ripensare, non solo in termini di rallentare per beneficiare pianeta e società, sono le nostre abitudini mentali.Nello specifico, parlo delle nostre abitudini di consumo – e per nostre si intende di un mondo occidentale, industrializzato e sviluppato – eredità di una società in cui moltə sono natə e cresciutə o in cui in un qualche modo si sono ritrovatə. Il fast-paced environment, l’ambiente dinamico (o frenetico), di cui parlano gli annunci di lavoro non è solo quello in cui dovremmo essere abituatə a lavorare e produrre ma anche un ambiente che ci suggerisce di consumare ad un certo ritmo. Ricollegando di nuovo il tutto al mondo di moda e abbigliamento non c’è esempio più esplicativo che la velocità con cui i giganti del fast fashion sfornano nuove collezioni e come effettivamente hanno i loro motivi per farlo: gli acquirenti comprano e si stufano presto di ciò che andava di moda la stagione prima, per poi comprare di nuovo, stufarsi ancora una volta e comprare ancora. Ri-educarci a una consapevolezza di consumo sana e di conseguenza vantaggiosa anche per l’ambiente che ci circonda, le risorse naturali da cui attingiamo, le condizioni climatiche in cui viviamo, può essere una parte della soluzione al problema. È importante chiedersi, prima di acquistare o consumare un prodotto, se ci serve davvero o se invece siamo a posto con ciò che già abbiamo, se possiamo farne a meno, che tipo di impatto avrà l’acquisto: ogni volta sarebbe nostro dovere darci del tempo e valutare attentamente il nostro bisogno di quella cosa nuova che non vediamo l’ora di avere, in poche parole rallentare.   ARIANNA PRIMAVERA  

Saperne di più
LAVORI DA MASCHI, LAVORI DA FEMMINE

LAVORI DA MASCHI, LAVORI DA FEMMINE

Ovvero quando gli stereotipi di genere intaccano lavori e interessi personali C'è una sorta di fantasma che si aggira sulla nostra quotidianità, che silenziosamente cammina tra le nostre convinzioni più ataviche, che ammettiamo o non ammettiamo, che abbiamo fatto nostre o semplicemente diamo per scontate: la convinzione che il lavoro abbia un genere. Che ci siano, cioè, lavori per maschi, esclusivamente e senza dubbio per maschi, e lavori da femmine, da sempre e per sempre da femmine. Lavori per donne e e lavori per uomini. Certo, c'è una zona d'ombra, là in mezzo, una gamma vasta – vastissima – di lavori per tutt* (davvero il genere neutro risulta calzante, in questo caso), che vestono perfettamente su una donna come su un uomo senza che nessuno abbia la possibilità di storcere il naso, né che l* lavorator* si senta a disagio. L'insegnante di liceo, per esempio, che già nel termine presuppone una neutralità, o l'impiegat* d'ufficio. Altri lavori no: altri lavori hanno un genere assolutamente ben definito. Passo alla prima persona, all'immediatezza dell'esperienza personale, per esprimere una questione che sia, credo, ben radicata. Non si dovrebbe desumere il generale dal particolare quando il particolare siamo noi, lo so, ma per questa volta trasgredirò alla regola. Ho fatto il maestro elementare e il babysitter. Ora faccio altro, sì, un lavoro molto più neutro, ma sporadicamente ho fatto due mestieri, insomma, va detto, da femmine. Per quanto riguarda il babysitter, la vergogna del vestire i panni femminili era stemperata dall'usare frasi di circostanza (“Sì, guardo dei bimbi qualche giorno, conosco i genitori”), frasi che permettevano di non usare direttamente il termine babysitter, così connotato verso il cromosoma X. Il maestro elementare era più complesso da evitare: gli sguardi dei genitori verso l'unico uomo in mezzo a così tante donne, le domande stesse delle colleghe, lo stupore, le battute. Certo, l'ho detto e lo si dà anche per scontato, lo stesso straniamento non si prova se si sale d'età nel mondo della scuola: le medie, il liceo, l'università; niente di strano in quel caso. L'infanzia e la primaria (meglio usare i termini ministeriali corretti, prima che qualcun* si infervori) sembrano invece più aperti verso l'universo femminile. Questo è dovuto, credo, all'antica e intramontabile concezione che una donna, in quanto tale, è anche una madre. Forse è addirittura prima una madre, o meglio: il suo essere donna si completa nel momento il cui diventa madre. E per questo istinto materno innato, per questa naturale tendenza verso i bambini (a quanto pare non importa sapere di chi siano figli) si destinano alle donne tutti quei mestieri che hanno a che fare con persone fino a una certa fascia d'età. E se è un maschio, beh, c'è qualcosa di strano, come è strano se a stare a casa con il figlio, o la figlia, sia il papà, e non la mamma. Il papà va a lavoro, la mamma sta a casa, non è altro che l'antico dogma. Dunque, quando un uomo fa un lavoro da donna, il tutto risulta strano. C'è però una giustificazione, o piuttosto una scusante: se l'uomo in questione è omosessuale (o se tacciato di essere tale, dato il lavoro che svolge). L'omosessualità – che a livello sociale è spesso associata, quasi a stigma, a tendenze effeminate – legittima certi lavori. Ma è una legittimazione discriminante, come a voler sottintendere che quell'uomo valga meno come uomo in quanto omosessuale, e dunque sia giustificato a fare lavori che più meno implicitamente sono considerati inferiori a livello sociale. Diversa, quasi agli antipodi, è la questione dei lavori da uomini. In questo caso ne abbiamo di due tipi: i lavori duri e i lavori altolocati. Per i primi, forse, si sono fatti passi avanti. La donna-operaio, l'operaia, esiste, è accettata – con differenze specifiche – a livello sociale, perché ci sono classi (quasi tutte) che per forza di cose necessitano di un lavoro, e lo stipendio ha un peso specifico ben maggiore rispetto a un pregiudizio. Ma raggiungere la parità di genere per quanto riguarda i lavori altolocati, le posizioni manageriali, politiche o simili è una storia ben più dura. Se infatti l'uomo che fa un lavoro “da donna” se la cava il più delle volte con qualche risatina e un commento fuori luogo, la donna che cerca di farsi strada in una carriera solitamente destinata agli uomini per via di tradizioni retrograde e maschio-centriche deve sbracciarsi, fare a spallate, lottare non soltanto contro un pregiudizio, ma contro un sistema intero che cerca di tenerle il più possibile lontane da posizione di potere, che si scervella per evitare che il prossimo ordine, sul posto di lavoro, arrivi non da un uomo, ma da una donna. È solo di recente che le cose paiono in parte migliorare: le occupazioni femminili dirigenziali aumentano – per quanto il gap rimanga ampio – e negli ultimi anni una serie di neologismi ha introdotto il genere femminile per alcuni lavori che prima presupponevano – perché a svolgerli erano soltanto gli uomini – solo il maschile (la sindaca; l'architetta...). Ma proprio a livello linguistico i problemi persistono tutt'ora, basti pensare all'infantilizzazione che subiscono a livello pubblico le donne che raggiungono certi obiettivi: se a una donna viene conferito un importante riconoscimento nell'ambito della matematica, non è raro che venga carinamente soprannominata “reginetta della matematica”, e a tanti altri esempi si potrebbe far riferimento. E ancora: il gap uomo-donna nel lavoro è stato spietatamente visibile nell'indagine pubblicata dall'ISTAT poco più di un anno fa, il primo febbraio 2021, dove si evidenziava come delle 101mila persone occupate in meno a causa – tra le altre cose – della pandemia, 99mila fossero donne. Uno scandalo che evidentemente va fatto risalire a un problema di genere. Insomma, che non esistano, né debbano esistere, lavori per donne o per uomini è un dato di fatto; che invece esistano differenze di genere quando si parla di lavoro è una chiara e preoccupante evidenza. E questa, non bisogna esitare a dirlo, è discriminazione, e va combattuta.   ENRICO PONZIO

Saperne di più
FEMEN, IL SUPPORTO DEL MOVIMENTO DI PROTESTA ALLA RESISTENZA UCRAINA

FEMEN, IL SUPPORTO DEL MOVIMENTO DI PROTESTA ALLA RESISTENZA UCRAINA

FEMEN (in ucraino: Фемен) è un movimento femminista di protesta ucraino fondato a Kiev nel 2008 da Oksana Šačko, Hanna Hutsol e Inna Shevchenko, tre giovani ragazze: il loro obiettivo era quello sovvertire la società maschilista e il ruolo passivo delle donne ucraine, fondando un movimento di attivismo organizzato, assente fino a quel momento.Il movimento ha avuto amplissima risonanza, su scala internazionale, per la pratica di manifestare mostrando i seni, utilizzati metaforicamente contro il turismo sessuale, il sessismo e altre discriminazioni sociali. Alcuni degli obiettivi del movimento sono "incrementare le capacità intellettuali e morali delle giovani donne in Ucraina", "ricostruire l'immagine dell’Ucraina, un paese dalle ricche opportunità per le donne" e modificare l'immagine dell’Ucraina all’estero, spesso considerata prettamente come meta di turismo sessuale. Già dall'aprile del 2010 il movimento stava considerando l’idea di costituirsi in un partito politico per avere un ruolo attivo alle elezioni parlamentari. Le attiviste sono riconosciute e apprezzate in tutto il mondo per i loro metodi provocatori e sono sempre riuscite a catalizzare l’attenzione dei media. Il loro motto è «Our God is a Woman! Our Mission is Protest! Our Weapon are bare breasts!», affermando dunque che il loro Dio è la Donna, la loro missione è quella di protestare e non hanno armi se non i loro corpi, o meglio i loro seni. Caratteristica principale, infatti, è quella di manifestare in topless, scrivendo slogan chiari sulla pelle: è proprio il petto, spesso, ad essere usato come lavagna sulla quale imprimere i testi delle proprie proteste. Durante le prime proteste in realtà vestivano di rosa, e si parlava di Pink Revolution, poi nell’agosto del 2009 succede che Oksana si sveste e questo atto ebbe un’eco enorme. Da lì tutte le manifestazioni prevedono di spogliarsi davanti alle telecamere, e quasi sempre vengono indossate le tradizionali corone di fiori ucraine. Le FEMEN si battono per le principali questioni femministe, dalla mancata rappresentanza di donne nel governo alle politiche oppressive operate dalle religioni. Facciamo qualche esempio: il gruppo si schiera contro il sex-work e la capitalizzazione del suo sfruttamento, hanno manifestato contro il dittatore bielorusso Lukashenko, hanno manifestato pacificamente contro il Papa, contro Berlusconi e nel 2012 anche contro la moda, definita fascista e pro-anoressia, durante una sfilata di Versace. Questa è stata la sua crescita: il movimento ha assunto una nuova risonanza, in relazione agli ultimi tristi sviluppi della politica mondiale. Poteva un movimento di protesta fondato a Kiev astenersi dal manifestare la sua contrarietà alla guerra nei giorni in cui la Russia aveva minacciato di invadere l’intera Ucraina? Era da tanto che non si vedevano le FEMEN in azione e il 22 febbraio, due giorni prima dell’invasione russa, un’attivista del movimento si è mostrata davanti alla stazione ferroviaria centrale di Kiev con un look decisamente spettrale ed evocativo della morte, classicamente in topless, con la scritta sul petto: “Don’t Panic” e con una falce da “angelo della morte”, segnando un altro capitolo della loro storia. Dopo l’invasione russa in Ucraina, la protesta contro la guerra è proseguita il 6 Marzo in Francia dove FEMEN France ha organizzato una manifestazione sotto la Tour Eiffel con lo slogan “Stop Putin’s War”. Il gruppo si è diffuso in Europa e sta manifestando attivamente contro la guerra in atto, dando solidarietà ai resistenti. Inna Shevchenko, fondatrice del movimento e giornalista, chiede nelle ultime interviste armi e aiuti umanitari per l’Ucraina. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche afferma: “Fino a poco tempo fa non avevo mai pensato di voler tornare in Ucraina, ma quando vedo quello che sta succedendo lì ora, il desiderio di essere lì è estremamente forte. È così per molti ucraini in tutto il mondo in questo momento, io sono solo una di loro”.   Simona Danos

Saperne di più
LO YOGA: L’ALLEATO NUMERO UNO PER RITROVARE IL TUO EQUILIBRIO — con Martina Rando

LO YOGA: L’ALLEATO NUMERO UNO PER RITROVARE IL TUO EQUILIBRIO — con Martina Rando

Abbiamo chiacchierato con Martina Rando, co-founder di Yome, una realtà che offre lezioni e corsi di yoga on demand, seguiti da una community nutritissima.   Negli ultimi anni si parla di yoga un po’ ovunque: sui social, al supermercato, nelle riviste di consigli, in televisione, nella sala d’attesa per la visita ginecologica. Insomma, chiunque sembra consigliare questa disciplina come la panacea di tutti i mali. Ma allora è tutta una moda o verità? Sono Martina Rando, sono un’insegnante di yoga e ho fondato insieme a Martina Sergi e Claudia Casanova Yome, una piattaforma online di contenuti di yoga, meditazione, fitness e nutrizione. La mia opinione potrebbe quindi suonarvi di parte, ma ancora prima di andare avanti vi lascio il mio consiglio più importante: provate per credere; provate più stili; provate più insegnanti e troverete la combo che fa per voi. Sono certa che non ne potrete fare più a meno. Insegno yoga da sei anni, ho avuto tanti studenti, in Italia, all’estero, dal vivo e online, e tutti mi hanno sempre raccontato la stessa storia “non pensavo mi sarebbe mai piaciuto, poi l’ho provato ed è diventato il mio alleato numero uno”. Le parole possono essere un po’ diverse, ma il succo del discorso è sempre lo stesso.  Al giorno d’oggi viviamo tutti quotidianità molto diverse ma con tanti comuni denominatori: poco tempo; tanti “ruoli” da ricoprire e destreggiare; l’esigenza di essere sempre più veloci, più smart, più multitasking. Tutto ciò ci porta sempre di più ad essere assenti e a vivere ogni momento quasi “di passaggio”. Nulla di anomalo o di cui sentirsi in colpa, è normale, ma allo stesso tempo fa nascere in noi uno spontaneo bisogno di equilibrio, di radicamento, di partecipazione al momento presente: lo yoga in tutte le sue forme si presenta come una risposta a questo bisogno, come una sorgente d’acqua fresca quando si ha sete. Quindi che cosa è lo yoga e come può essere un alleato nella nostra vita di tutti i giorni?  Mi piace definire lo yoga come un percorso verso una versione di sé più consapevole, più sicura e presente.  Di seguito vi riporto una serie di affermazioni sullo yoga che probabilmente avrete sentito, e vi racconto perché sono vere: Lo yoga è per tuttə.  Non esiste un “corpo da yoga”; non è necessario essere flessibili o forti; non bisogna saper fare qualcosa o aver fatto determinati sport. Lo yoga è per tuttə perché non ha un fine ultimo se non il raggiungimento del nostro equilibrio e del nostro benessere. Benessere ed equilibrio assumono una forma diversa per ogni persona, quindi la strada che ci porta al loro raggiungimento è unica. Lo yoga ha benefici fisici e mentali.  Lo yoga è una disciplina che comprende una parte di pratica fisica, le asana e una parte interiore, la meditazione. La respirazione è il ponte tra la pratica fisica e quella interiore. La pratica ci aiuta a sviluppare un legame profondo tra mente e corpo e ad aumentare la nostra resistenza, forza, flessibilità ed equilibrio in senso letterale e metaforico. Questo ci consente di essere partecipi nel momento presente, di sentirci calmi e rilassati.  Esiste una tipologia di yoga per ognunə di noi.  Lo yoga è una disciplina antichissima ed è caratterizzata da una grandissima varietà di stili. Esistono tipologie di yoga più meditative, altre più fisiche e dinamiche come il vinyasa e l’ashtanga yoga, alcune più statiche come l’hatha yoga e così via. Con un po’ di pazienza e mente aperta sicuramente troveremo lo stile e gli insegnanti che sono più affini alle nostre esigenze, l’importante è concedersi l’opportunità di provare.  Probabilmente arrivati a questo punto vi starete chiedendo “ma quindi da dove comincio?” Sarà meglio approcciare prima il lato meditativo o quello fisico della disciplina? Ancora una volta la risposta risiede dentro di voi: quali sono i vostri interessi? Cosa vi affascina di più? Cominciate da ciò che dello yoga è più in sintonia con la vostra predisposizione naturale, che sia la pratica dinamica delle asana, la pratica della meditazione o quella delle tecniche di respirazione. Nello yoga non c’è esclusione, qualsiasi sia il vostro punto di partenza la pratica vi condurrà verso tutti gli altri punti in maniera naturale. So che a questo punto partono spontanee tutte le obiezioni: non ho tempo; non c’è un posto vicino casa; magari quando sono più tranquillo a lavoro, e via dicendo. Il tempo è una scusa, bastano anche dieci minuti al giorno per fare la differenza, al mattino o alla sera o in una pausa, non servono ore e ore per cominciare a notare i benefici; non hai uno studio vicino casa, ma sicuramente (a maggior ragione se ci stai leggendo) hai una connessione internet, quindi anche questa scusa l’abbiamo eliminata. Infine il lavoro, la famiglia, gli impegni, lo stress, l’ansia ecc. sono proprio le ragioni per cui hai bisogno di far di te una priorità e ritagliarti del tempo per te. Ricordati che non si può versare da una caraffa vuota, e lo yoga può essere il nostro “refill” quotidiano.  Iniziare può essere difficile, lo capisco. Ecco tre consigli semplici e pratici che potranno aiutarti a fare questo primo step:  Comincia in maniera graduale. Ritagliati 10/20 minuti un paio di volte a settimana per inserire lo yoga nella tua routine quotidiana. Incrementa la durata e/o la frequenza piano piano. I benefici dipendono dalla costanza, meglio poco e spesso che non tantissimo ogni tanto.  Da quale stile cominciare? Se sei una persona a cui piacciono attività più dinamiche puoi avvicinarti a stili più “attivi” come il vinyasa, l’ashtanga, il dharma, il rocket, per fare alcuni esempi. Se cerchi uno stile di yoga basato sulla pratica delle asana, delle posizioni yoga, ma meno dinamico, l’hatha è uno stile da provare assolutamente. Se ti senti più in sintonia con la parte introspettiva dello yoga prova delle classi di meditazione, midfulness o pranayama.  Dove comincio? Online, nello studio yoga della tua zona, con un insegnante privato. Scegli la soluzione più facile per te, quella che ti possa permettere di essere costante nel tempo e che si inserisca in maniera semplice nelle tue abitudini consolidate.   Claudia, Martina ed io abbiamo fondato Yome proprio con l’obiettivo di rendere lo yoga (e il benessere più in generale) alla portata di tuttə: una piattaforma online che propone contenuti live e on demand di diversa durata, di diversi stili, per tutti i livelli e con tanti insegnanti in modo tale da dare a tutti l’opportunità di “creare” il mix che funzioni per sé, ovunque e in ogni momento. Vi lascio ribadendo il vero consiglio di queste pagine: potete ascoltare la vostra amica che ve lo ha consigliato, potete leggere questo articolo e prenderlo per buono, ma soprattutto provate e decidete da voi. Lo yoga non fa miracoli, non vi darà la soluzione a tutti i vostri problemi, non vi farà sentire in pace con il mondo 24h su 24, ma vi porterà un passo più vicino alla versione migliore di voi stessə, e a parer mio è già un successo enorme nelle nostre vite un po’ caotiche e sottosopra.    Martina Rando  Co-founder Yome       

Saperne di più
PAVIMENTO PELVICO: LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DAL CUORE?

PAVIMENTO PELVICO: LONTANO DAGLI OCCHI, LONTANO DAL CUORE?

Il pavimento pelvico è una zona un po’ nascosta, di cui ci dimentichiamo troppo spesso: lontano dagli occhi lontano dal cuore come recita il proverbio, eppure si tratta una struttura fondamentale per il benessere fisico e sessuale di ognunə di noi. Per conoscerlo meglio e acquisire consapevolezza abbiamo fatto una chiacchierata con la Dottoressa Anna Burioli, fisioterapista specializzata in riabilitazione del pavimento pelvico.   Buongiorno Anna, ti va di raccontarci che cos’è il pavimento pelvico? E cosa ti ha spinta ad approfondire questo aspetto della riabilitazione?   Il pavimento pelvico è un insieme di strutture muscolari, legamentose e fasciali che chiudono la parte inferiore della cavità addominale la cui funzione è sostenere gli organi interni. Oltre a questo, è una struttura essenziale per alcune funzioni fisiologiche come urinare e defecare, e permette l’attività sessuale. Durante la laurea triennale la riabilitazione del pavimento pelvico viene affrontata, forse per immaturità e imbarazzo tra compagni di corso, senza la stessa considerazione con la quale si studia invece l’ambito ortopedico. Quando ci si iscrive a fisioterapia non si ha assolutamente in mente di poter diventare specialisti della riabilitazione del pavimento pelvico. Nell’ultimo periodo, fortunatamente, stiamo assistendo ad un cambiamento culturale in questo senso. Se ne parla sempre di più, sta emergendo la volontà di normalizzare degli argomenti ritenuti fino a poco tempo fa tabù e la necessità di migliorare la disabilità che certe condizioni cliniche comportano, ripristinando la qualità della vita delle persone. Ho deciso di avvicinarmi alla riabilitazione del pavimento pelvico sentendo l’esigenza di essere un tassello di questo cambiamento.   Quali sono le alterazioni frequenti a livello del pavimento pelvico e in che modo queste possono influire sulla nostra quotidianità? Nel sesso femminile le alterazioni più comuni sono sicuramente legate ad un indebolimento del pavimento pelvico, che può causare episodi di incontinenza urinaria e prolasso degli organi interni.La perdita di tono muscolare e di struttura del tessuto connettivo è dovuta soprattutto all’età, ma possono entrare in gioco altri fattori come le gravidanze e il numero e gli esiti dei parti. Nella maggior parte di questi casi il problema è che manca la consapevolezza, prima della gravidanza o durante, di che cosa sia il pavimento pelvico e che sia possibile agire con la prevenzione: spesso non viene nemmeno indicato di eseguire valutazioni specialistiche dopo il parto.Per questo motivo la maggior parte delle donne non è a conoscenza di quanto sia frequente avere perdite di urina post parto e che in ogni caso non è da ritenere normale. Ogni donna dopo il parto dovrebbe ricevere una valutazione dello stato del pavimento pelvico e della sua forza con conseguenti suggerimenti educativi o un piano di esercizi riabilitativi proprio come avviene per ogni altro distretto corporeo in seguito ad un trauma o che si vuole mantenere efficiente negli anni. Un’altra condizione molto frequente è quella del dolore pelvico che può essere data, tra le altre cose, da un amento di tono della muscolatura pelvica comportando dolori o impossibilità alla penetrazione e al rapporto sessuale. Sono tutte condizioni che portano chi ne soffre a limitarsi molto nelle attività sociali e sessuali, con una pesante ricaduta psicologica e una notevole riduzione della qualità della vita.   Ma le alterazioni a livello del pavimento pelvico riguardano solamente il sesso femminile? Assolutamente no. Per quanto riguarda la popolazione maschile la problematica più comune avviene in seguito ad interventi di prostatectomia radicale (rimozione chirurgica della prostata), in questo caso spesso le persone vengono indirizzate a intraprendere percorsi riabilitativi. Anche nell’uomo però può essere presente dolore a livello pelvico: rimane un problema di difficile stima in quanto è raro che la persona si rivolga a dei professionisti in cerca di aiuto, per l’imbarazzo che ciò può creare.   Il pavimento pelvico è quindi una struttura la cui salute e funzionalità è fondamentale per assicurarci una buona qualità della vita: come possiamo prendercene cura? Credo che il primo passo sia rendere consapevoli tutti di quanto il pavimento pelvico debba essere considerato al pari delle altre parti del corpo.Oggi si parla tanto di prevenzione, benessere, mantenimento dello stato fisico. Non capisco perché ci si prenda cura del proprio corpo, cercando di migliorare l’alimentazione, allenandosi per rimanere sani e per prevenire infortuni e non venga fatta la stessa cosa per una parte del corpo che ha un’importanza fondamentale per lo svolgimento di funzioni primarie e per vivere una sana e serena vita sessuale. Se ne parla ancora troppo poco, anche tra conoscenti. Spesso mi ritrovo con persone che mi parlano di incontinenza, prolasso, dolore pelvico e mi confidano di non averne parlato nemmeno con gli amicə più strettə, in quanto pensano siano problematiche poco diffuse e se ne vergognano. Qualsiasi perdita di urina o feci non è normale, qualsiasi tipo di prolasso non è normale, qualsiasi tipo di dolore non è normale. Ci sono davvero tante situazioni differenti e spesso per ognuna c’è una soluzione o perlomeno una modalità in cui si può lavorare per migliorare la qualità della vita.  Così come si fa prevenzione in tutti gli altri ambiti, tuttə dovremmo sottoporci a controlli periodici dagli specialisti che sicuramente sono in grado di valutare lo stato di salute della persona, senza avere timore di fare domande e senza sentirsi in imbarazzo se si notano avvenimenti poco chiari.Nel caso della popolazione femminile poi, pre- e post-partum è necessario fare una visita specifica per il pavimento pelvico ed essere educat ə e allenat ə agli esercizi necessari per la prevenzione e il trattamento delle possibili disfunzioni. BEATRICE UGUAGLIATI

Saperne di più