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Periodica Magazine: lo spazio per il dialogo aperto

GIORNATA MONDIALE PER L’IGIENE MESTRUALE: UNA DATA COME ALTRE O UNA DA RICORDARE?

GIORNATA MONDIALE PER L’IGIENE MESTRUALE: UNA DATA COME ALTRE O UNA DA RICORDARE?

Può un fenomeno tanto scontato e naturale come le mestruazioni essere insignito di una giornata celebrativa? Questa è la domanda che immaginiamo si pongano molte persone: quelle per cui ad esempio il ciclo mestruale è un fatto da nascondere e tenere lontano dalla socialità.È proprio dalla mancanza di conoscenza che generalmente si ha in merito alle mestruazioni che origina questa giornata: nel 2014 diverse organizzazioni hanno istituito la Menstrual Hygiene Day, un’occasione per generare dialogo, confronto e consapevolezza attorno alle pubblicamente innominabili mestruazioni. Insomma, di questa giornata abbiamo bisogno come uno degli strumenti che ci spingono a distruggere quei pregiudizi e quelle credenze che hanno relegato un processo naturale alla vergogna. E questo non rimane senza conseguenze. Ancora oggi, le persone si affacciano alla pubertà completamente impreparate rispetto ai cambiamenti che il loro corpo subirà, non ultimo l’arrivo delle mestruazioni.Questo, se alle nostre latitudini comporta vergogna e imbarazzo, in innumerevoli altre parti del mondo lo stigma genera condizioni di gestione e consapevolezza delle mestruazioni ancora più estreme. Una recente ricerca condotta nel sud dell’Asia, ad esempio, ha dimostrato che il 33% delle persone in età scolare non aveva mai sentito parlare di mestruazioni prima del suo menarca, e addirittura il 98% non sapeva che il sangue mestruale provenisse dall’utero. Trasferendoci poi dalla sfera culturale a quella medica vedremmo il problema allargarsi a macchia d’olio. Infatti, sono milioni le persone che, vivendo in condizioni di povertà estrema, hanno la strada sbarrata quando si tratta di reperire materiali igienici che assorbano il sangue, come i tradizionali tamponi e assorbenti. È noto come vengano utilizzati a mo’ di assorbente carta, fogli e stracci in numerose parti del mondo. Il tutto con un’enorme ricaduta sul livello di igiene mestruale che comporta un elevato aumento del rischio di contrarre malattie vaginali e infezioni. Il fatto che milioni di persone che sperimentano su se stesse le mestruazioni siano ancora discriminate è una sconfitta culturale e sociale per il mondo. Quello che possiamo fare è rompere il silenzio: solo così si può portare avanti una battaglia realmente efficace nella sensibilizzazione di un assunto facile. Le mestruazioni sono un processo naturale: solo diffondendo insieme educazione e informazione potremo restituire a questa esperienza la normalità che le si addice.   ALICE CARBONARA

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La salute mentale è affare di tuttə: come debellare lo stigma e il pregiudizio nei confronti della salute mentale

La salute mentale è affare di tuttə: come debellare lo stigma e il pregiudizio nei confronti della salute mentale

Si parla sempre più apertamente di salute mentale, sia sui giornali, che sui social network, che sui blog. Molte persone (sia personaggi dello spettacolo che non) condividono le loro esperienze riguardanti la salute mentale attraverso questi mezzi di comunicazione. Tutto questo allo scopo di cercare di abbattere i pregiudizi e lo stigma, facendo sentire meno sole le persone colpite dalla stessa problematica e di sensibilizzare anche chi non ne soffre. Molto spesso però, coloro che non sono colpiti da alcun disagio di tipo psichico, vedono queste notizie come ben lontane da loro (quando sappiamo che i problemi di salute mentale colpiscono 1 persona su 4). Pensano che a loro non capiterà mai nulla di simile, ma quando accade – che si tratti di loro in prima persona, dei loro familiari o dei loro amici – cambia completamente il loro atteggiamento. Ricordo ancora quella volta che conobbi una persona a me cara che aveva a che fare con delle problematiche di salute mentale che io avevo studiato solo sui libri universitari. Nonostante la mia conoscenza teorica dell’argomento, venni pervasa ugualmente da mille dubbi e preoccupazioni. Iniziai a domandarmi: "Ma questa persona starà mai bene?”, “Ora dice di star bere, ma sarà sempre così?”, “E se fosse pericolosa per sé e per gli altri?”.Mentre mi ponevo queste domande mi sentivo terribilmente in colpa e mi vergognavo anche solo a pensare queste cose, perché sapevo razionalmente quanto fossero infondate queste preoccupazioni. Capii che il mio problema era la paura dell’ignoto, di un qualcosa che non avevo ancora sperimentato, e dello stigma che avevo appreso inconsciamente negli anni. Da allora mi sono interessata sempre di più a queste tematiche.   Ma cosa si intende per salute mentale? La salute mentale, viene considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una componente essenziale per il benessere generale. Si definisce come «uno stato di benessere nel quale una persona può realizzarsi, superare le tensioni della vita quotidiana, svolgere un lavoro produttivo e contribuire alla vita della propria comunità». Dunque, la salute mentale non riguarda soltanto il benessere del singolo individuo, ma anche della società. La salute mentale è ampiamente influenzata dal contesto nel quale si è immersi, ma anche dalle caratteristiche personali (come il patrimonio genetico, ciò che ci hanno trasmesso i nostri genitori, il nostro vissuto, ecc.). Proprio perché la salute mentale è influenzata da tutti questi aspetti, è in continuo cambiamento: essa non è una condizione fissa, ma sono stati che si modificano (in meglio o in peggio) nel corso del tempo.Proprio alla luce di queste diverse influenze che possono determinare il nostro  stato di salute mentale, possiamo affermare che quest’ultima non è una condizione fissa, bensì si modifica costantemente lungo il corso della vita. Un equilibrio precario che richiede una continua ricerca di stabilità, specialmente a seguito di eventi critici come lutti, malattie, separazioni. Per questi motivi, la salute mentale non conosce età o status di tipo sociale ed economico. Un problema di tipo psicologico o psichiatrico può colpire chiunque, indistintamente.   Stigma, pregiudizi e discriminazione sui disagi psichici La parola stigma, è una parola di origine greca, che sta ad indicare i segni che venivano incisi sul corpo per evidenziare attributi moralmente negativi. Era un modo per etichettare queste persone come inaccettabili, diverse. Tra le persone con disagi psichici, quasi 9 persone su 10, hanno affermato che lo stigma e la discriminazione hanno condizionato in modo negativo le loro esistenze.Il più delle volte, non è unicamente il disagio psichico a generare la gravità della situazione, bensì anche il grado di accettazione da parte di famiglia, amici, posto di lavoro, della società. Il pregiudizio che deriva da paura e incomprensione fa sì che la persona si senta sempre di più isolata ed emarginata, influenzando così la qualità della sua vita. Tra i pregiudizi più comuni rispetto alla salute mentale vi sono la concezione della persona con un disagio mentale come una persona potenzialmente pericolosa, inguaribile, unə “mattə” o unə debole, una persona poco produttiva e priva di competenze lavorative, irresponsabile, etichettata come “incapace di intendere e di volere”. Riconoscere la responsabilità, però, non vuol dire credere a priori che le persone con disturbo mentale siano totalmente libere e responsabili. Vuol dire invece che devono adoperarsi per mantenere la loro individualità, nonostante i condizionamenti cognitivi, emotivi e sociali.   Come eliminare definitivamente lo stigma e i pregiudizi? Affinché vengano scardinati i pregiudizi nei confronti delle persone con problemi di salute mentale è opportuno che si attuino diverse azioni per migliorare la qualità della loro vita. Innanzitutto, è necessario ricercare delle cure adeguate. Non tutte le persone affette da disturbo mentale decidono di curarsi, perché hanno paura di venire etichettate. Tutto questo però non fa altro che peggiorare la sintomatologia e influenzare negativamente la vita lavorativa e sociale della persona che necessita di aiuto.È necessario che lo stigma non provochi mancanza di autostima e vergogna, attraverso anche l’incontro con persone nella stessa condizione, affinché non si isolino e non lascino che sia il disagio psichico a definire chi sono. A questo proposito possono tornare utili i gruppi di supporto, sia nazionali che locali. Un ulteriore passo che andrebbe fatto per eliminare i pregiudizi sulla salute mentale, consisterebbe nel migliorare e ampliare l’assistenza psicologica nelle strutture pubbliche. L’assenza della figura dello psicologo in alcune strutture pubbliche, come ad esempio gli ospedali, può rinforzare la concezione che la salute mentale sia un bisogno di serie B, non strettamente necessario. Perciò, persone con difficoltà economiche e con problematiche relative alla psiche, devono rivolgersi ad enti privati, riscontrando difficoltà a trovare professionisti che offrano dei servizi a prezzi agevolati. Certamente il Ministero della Salute ha fatto un primo passo in avanti, attraverso l’istituzione del bonus psicologo (che consente di accedere a un bonus basato sull’ISEE, quindi non per tutti), ma non basta. Mi auguro però che questo possa essere un primo segnale di svolta per quanto riguarda la tutela della salute mentale.   ANTONELLA PATALANO

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Malattie ginecologiche invisibili

Malattie ginecologiche invisibili

Hai mai sentito parlare di malattie femminili invisibili? Non sono invisibili perché non si sentano, o siano impercettibili, ma perché nonostante la loro diffusione – che via via si scopre sempre più radicata – esistono pochi centri specializzati per la ricerca e lo sviluppo delle cure. Questo rende difficoltosa la diagnosi, ma andiamo con ordine. Perché spesso malattie invisibili è accompagnato dall’aggettivo femminili? Questa domanda ha una risposta scientifica ed evidenza un divario medico-culturale importante. Il fatto è che, negli anni, all’interno della sperimentazione medica il genere femminile è stato sottorappresentato: la gran parte dei programmi scolastici di medicina veicola ancora l’assunto che l’unica differenza esistente in corpi biologicamente maschili e femminili siano solo gli organi sessuali.Non è un caso, dunque, che malattie specificamente femminili – come le malattie invisibili, endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo – siano poco studiate. E qui ci scontriamo con il secondo grande tema che caratterizza questa vicenda: la cultura del dolore.   Cos’è la cultura del dolore? L’idea che il corpo delle donne sia naturalmente portato al dolore non ha età, è un evergreen che accomuna diverse culture e diversi secolo. Non solo le donne sarebbero portate al dolore, ma dovrebbero anche sopportarlo senza doversene lamentare. È esemplificativo il fatto che, ad esempio, i dolori mestruali debbano ancora essere nascosti o sopportati: prendere un giorno di malattia per questo motivo è spesso considerato un capriccio da donne o un atto di pigrizia. Una sorte simile è condivisa da quelle che sono le malattie femminili invisibili: le più conosciute sono endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo. Sono diverse le testimonianze di donne che arrivano ad una diagnosi dopo lunghi anni di visite e di sofferenze; secondo alcuni studi, per avere una diagnosi di endometriosi ci si impiega in media 7,4 anni dove, oltre ai dolori fisici, le persone affette da questo genere di disturbi sono sottoposte anche a pressioni psicologiche di diverso tipo: la rinuncia a diversi aspetti della propria sfera personale come il sesso, occasioni di socialità e persino il lavoro è all’ordine del giorno, per via del dolore.Nel percorso diagnostico, sono molteplici le testimonianze di coloro che non affermano di non essere credute circa i dolori che provano, vedendo minimizzare disturbi cronici che impediscono il naturale svolgimento delle loro vite.Ora che di queste malattie si è iniziato a parlare, la lotta sarà quella di incrementare le risorse della ricerca e di richiedere che siano introdotti, per via dell’invalidità che comportano, e riconosciute dal sistema sanitario nazionale. Se sperimenti dolori e fastidi all’apparato uroginecologico:  Consulta tempestivamente un* espert* al quale raccontare senza vergogna tutti i tuoi dolori, cosicché possa indirizzarti verso studi ed analisi più approfonditi; Sottoponiti ai test specialistici; Qualora non dovessi sentirti capit*, cambia centro: purtroppo ad oggi la diagnosi prevede un lungo percorso di accertamenti. Rivolgendoti a centri specializzati o con esperienza in questo campo, potresti agevolare il processo.   Alice Carbonara

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<p><strong>LA CONQUISTA DELLE ABITUDINI: PERCHÉ SONO COSÌ IMPORTANTI E 5 CONSIGLI PER RENDERLE EFFICACI</strong></p> <p> </p>

LA CONQUISTA DELLE ABITUDINI: PERCHÉ SONO COSÌ IMPORTANTI E 5 CONSIGLI PER RENDERLE EFFICACI

 

Tuttə abbiamo il desiderio di prenderci cura di noi stessə: alimentazione sana, iniziare una nuova attività sportiva, fare yoga, meditazione, leggere e dormire di più.Ci scriviamo tanti buoni propositi da introdurre nelle nostre giornate alla ricerca del benessere psicofisico e poi dopo poco tempo ci ritroviamo nella routine, incastrati da mille impegni e non riusciamo a portare avanti tutto ciò che avevamo pensato e che ci eravamo programmati.La verità è che nella vita di tutti i giorni veniamo coltə da diversi imprevisti e il tempo sembra sfuggirci di mano, così finiamo per abbandonare o mettere in secondo piano le nuove azioni che volevamo introdurre nella nostra vita.È capitato anche a te, vero?Lo so, ci passiamo tuttə ma niente panico siamo ancora in tempo per rimediare e ritrovare costanza e benessere senza troppi stravolgimenti. Cambiare non è impossibile anzi, ma ognunə di noi può trovare il proprio modo per prendersi cura di sé senza troppi problemi facendo piccoli passi alla volta. In questo ci vengono in aiuto le famose “abitudini” che possono fare la differenza e semplificarci la vita di tutti i giorni.   Ma cosa sono davvero le abitudini e perché sono così importanti? James Clear nel libro “Piccole abitudini per grandi cambiamenti” definisce l’abitudine come una routine o un comportamento che viene eseguito in modo regolare e in molti casi automatico.Inoltre a detta di Wendy Wood, famosa ricercatrice dell’Università della Southern California, sembra che quasi il 50% della nostra giornata sia composta da queste azioni automatizzate che il nostro cervello mette in atto per risparmiare tempo ed energia.Ecco perché molti studiosi affermano che oggi siamo il risultato delle abitudini che abbiamo adottato negli ultimi 5 anni quindi se finora abbiamo scelto di condurre una vita sedentaria e mangiare sempre al fast food, questo ha un impatto sulla nostra vita.La buona notizia è che le abitudini che scegliamo oggi determinano la persona che saremo tra 5 anni quindi vale la pena sceglierle bene, no?In realtà spesso iniziamo ad agire nel migliore dei modi, il problema è che non riusciamo a mantenere queste azioni costanti nel tempo presi dagli impegni di tutti i giorni.   È possibile quindi trasformare delle azioni in buone abitudini costanti nel tempo?Ti è mai capitato di voler cominciare una nuova attività ma poi, dopo qualche giorno, non provare nemmeno più a portarla a termine?A me è successo con la lettura, all’inizio non riuscivo proprio a staccarmi dal cellulare prima di addormentarmi così finivo per distrarmi sui social per così tanto tempo che mi addormentavo prima ancora di aver letto qualche pagina del libro che volevo così tanto iniziare.Rendere un’azione un’abitudine giornaliera non è facile, ma nemmeno impossibile.È possibile infatti rendere delle azioni che hanno un impatto positivo nella nostra vita, abitudini, contribuendo così a farci star bene ogni giorno.Vediamo insieme 5 consigli che possono aiutarci a introdurre nella nostra vita buone abitudini, costanti nel tempo:   1. Non basarsi solo sulla motivazioneLa motivazione è quel desiderio forte che ci porta a essere entusiasti appena iniziamo un nuovo percorso, un nuovo progetto e che ci fa brillare gli occhi all’inizio. Ma qual è il problema?Il problema è che la motivazione è estemporanea, oggi c’è e domani chissà.Quante volte ci siamo iscritti in palestra tutti entusiasti, ci siamo allenati ogni giorno per poi non andarci più dopo due mesi?Questo è del tutto normale, all’inizio è facile portare avanti la nuova attività ma poi a causa di problemi, imprevisti e calo di motivazione, perdiamo subito l’entusiasmo iniziale.Quindi possiamo affidare i nostri obiettivi di cambiamento e di benessere su qualcosa di così fragile come la motivazione?Direi proprio di no quindi non basiamoci solo sulla motivazione perché questa non sarà mai costante e sempre presente, proprio per definizione.   2. Partire in piccoloQuando vogliamo introdurre una nuova abitudine solitamente iniziamo con grandi obiettivi: leggere un libro a settimana, meditare per mezz’ora al giorno tutti i giorni, mangiare sano sette giorni alla settimana weekend compreso.La verità è che quando facciamo cambiamenti così radicali, non riusciamo a portarli avanti perché è troppo lo sforzo iniziale che chiediamo a noi stessə.Spesso ci convinciamo che grandi risultati richiedano grandi azioni: ci sottoponiamo a un grandissimo stress e una forte pressione per ottenere un cambiamento estremo che sarà visibile a tutti e in brevissimo tempo. In realtà quello che sembra esser più efficace è un piccolo cambiamento alla volta che, sul lungo periodo, ci porterà a molti più risultati.Ad esempio, vogliamo iniziare a meditare? Iniziamo con 5 minuti ogni giorno e se vediamo che è troppo, proviamo ad alternare i giorni e vedere come ci sentiamo.Una volta instaurata l’abitudine di 5 minuti al giorno possiamo provare ad aumentarla leggermente, poco per volta e vedere come va, oppure mantenerla così se ne percepiamo i benefici.Insomma quello che è più efficace per noi sono piccoli cambiamenti alla volta ripetuti nel tempo, senza sforzarci troppo.   3.Rendere l’abitudine semplice Un altro piccolo consiglio è rendere l’abitudine semplice ossia aiutarci con l’ambiente che abbiamo intorno.L’abitudine non è solo qualcosa che scegliamo ma anche lo stimolo che ci aiuta ad eseguirla ossia il contesto, per questo motivo se noi prepariamo bene l’ambiente che ci circonda sarà più semplice portare avanti le azioni che abbiamo scelto di introdurre.Ad esempio se la mattina presto vogliamo allenarci prima di andare al lavoro, è utile preparare vestiti, borraccia e tutto il necessario, in questo modo quando ci svegliamo e saremo tentati di saltare l’allenamento, non incontreremo nessun ostacolo tra noi e l’abitudine che abbiamo scelto di instaurare nella nostra vita.Oppure se prepariamo il nostro tappetino di yoga in salotto, pronto per essere utilizzato quando rientriamo stanchi alla sera, questo ci ricorderà l’impegno che avevamo preso con noi stessi: dedicarci tempo alla pratica che ci da benessere dopo una lunga giornata di lavoro.Questo piccolo accorgimento ci aiuterà a togliere buona parte degli ostacoli che altrimenti ci vedrebbero catapultati sul divano. 4. Individuare le abitudini chiaveAlcune abitudini vengono definite “abitudini chiave” perché aiutano a migliorarne altre.Ma cosa vuol dire esattamente?E’ stato dimostrato che abitudini quali attività fisica, meditazione e alzarsi presto al mattino scatenano un effetto benefico su tutte le abitudini che abbiamo scelto di adottare perché durante la giornata siamo più presenti, più consapevoli e scegliamo ciò che è  meglio per noi stessi riducendo le automazioni ed eventuali ostacoli che incontriamo.Per questo è utile, soprattutto all’inizio, provare a introdurre alcune di queste abitudini poco alla volta, per poterne beneficiare anche in altri campi come la lettura, la cura estetica e tutte quelle azioni che abbiamo scelto di portare avanti.   5. Scegliere delle abitudini che siano sostenibili per noi Un ultimo consiglio richiede la capacità di ascoltare noi stessə è non pretendere troppo.Non possiamo pensare di introdurre nella nostra giornata tantissime abitudini diverse tra loro: svegliarci alle 5, riempire la giornata con mille cose da fare e andare a dormire tardi, semplicemente perché questi ritmi non saranno sostenibili nel tempo.Quindi è meglio cercare di capire cosa per noi è importante, cosa ci fa star bene e cercare di portarlo avanti ogni giorno.Abbiamo visto insieme quanto le abitudini siano importanti nella nostra vita e quanto, se scelte in maniera corretta, possano aiutarci a semplificare le nostre giornate.L’organizzazione che abbiamo grazie a delle buone e sane abitudini ci semplifica e ottimizza il tempo.Ciascuna abitudine infatti ha bisogno di pazienza e di costanza, non possiamo pretendere che le nostre giornate cambino se prima non ci impegniamo a renderle migliori e a inserire ciò che ci fa stare davvero bene.Ancor di più quando iniziamo un nuovo sport, inseriamo delle pratiche di yoga o di meditazione che magari ci portano fuori dalla nostra zona di confort, è importante avere pazienza senza giudicarci o pretendere troppo da noi stessi, solo così riusciremo davvero a beneficiarne e a capire quanto ci fa star bene dedicarci quei minuti di completo benessere e ascolto.Ricorda infine che “Practice makes it permanent” ossia ciò che conta non è la perfezione ma la pratica costante che rende l’abitudine un’azione duratura nel tempo!   MARTINA RANDO Co-founder di Yome 

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Sessualità e autismo attraverso l'esperienza di Red Fryk Hey

Sessualità e autismo attraverso l'esperienza di Red Fryk Hey

Attraverso l’esperienza di Red approfondiremo un tema ancora considerato un tabù per le persone autistiche e disabili: la sessualità.Secondo le più recenti ridefinizioni dell’autismo (Singer, 1998), esso va inteso in termini di neurodiversità o neuroatipicità e non più di disturbo, malattia. L’autismo, infatti, è solo uno dei tanti modi in cui la mente umana può funzionare. Non è altro che una normale variazione neurologica al pari di razza, genere e sessualità. Per questo motivo, l’autismo non ha cura: perché non è una malattia. Il movimento per le neurodiversità si pone come obiettivo proprio quello di modificare la percezione tradizionale delle persone neurodivergenti, cambiare gli stereotipi negativi identificando talenti e bisogni della persona. Inoltre, ha lo scopo di valorizzare gli individui emarginati e far sì che venga attribuito loro il giusto valore all’interno della società, in quanto costituiscono anche loro una risorsa. Gli attivisti si impegnano quotidianamente a superare le rappresentazioni errate, legate, ad esempio, all’immagine dell’autistico con disabilità cognitiva, con disturbi del linguaggio o dell’apprendimento. Proprio per questo motivo, le persone autistiche che non hanno altri disturbi, faticano ad essere riconosciute tali. La diagnosi, in questi casi, arriva ancora troppo tardi, o non arriva mai.   La diagnosi tardiva di autismo: l’esperienza di Red Fryk Hey Questo è il caso della storia di Red Fryk Hey, la quale ha ricevuto la sua diagnosi a 31 anni. Fino a quel momento Red ha vissuto male, non tanto per la sua condizione, ma perché la società la disabilitava, non riconoscendo la sua diversità e il suo modo differente di percepire suoni, colori, le interazioni con le altre persone. Sentiva di “non essere creduta”. Red (nome derivante dal colore rosso, il suo preferito) è nata a Cuneo ed è ballerinə, insegnantə, coreografə e attivista per i diritti delle persone autistiche. Ama profondamente l’Hip Hop come cultura e le piace esprimere questa passione sia attraverso il lavoro coreografico che con il freestyle. Spazia dalla danza contemporanea alla sperimentazione. Il tutto condito da energia, stile, tecnica, umiltà, passione, impegno, allenamento costante e determinazione: ingredienti che hanno reso Red unə professionistə affermatə nel settore della danza. Ha vinto numerose competizioni a livello sia nazionale che internazionale, sia in qualità di danzatricə che di coreografə. La divulgazione di Red sui social network Quando si parla di autismo l’informazione non è mai troppa, anzi spesso è poca e sbagliata. Per questo Red, tramite i social network, specialmente Instagram, tiene particolarmente alla missione divulgativa. Sulle sue pagine condivide soprattutto il suo interesse principale e la sua professione: la danza. Uno strumento attraverso il quale cerca di coniugare il mondo della danza con il mondo dell’autismo. Tramite questa azione di condivisione Red sta piano piano scardinando tutti quei pregiudizi che non consentono alla persona autistica di essere riconosciuta in quanto tale. Red ha deciso di condividere con noi la sua esperienza e di affrontare delle tematiche che costituiscono dei tabù quando si parla di autismo: la sessualità.   Red, come hai vissuto l'arrivo del menarca e come lo vivi tuttora?Lo attendevo tantissimo, soprattutto perché le mie compagne di classe che mi bullizzavano avevano già vissuto questa esperienza e io no. Una volta arrivato il momento ho tirato un sospiro di sollievo. Nei mesi successivi, essendo io una persona non binary, ho iniziato a ripudiarlo a tratti e vivo le mestruazioni così tuttora. A livello sensoriale non percepisco dolore, solo molto gonfiore fastidioso.   Come hai vissuto la tua sessualità con l'inizio dell'adolescenza?In famiglia era un argomento tabù ed ero convintə fosse un peccato fare sesso, a causa della mia famiglia cristiano cattolica. L'ho vissuta con senso di vergogna ed imbarazzo per questo motivo, pur essendo stata una persona molto curiosa. Però tutto mi affascinava, soprattutto quelle sensazioni fisiche così forti, prima, dopo e durante.   Quando eri impegnatə in delle relazioni, cosa ti faceva sospettare della tua neurodivergenza? E gli altri notavano questi aspetti?Mi veniva continuamente detto che pareva la mia mente non smettesse mai di essere in movimento, anche durante l' intimità.Il mio modo di comunicare, a rimando dei partners, passava dall'essere intenso all'essere assente. Non riuscivo a relazionarmi con le loro famiglie, soprattutto se legate al contatto fisico e alle regole sociali tipiche. Non comprendevano le crisi che avevo a volte quando ero espostə a troppi stimoli sensoriali. Inoltre il mio modo di socializzare con i loro amici e le loro amiche non piaceva mai, soprattutto perché io sottolineavo quanto mi mettesse a disagio stare con loro e quanto non mi interessava far parte di un gruppo di persone. Non comprendevano come talvolta descrivevo le mie emozioni e la realtà.   Com'è cambiato il rapporto con il tuo corpo da quando hai ricevuto la diagnosi (se è cambiato)? Non ho un buon rapporto con il mio corpo e non è cambiato dopo aver scoperto di essere autisticə. Il momento in cui ho un buon rapporto con esso è quando danzo!   Hai avuto esperienze all'interno di relazioni amorose e/o rapporti sessuali dove ti sei sentitə discriminatə? Sì, inconsapevolmente per via delle mie caratteristiche autistiche e la mia percezione, per il mio essere non binary e...ho anche subito un abuso.   Cosa pensi debba cambiare quando si parla di sessualità e autismo? Smettere di infantilizzarci. Spesso proprio non si parla di sessualità e autismo perché si parla di noi persone autistiche come se fossimo sempre bambinə.   C'è qualche altro messaggio in particolare che vuoi mandare riguardo questo argomento? Ascoltate le persone autistiche che vogliono e possono raccontare la propria esperienza in ogni ambito.   L’autismo è un universo ancora da esplorare e ancora molto poco conosciuto, pregno di pregiudizi. Gli attivisti danno voce anche a chi una voce non la ha, ma è ancora predominante la concezione dellə autisticə come una persona con disabilità. Per questo, ci auguriamo che le storie come quelle di Red vengano diffuse sempre di più allo scopo di sensibilizzare sul tema e di non ridurre le persone autistiche alla loro condizione.   ANTONELLA PATALANO

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Ciclo mestruale e yoga: i consigli che non ti aspetti

Ciclo mestruale e yoga: i consigli che non ti aspetti

  Praticare yoga fa bene alla salute, ormai lo sappiamo. Lo leggiamo sui social, ce lo dicono l* nostr* amic*, lo abbiamo provato di persona. Chissà perché però per x ragioni quando arrivano le mestruazioni all’improvviso praticare yoga, fare sport, qualsiasi cosa diventa molto più difficile. Nessuno sa meglio di noi stess* cosa è meglio per sé durante le mestruazioni, alcun* di noi si sentono molto stanch* o hanno mestruazioni molto dolorose che non consentono di fare attività fisica; tante altre volte però ci sentiamo bloccat* dal senso di imbarazzo, dalla paura di macchiarci, o perché ci hanno detto che “quando hai il ciclo” stai a riposo o non fare “questo o quello”.  Il ciclo mestruale ha una durata che varia dai 25 ai 35 giorni: ha inizio con il primo giorno della mestruazione e termina il giorno precedente alla mestruazione successiva. Il ciclo mestruale è poi caratterizzato da quattro fasi: la mestruazione, la fase follicolare, l’ovulazione e la fase luteale. In ognuna di queste fasi, il nostro corpo, impegnato in attività diverse, di cui sono protagonisti ormoni diversi, reagisce diversamente.  Al contrario di quello che spesso siamo portat* a credere, la fase mestruale non è quella in cui necessitiamo di più riposo o in cui necessariamente siamo fiacch* e stanch*, anzi molto spesso è vero proprio il contrario (sempre tenendo a mente che siamo tutt* divers*). Questo per dire che quando scegliamo quando e come muoverci, facciamolo partendo dall’ascolto di noi stess* e di come ci sentiamo veramente. Se facciamo parte del gruppo “ho le mestruazioni e non le sento” (beat* voi!! ma spoiler alert dovrebbe essere così per tutti), questo periodo dedicarsi a pratiche energizzanti e dinamiche, ma non eccessive, è l’ideale. Per farvi un esempio una classe da 30-60 minuti di vinyasa yoga o di hatha flow sono delle opzioni perfette.    Se invece facciamo parte del gruppo “ho fastidio, anche verso il mondo” (ti capisco), lo yoga ti può aiutare a stare meglio. Ecco una piccola sequenza che può aiutarti a gestire i dolori, da eseguire con calma, in maniera dolce e delicata, sempre ascoltando se stess*: Allungamento laterale: da sedut* porta una mano a terra in linea con il gluteo e allunga il braccio opposto verso l’alto. Inspira profondamente e allungati verso il lato della mano poggiata a terra. Ripeti dal secondo lato. Posizione del piccolo cobra: da posizione prona, con i piedi distanzi alla larghezza delle anche, porta le mani sotto le spalle e solleva testa e petto dal pavimento. Mantieni il petto aperto e le spalle basse, concentrandoti sull’allungamento delicato della parte frontale del corpo, in particolare dell’addome.  Posizione del cammello modificato: portati sulle ginocchia, con i fianchi in linea con le ginocchia e le mani ai fianchi. Radica leggermente il coccige e porta lo sterno verso l’alto, aprendo bene il petto e allungando in maniera dolce e delicata la parte frontale del corpo. Posizione della foglia: porta gli alluci uniti, i glutei sui talloni e le ginocchia divaricate. Poggia la fronte a terra e allunga le braccia di fronte a te. Se sei più comod* porta un cuscino sotto addome e fronte. Chiudi gli occhi e respira profondamente, cercando di lasciare andare ogni tensione.  Se anche tu, come tant* di noi, non ti senti a tuo agio durante le mestruazioni a fare sport perché hai paura delle macchie, dei rumori, degli odori, ricordati che è tutto normale!È capitato a tutt* almeno una volta di macchiarsi, e magari in altre situazioni, e sono sicura che non è successo nulla di poi così grave, vero? I rumori, l’aria dalla vagina, hanno un nome. Si chiama queefing, può avvenire durante i rapporti, ma sì, può succedere anche facendo sport o facendo yoga, soprattutto facendo asana in cui si sollevano le gambe. È piuttosto comune, è solo aria intrappolata che esce, niente di preoccupante. Pensiamola un po’ come quando sudiamo facendo addominali e la schiena fa rumore a contatto con il tappetino, niente di più! Ancora una volta il mio consiglio rimane sempre quello di ascoltare noi stess* e decidere sulla base di quello che ci sentiamo di fare e di cosa ci fa stare bene, anzi meglio!   Martina RandoCo-founder Yome e Insegnante Yoga  

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Female gaze e film delle Barbie

Female gaze e film delle Barbie

Queer culture e rivendicazione di genere nella nostra infanzia C’è stato un momento in cui tutte noi bambine (e personcine queer) nate fra gli anni ‘90 e 2000 siamo diventate pazze per i film delle Barbie. Barbie la Principessa e la Povera, Barbie e le dodici principesse danzati, Barbie e il Lago dei cigni, Barbie e il Castello di Diamanti, Barbie e la magia di Pegaso, e così via, i film delle Barbie ci offrivano scenari onirici rosa e scintillanti fatti di diademi e coroncine fatate a cui tutte guardavamo con stupore, ammirazione e desiderio. Ma che c’entrano i film delle Barbie con il Female Gaze? Ma che cos'è il Female Gaze? Innanzitutto, il Female Gaze è un approccio cinematografico, di origine femminista, in cui i tre sguardi che caratterizzano la scena, quello della regista, dell’attrice e della spettatrice, sono femminili. É bene precisare che più che il genere di questi tre soggetti, quello che importa è la rappresentazione che viene fatta delle donne: non come corpi oggettificati, ma come soggetti dotati di agency. Nasce in contrasto alla rappresentazione cinematografica tradizionale, definita ora Male Gaze, di cui praticamente tutta la cinematografia mainstream è un esempio, a volte in modo più evidente, a volte più velatamente. In questi film il taglio della ripresa si focalizza sul corpo delle donne anziché su quello che dicono, spesso offrendo una collezione di primi piani di parti di corpi sessualizzati in slow motion. I ruoli femminili spiccano innanzitutto per la bellezza dell’attrice, non per la caratterizzazione del personaggio, che è spesso tipizzato e stereotipico: il rapporto fra i ruoli di genere uomo-donna rientrano nella narrativa attivo-passivo cara alla cultura eteronormata, la camera priva i personaggi femminili dell’autonomia e della possibilità di autodeterminarsi. Il pubblico si identifica nel punto di vista del genere privilegiato, che diventa così il punto di vista naturale e “imparziale”: lo sguardo maschile è lo sguardo universale. Ma come dare spazio, articolare, lo sguardo femminile? Non basta mettere una donna protagonista in un film d’azione, magari in una tutina attillata, come non basta capovolgere il paradigma: non è sessualizzando i corpi maschili alla Magic Mike che si ottiene un Female Gaze, ma solo un Male Gaze applicato ad altri uomini. La camera del Female Gaze è focalizzata sul cosiddetto feeling seeing, come spiega Joey Soloway, regista, direttorə e produttricə statunitense, in un suo celebre TIFF Talk: una camera soggettiva che ci mostra il viaggio emotivo dellə protagonista da dentro, ci permette di sentire e vedere cosa sta provando; le emozioni hanno priorità sulle azioni. Si potrebbe dire che se il Male Gaze tende ad oggettificare le donne, il Female Gaze tende ad umanizzare gli uomini. Ma torniamo alle Barbie. Per quanto mi riguarda, i film delle Barbie occupano un posto speciale nel mio cuore perché hanno segnato la conclusione di un periodo della mia vita, l’infanzia. Sono stata l’ultima cosa “da bambina” che ho apprezzato, prima di rinnegare completamente la mia femminilità nella preadolescenza e iniziare ad allontanare tutto ciò che era vagamente metaforicamente rosa. Ho rimparato ad amarli e a rivendicarmeli da poco. Ma cosa spaventava così tanto la me dodicenne di quell’ingarbuglio di canzoncine in controvoce, scarpette da ballo e gonne ampie? Penso che la risposta sia: la loro eccessiva femminilità, che la misoginia interiorizzata regalatami dalla società patriarcale a cui mi affacciavo a dodici anni, mi ha insegnato subito a disprezzare. Perché se lo sguardo universale dominante è quello maschile, tutto ciò che non è stato diretto, interpretato e non ha come fruitore l’Uomo, cioè non presenta i caratteri tipici del Male Gaze, diventa frivolo, non interessante, superficiale, anche implicitamente degradante. “Roba da ragazze”. E Barbie, avvolta nel suo tulle rosa, trotterella a tutto gas fuori dal Male Gaze, lo stordisce a colpi di glitter, passi di danza, vulnerabilità ed espressione emotiva. Il mondo dei cartoni delle Barbie è fondamentalmente uno spazio in cui il punto di vista maschile (tradizionalmente inteso) non è protagonista, o proprio non è presente. Un luogo in cui lo sguardo, le emozioni e i sentimenti della bambina, o personcina queer, diventano importanti, centrali. Ma come si articola il Female Gaze nei cartoni delle Barbie? Dato il target, i film delle Barbie hanno come protagoniste indiscusse le relazioni di amicizia femminile, che vengono rappresentate come rapporti sociali orizzontali, egualitari, bilanciati. Il pubblico si identifica nella prospettiva femminile e il taglio cinematografico mette in luce il significato di essere donna nell’universo Barbie. E seppure le relazioni romantiche eterosessuali siano spesso presenti nel sottofondo, non rappresentano mai il fulcro della trama. I personaggi maschili ci sono, ma non rivestono ruoli determinanti né esercitano oppressione, agiscono spesso in posizione di alleato. Non esistono dinamiche di potere fra generi, Barbie non deve rivendicare il suo ruolo di protagonista impersonando le caratteristiche della mascolinità tossica performante che il Male Gaze impone ai protagonisti maschi: si mostra vulnerabile, premurosa, sognatrice, mette in discussione le sue scelte, sbaglia, è in grado di perdonare e perdonarsi. Ma vediamo qualche esempio. Riporterò le mie considerazioni sui miei due film delle Barbie preferiti, che alla fine sono anche quelli più dichiaratamente queer e in cui il Female Gaze è più evidente. Barbie e il Castello di Diamanti e Barbie - la Principessa e la Povera. Il primo racconta la storia di due “amiche” inseparabili che vivono in una casetta cottagecore, semi-isolate dalla società. Durante il corso del film devono affrontare diverse sfide che mettono a dura prova il loro rapporto, ma alla fine il loro legame trionfa e le due possono riunirsi.   Il tema principale è indubbiamente la celebrazione della relazione fra donne, che viene proposta in modo spontaneo, semplice, quotidiano, in contrasto con la rappresentazione cinematografica mainstream che tende a demonizzare e devalorizzare i rapporti femminili ritraendoli come complicati, insidiosi, maliziosi. É facile per una persona queer identificarsi in questo film in particolare perché tutte le dinamiche rappresentate prescindono dagli schemi sociali patriarcali tipici del Male Gaze: a differenza di altri cartoni Barbie, le due protagoniste si mostrano completamente disinteressate nei confronti di potenziali relazioni eterosessuali, sebbene si presenti l’occasione (ironicamente inoltre, a metà film saltano su un arcobaleno magico lasciando indietro i due ragazzi che si erano offerti di accompagnarle nella missione). Identificazione che viene rafforzata quando, alla fine del film, dopo una scena romantica strappalacrime che vede una protagonista salvare l’altra da un incantesimo grazie al potere dell’”amicizia”, le due rifiutano l’offerta di restare a vivere nel Castello di Diamanti. Tutto ciò che desiderano è infatti tornare alla loro casetta nel bosco dove possono vivere da sole, coltivare fiori e cantarsi canzoni d’amore reciprocamente (più bella fra tutte, Connected: “Every time that I breathe/ I can feel the energy/ Reachin' out, flowing through/ You to me and me to you/ You are everywhere I am/ Separate souls unified/ Touchin' at the speed of life”). Barbie - la Principessa e la Povera è una storia di giochi di potere, scambi di persona, regni in banca rotta. La trama si articola su due ragazze, nate lo stesso giorno ed identiche in tutto ma provenienti da due classi sociali radicalmente diverse, che dopo essersi conosciute casualmente, si scambiano i ruoli e le rispettive vite, da cui entrambe vorrebbero di scappare. I temi fondamentali sono l’autodeterminazione, la ricerca della libertà, l’affermazione dei propri desideri. Le due protagoniste infatti, si sentono costrette a rivestire un ruolo che la società ha loro imposto: la canzone rivelatoria “I am a girl like you” mette in luce il profondo legame che nasce fra le due quando si rendono conto di subire la stessa ingiustizia sociale, schiacciate reciprocamente nel ruolo di futura moglie di uno sconosciuto, e di operaia sottopagata sommersa di debiti (“I'm just like you/ You're just like me/ There's somewhere else we'd rather be/ Somewhere that's ours/ Somewhere that dreams come true/ Yes, I am a girl like you”). Un’altra tematica che viene toccata nel film, e che ancora una volta incoraggia l’identificazione delle persone queer, è l’accettazione di sé stessə attraverso la celebrazione della diversità: il gatto di una delle due protagoniste abbaia anziché miagolare, e questo è causa di disagio per l’animale, perché sente che la sua vera identità non rientra in una categoria specifica e normata (né cane, né gatto). Erica, una delle due protagoniste, prontamente intona una canzone attraverso cui lo sprona a non cambiare, a ricordarsi che “diverso” non significa “brutto”: “If you bark, celebrate it,/ Make your mark, serenade it/ And if what you are is a strange you/ Doesn't mean you should change you/ Only means you should change your point of view”. L’eroina si dimostra alleata e affettuosamente solidale in un momento di vulnerabilità dell’amico gatto: “There is not one hair of you/ That I would rearrange/ I love you the way you are/ And that will never change.” Perciò, si può dire i film delle Barbie rappresentino l’avanguardia dell’inclusività o della decostruzione del Male gaze in ambito cinematografico? Sarebbe piuttosto approssimativa e incorretta come lettura: Barbie, infatti, promuove un ideale di femminilità specifico e tradizionale, oltre che privilegiato ed escludente (una donna bianca, cis, magra, abile). E anche nei cartoni, alla fine non viene mai distrutta la gabbia sociale in cui i personaggi si trovano all’inizio, le storie non lasciano spazio ad interpretazioni più profonde del contesto sociopolitico in cui si articola la vicenda. Barbie non è una rivoluzionaria, non vuole davvero rompere gli schemi, sovvertire un sistema in cui non si identifica. E questo è chiaramente dovuto al fatto che tutto l’impero Barbie poggia, comunque, su un ideale individualistico liberale, che non ha davvero interesse nel provocare una riflessione critica complessiva nellə piccolə spettatricə. Perciò vanno condannati in toto? Direi di no. I cartoni delle Barbie hanno offerto e offrono comunque uno spazio sicuro alle personcine queer e alle bambine al di fuori dal Male Gaze, in cui possono sentirsi rappresentatə, avvoltə da un caldo e profumato abbraccio rosa pastello. Hanno dato a persone come me, prima di entrare a dodici anni in contatto con le dinamiche stereotipiche di genere della società eteronormata, la possibilità di immaginarmi ad esempio a convivere con una ragazza in un bosco mangiando pane e marmellata per sempre. E questo prima che articolassi una riflessione di qualsiasi natura sul mio orientamento romantico. Perciò non penso abbia senso condannare le ragazze e le persone queer che ora ricordano affettuosamente i film delle Barbie come qualcosa in cui nella loro infanzia si sono identificate. E per questo, tutto sommato, li rivendico.   VALERIA REGIS   Hanno ispirato l’articolo: Joey Soloway on The Female Gaze, MASTER CLASS, TIFF 2016: https://www.youtube.com/watch?v=pnBvppooD9I&t=2602s Barbie and the straight-to-DVD movie: pink postfeminist pedagogy: https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/14680777.2016.1178158?needAccess=true Overanalyzing the Barbie Movies: https://www.youtube.com/watch?v=ZION_-IsJro

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5 CONSIGLI PER AVERE CAPELLI PERFETTI DURANTE IL CICLO

5 CONSIGLI PER AVERE CAPELLI PERFETTI DURANTE IL CICLO

Quanto può il ciclo mestruale incidere sul cambiamento dei capelli? Abbiamo parlato con Shampora, una realtà tutta italiana che si occupa di cura del capello, realizzando prodotti 100% personalizzati per te. Insieme abbiamo approfondito quelle che possono essere le interazioni tra ciclo mestruale e capelli. Esiste una correlazione tra capelli e ciclo mestruale? Partiamo da un presupposto: ogni persona e ogni corpo è diverso, per questo non esiste una situazione “standard” che si verifica durante le mestruazioni per quanto riguarda capelli e cuoio capelluto. Infatti, ognuno di noi risponde in modo differente! Diverse sono le persone che notano, però, un cambiamento nella propria chioma correlata all’arrivo delle mestruazioni.Innanzitutto, per capire la correlazione tra cuoio capelluto e ciclo mestruale, dobbiamo parlare di ormoni: i nostri capelli, così come la nostra pelle, cambiano anche in base a loro. Gli ormoni, infatti, influenzano non solo il nostro corpo e la nostra mente, ma possono influenzare il ciclo di crescita dei capelli, la produzione di sebo e il ricambio cellulare. Come le mestruazioni influenzano i capelli e il cuoio capelluto? Oltre a riscontrare eventuali dolori, umore ballerino e spossatezza generalizzata, le mestruazioni potrebbero non risparmiare nemmeno i nostri capelli e il nostro cuoio capelluto.Prima delle mestruazioni, il nostro corpo produce un livello più alto di androgeni (ormoni maschili) – in particolare testosterone. Il testosterone ha diverse funzioni tra cui quella di aumentare naturalmente la produzione di sebo. I capelli potrebbero subire un appesantimento dovuto a un accumulo maggiore di sebo sul cuoio capelluto durante il periodo premestruale, apparendo, soprattutto nella parte superiore in zona radici, più piatti, oleosi e tendenti a sporcarsi più velocemente. Durante le mestruazioni, invece, si verifica un abbassamento improvviso degli estrogeni (ormoni femminili) e dei livelli di ferro e minerali presenti nel nostro corpo che, in combinazione a un aumento di stress e stanchezza fisica, possono portare a indebolire il capello, che potrà apparire più spento e infragilito e, in alcuni casi, si potrebbe riscontrare anche un aumento della caduta dei capelli. Niente panico, però, i capelli in questo caso ricrescono da soli! Quello che possiamo affermare con certezza è che gli ormoni sono tra i principali protagonisti durante le mestruazioni. Quando queste iniziano, condizionano anche il nostro cuoio capelluto, che potrebbe tendere a essere più sensibile e soggetto a irritazione. Ovviamente, ogni corpo è diverso e così il proprio livello di ormoni: alcune persone potrebbero notare un aumento del sebo nella settimana prima dell’inizio delle mestruazioni, altre durante le mestruazioni, altre ancora potrebbero non notare una vera e propria differenza rispetto agli altri giorni. Insomma, ogni persona ha la propria esperienza unica!   5 consigli utili per mantenere i capelli in salute durante il ciclo? Per mantenere al meglio capelli e cuoio capelluto durante le mestruazioni, il team di Shampora ha creato una lista di 5 consigli da tenere a mente: Non fare pettinature che tirano i capelli: i capelli, durante le mestruazioni, sono di fatto più deboli e tendono a cadere più facilmente. Prediligi delle acconciature morbide come le trecce o lascia semplicemente la chioma sciolta.  Evita prodotti troppo aggressivi: meglio utilizzare shampoo con tensioattivi delicati. Questi risultano più gentili sul cuoio capelluto durante le mestruazioni e prevengono l’eccessiva eliminazione del sebo naturale che protegge i capelli. Anche se senti il bisogno di lavare i capelli tutti i giorni, non farlo: cerca di lavarli al massimo 1 volta ogni due giorni per non rimuovere eccessivamente il sebo “buono” che mantiene in salute la chioma. Segui una dieta bilanciata: assumi tante vitamine, ferro, acido folico, vitamina c, zinco e biotina. Conduci una dieta ricca di verdura, frutta e proteine! Cerca di ritagliarti del tempo per riposare: dormire ed allentare lo stress durante il ciclo mestruale (e non solo) è importante per abbassare l’indice di cortisolo (ormone dello stress) che ha un ruolo fondamentale nella regolazione del ciclo di vita del follicolo pilifero. Un suo aumento, infatti, potrebbe portare a una riduzione nella formazione del follicolo e un’accelerazione della degradazione di sostanze necessarie per il benessere dei nostri capelli. Ciò può causare disordini e disfunzioni nel normale ciclo di crescita del capello con l’effetto di un possibile aumento della caduta. Per scoprire più di questi consigli, visita il sito di Shampora! 

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HAI MAI PENSATO DI RALLENTARE?

HAI MAI PENSATO DI RALLENTARE?

“The ideal candidate should be able to work in a fast-paced environment”.  Una delle frasi che leggo di più quando, distrattamente, controllo le nuove offerte di lavoro settimanali: “Lə candidatə ideale dovrebbe saper lavorare in un ambiente lavorativo dinamico”. Ed effettivamente mi accorgo che da quando ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro mi sono trovata da subito a seguire un certo tipo di ritmi, a volte frenetici più che dinamici, in tutto ciò che facevo, e che alla fine dei conti ho imparato a farlo molto bene, perché l’ambiente lo richiedeva. Portare a termine un compito celermente significa poterne fare un altro subito dopo e di conseguenza produrre, se così si può dire, di più.  Nel mondo occidentale industriale – ma ormai anche post-industriale – veloce è bello perché è prestante e produttivo e si ha sempre bisogno di essere produttivi ai massimi livelli e ritmi, altrimenti non si contribuisce alla crescita dell’azienda, del brand, dell’economia, della società e così via dicendo.È probabilmente largamente interiorizzata la concezione che lento è invece sinonimo di pigrizia e di conseguenza di improduttività. Ma ad oggi si dovrebbe ancora essere di questa idea?È abitudine di alcuni marchi di fast e luxury fashion, come hanno messo in luce alcuni bilanci in certi casi diffusi dalle società stesse, distruggere l’invenduto – piuttosto che metterlo ai saldi e degradare in un qualche modo il nome del brand – per far spazio alle nuove collezioni che sostituiscono a ritmi frenetici ciò che era una tendenza la stagione (o anche solo il mese) precedente.Questo perché le industrie sono ormai predisposte a produrre, o meglio sovra produrre, con una certa velocità per arrivare a certe quantità, senza preoccuparsi dell’effettivo bisogno che c’è dei loro prodotti. È veramente inevitabile arrivare a questo? Perché produciamo a questa velocità considerando gli impatti economici e soprattutto ambientali che possono avere queste modalità? Durante il primo lockdown invece, all’inizio del 2020, per quanto i risvolti negativi dello stesso siano stati numerosi, molti si sono accorti di come da alcune analisi fosse risultato che una pausa temporanea delle emissioni del traffico e delle attività industriali delle città avessero riportato livelli di qualità dell’aria, prima discutibili se non pericolosi, ad un grado di nuovo vivibile e più sano. Questi sono solo alcuni degli esempi di come a volte lavorare, produrre, muoversi, vivere a ritmi dinamici – fino a che non diventano sfrenati – non porta solo vantaggi ma può anche essere dannoso. Forse non dalla prospettiva di produttività e crescita economica ma, per inciso, è davvero lo scopo ultimo di tutto ciò che facciamo?Per quanto sia praticamente impossibile, e non proprio l’ideale per una serie di motivi che possiamo immaginare, pensare di fermare nuovamente le città, il traffico, il movimento di persone, le industrie e lo stile di vita che a cui ci siamo abituati nel lockdown, si potrebbe forse iniziare in un qualche modo a pensare di rallentare. Rallentare può essere interpretato da alcunə come prendersi una pausa dal lavoro, quando possibile, scandire le proprie giornate, dedicare dei momenti del giorno ad attività rilassanti con conseguente giovamento per corpo e mente, tutte modalità che i supporter dello slow living ci insegnano per ritrovare una sana connessione con sé stessi e l’ambiente che ci circonda. Tuttavia, andando oltre la visione individualistica della cosa, il rallentare può essere anche guardato da un punto di vista diverso, con la prospettiva di portare vantaggi alla società e di preservare l’ambiente, se declinato in strade e ambiti specifici. Prendiamo come esempio il problema di distruzione dell’invenduto da parte di grossi produttori in ambito fashion citato: come si potrebbe interpretare il rallentare in chiave benefica?   Rallentare la produzione – Manufacturing On Demand e analisi dei dati Per quanto possa sembrare utopico, rallentare la produzione industriale di beni e prodotti non è una pratica del tutto inesistente. Il liberarsi dell’invenduto distruggendolo da parte delle aziende è chiaramente causa di grossi danni per l’ambiente in merito di spreco di materia prima e risorse ancora totalmente utilizzabili: cosa sarebbe successo invece sel’azienda produttrice avesse prodotto solo quello di cui i suoi clienti avrebbero avuto bisogno? Ad oggi sembra impossibile aspettarsi da alcuni dei colossi, specialmente del fast fashion, una modifica in questa direzione delle loro modalità di produzione ma a quanto pare non è una via impraticabile.La produzione on-demand, per alcuni settori industriali, è ad esempio un processo in cui la merce viene prodotta solo quando richiesta e come richiesta dal consumatore con il coinvolgimento di piattaforme e tecnologie ad hoc. A differenza dei metodi di produzione tradizionale si evitano in questo modo grossi sprechi di materiale, non sono necessari grandi spazi per lo stoccaggio e il prodotto finale è anche più personalizzabile dal cliente stesso. Con lo stesso scopo, quello di rendere più efficiente la produzione e minimizzare in questo modo sprechi e invenduto, alcune società si stanno muovendo per indirizzare le loro modalità produttive basandosi sull’analisi dei dati digitali degli acquirenti presi, ad esempio, da siti di e-commerce. In questo modo gli è consentito di produrre solo ciò che è richiesto in quel momento e di cambiare velocemente direzione insieme alle mutazioni della domanda dei consumatori. Rallentando i ritmi e le quantità che si producono oggi con queste pratiche, diminuendo di conseguenza gli sprechi e i danni ecologici che essi comportano, anche le aziende produttrici stesse possono trarne vantaggio. Possiamo quindi augurarci un futuro del genere?   Rallentare (o prolungare) la vita di un prodotto – Upcycling, Repairing, Reusing Mentre la produzione industriale è qualcosa per la cui evoluzione dovremmo forse aspettare ancora qualche anno di avanzamento tecnologico, il ciclo di vita di un prodotto è ciò con cui abbiamo e avremo a che fare molteplici volte nell’arco della nostra vita.L’upcycling di prodotti è una delle pratiche che permettono di allungarne la vita nel momento in cui pensiamo non ci servano più, non svolgono più la loro funzione come si deve o semplicemente non ci piacciono più. In poche parole: se una cassetta di legno non ci serve più per contenere la frutta può diventare un contenitore per piante da balcone oppure se una gonna troppo lunga ormai non ci convince più può essere tagliata e ricucita per essere indossata di nuovo.Lo stesso principio vale per il riparare ciò che si è rotto. Alcune aziende di abbigliamento sportivo e tecnico particolarmente attente alla causa ambientale, ad esempio, cercano di contribuire loro stesse condividendo con gli acquirenti delle guide o tutorial su come riparare i loro prodotti.E infine uno dei migliori modi per prolungare il ciclo di vita di un prodotto: continuare ad utilizzarne uno che è stato già usato ma che è ancora in ottime condizioni. Per rimanere nell’ambito dell’abbigliamento, ad oggi, con le numerose app per acquisti di prodotti usati o pre-loved fruibili da casa propria esattamente come da un sito di e-commerce, ri-usare l’usato è diventato facile come comprare il nuovo ma più conveniente.Prestando attenzione a tutte o anche solo alcune di queste pratiche di fronte ai prodotti con cui abbiamo a che fare ogni giorno si può veramente spostare l’asticella un po’ più verso uno stile di vita basato sulla circular economy e un po’ meno vicino a ritmi di consumo frenetici e forse pericolosi.   Rallentare il nostro bisogno di consumo – Mi serve davvero? Forse una delle cose più difficili da ripensare, non solo in termini di rallentare per beneficiare pianeta e società, sono le nostre abitudini mentali.Nello specifico, parlo delle nostre abitudini di consumo – e per nostre si intende di un mondo occidentale, industrializzato e sviluppato – eredità di una società in cui moltə sono natə e cresciutə o in cui in un qualche modo si sono ritrovatə. Il fast-paced environment, l’ambiente dinamico (o frenetico), di cui parlano gli annunci di lavoro non è solo quello in cui dovremmo essere abituatə a lavorare e produrre ma anche un ambiente che ci suggerisce di consumare ad un certo ritmo. Ricollegando di nuovo il tutto al mondo di moda e abbigliamento non c’è esempio più esplicativo che la velocità con cui i giganti del fast fashion sfornano nuove collezioni e come effettivamente hanno i loro motivi per farlo: gli acquirenti comprano e si stufano presto di ciò che andava di moda la stagione prima, per poi comprare di nuovo, stufarsi ancora una volta e comprare ancora. Ri-educarci a una consapevolezza di consumo sana e di conseguenza vantaggiosa anche per l’ambiente che ci circonda, le risorse naturali da cui attingiamo, le condizioni climatiche in cui viviamo, può essere una parte della soluzione al problema. È importante chiedersi, prima di acquistare o consumare un prodotto, se ci serve davvero o se invece siamo a posto con ciò che già abbiamo, se possiamo farne a meno, che tipo di impatto avrà l’acquisto: ogni volta sarebbe nostro dovere darci del tempo e valutare attentamente il nostro bisogno di quella cosa nuova che non vediamo l’ora di avere, in poche parole rallentare.   ARIANNA PRIMAVERA  

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