Female gaze e film delle Barbie
Queer culture e rivendicazione di genere nella nostra infanzia
C’è stato un momento in cui tutte noi bambine (e personcine queer) nate fra gli anni ‘90 e 2000 siamo diventate pazze per i film delle Barbie. Barbie la Principessa e la Povera, Barbie e le dodici principesse danzati, Barbie e il Lago dei cigni, Barbie e il Castello di Diamanti, Barbie e la magia di Pegaso, e così via, i film delle Barbie ci offrivano scenari onirici rosa e scintillanti fatti di diademi e coroncine fatate a cui tutte guardavamo con stupore, ammirazione e desiderio. Ma che c’entrano i film delle Barbie con il Female Gaze?
Ma che cos'è il Female Gaze?
Innanzitutto, il Female Gaze è un approccio cinematografico, di origine femminista, in cui i tre sguardi che caratterizzano la scena, quello della regista, dell’attrice e della spettatrice, sono femminili. É bene precisare che più che il genere di questi tre soggetti, quello che importa è la rappresentazione che viene fatta delle donne: non come corpi oggettificati, ma come soggetti dotati di agency. Nasce in contrasto alla rappresentazione cinematografica tradizionale, definita ora Male Gaze, di cui praticamente tutta la cinematografia mainstream è un esempio, a volte in modo più evidente, a volte più velatamente. In questi film il taglio della ripresa si focalizza sul corpo delle donne anziché su quello che dicono, spesso offrendo una collezione di primi piani di parti di corpi sessualizzati in slow motion. I ruoli femminili spiccano innanzitutto per la bellezza dell’attrice, non per la caratterizzazione del personaggio, che è spesso tipizzato e stereotipico: il rapporto fra i ruoli di genere uomo-donna rientrano nella narrativa attivo-passivo cara alla cultura eteronormata, la camera priva i personaggi femminili dell’autonomia e della possibilità di autodeterminarsi. Il pubblico si identifica nel punto di vista del genere privilegiato, che diventa così il punto di vista naturale e “imparziale”: lo sguardo maschile è lo sguardo universale.
Ma come dare spazio, articolare, lo sguardo femminile? Non basta mettere una donna protagonista in un film d’azione, magari in una tutina attillata, come non basta capovolgere il paradigma: non è sessualizzando i corpi maschili alla Magic Mike che si ottiene un Female Gaze, ma solo un Male Gaze applicato ad altri uomini.
La camera del Female Gaze è focalizzata sul cosiddetto feeling seeing, come spiega Joey Soloway, regista, direttorə e produttricə statunitense, in un suo celebre TIFF Talk: una camera soggettiva che ci mostra il viaggio emotivo dellə protagonista da dentro, ci permette di sentire e vedere cosa sta provando; le emozioni hanno priorità sulle azioni.
Si potrebbe dire che se il Male Gaze tende ad oggettificare le donne, il Female Gaze tende ad umanizzare gli uomini. Ma torniamo alle Barbie.
Per quanto mi riguarda, i film delle Barbie occupano un posto speciale nel mio cuore perché hanno segnato la conclusione di un periodo della mia vita, l’infanzia. Sono stata l’ultima cosa “da bambina” che ho apprezzato, prima di rinnegare completamente la mia femminilità nella preadolescenza e iniziare ad allontanare tutto ciò che era vagamente metaforicamente rosa. Ho rimparato ad amarli e a rivendicarmeli da poco.
Ma cosa spaventava così tanto la me dodicenne di quell’ingarbuglio di canzoncine in controvoce, scarpette da ballo e gonne ampie? Penso che la risposta sia: la loro eccessiva femminilità, che la misoginia interiorizzata regalatami dalla società patriarcale a cui mi affacciavo a dodici anni, mi ha insegnato subito a disprezzare.
Perché se lo sguardo universale dominante è quello maschile, tutto ciò che non è stato diretto, interpretato e non ha come fruitore l’Uomo, cioè non presenta i caratteri tipici del Male Gaze, diventa frivolo, non interessante, superficiale, anche implicitamente degradante. “Roba da ragazze”.
E Barbie, avvolta nel suo tulle rosa, trotterella a tutto gas fuori dal Male Gaze, lo stordisce a colpi di glitter, passi di danza, vulnerabilità ed espressione emotiva. Il mondo dei cartoni delle Barbie è fondamentalmente uno spazio in cui il punto di vista maschile (tradizionalmente inteso) non è protagonista, o proprio non è presente.
Un luogo in cui lo sguardo, le emozioni e i sentimenti della bambina, o personcina queer, diventano importanti, centrali.
Ma come si articola il Female Gaze nei cartoni delle Barbie?
Dato il target, i film delle Barbie hanno come protagoniste indiscusse le relazioni di amicizia femminile, che vengono rappresentate come rapporti sociali orizzontali, egualitari, bilanciati. Il pubblico si identifica nella prospettiva femminile e il taglio cinematografico mette in luce il significato di essere donna nell’universo Barbie. E seppure le relazioni romantiche eterosessuali siano spesso presenti nel sottofondo, non rappresentano mai il fulcro della trama. I personaggi maschili ci sono, ma non rivestono ruoli determinanti né esercitano oppressione, agiscono spesso in posizione di alleato. Non esistono dinamiche di potere fra generi, Barbie non deve rivendicare il suo ruolo di protagonista impersonando le caratteristiche della mascolinità tossica performante che il Male Gaze impone ai protagonisti maschi: si mostra vulnerabile, premurosa, sognatrice, mette in discussione le sue scelte, sbaglia, è in grado di perdonare e perdonarsi.
Ma vediamo qualche esempio. Riporterò le mie considerazioni sui miei due film delle Barbie preferiti, che alla fine sono anche quelli più dichiaratamente queer e in cui il Female Gaze è più evidente. Barbie e il Castello di Diamanti e Barbie - la Principessa e la Povera.
Il primo racconta la storia di due “amiche” inseparabili che vivono in una casetta cottagecore, semi-isolate dalla società. Durante il corso del film devono affrontare diverse sfide che mettono a dura prova il loro rapporto, ma alla fine il loro legame trionfa e le due possono riunirsi.
Il tema principale è indubbiamente la celebrazione della relazione fra donne, che viene proposta in modo spontaneo, semplice, quotidiano, in contrasto con la rappresentazione cinematografica mainstream che tende a demonizzare e devalorizzare i rapporti femminili ritraendoli come complicati, insidiosi, maliziosi.
É facile per una persona queer identificarsi in questo film in particolare perché tutte le dinamiche rappresentate prescindono dagli schemi sociali patriarcali tipici del Male Gaze: a differenza di altri cartoni Barbie, le due protagoniste si mostrano completamente disinteressate nei confronti di potenziali relazioni eterosessuali, sebbene si presenti l’occasione (ironicamente inoltre, a metà film saltano su un arcobaleno magico lasciando indietro i due ragazzi che si erano offerti di accompagnarle nella missione). Identificazione che viene rafforzata quando, alla fine del film, dopo una scena romantica strappalacrime che vede una protagonista salvare l’altra da un incantesimo grazie al potere dell’”amicizia”, le due rifiutano l’offerta di restare a vivere nel Castello di Diamanti. Tutto ciò che desiderano è infatti tornare alla loro casetta nel bosco dove possono vivere da sole, coltivare fiori e cantarsi canzoni d’amore reciprocamente (più bella fra tutte, Connected: “Every time that I breathe/ I can feel the energy/ Reachin' out, flowing through/ You to me and me to you/ You are everywhere I am/ Separate souls unified/ Touchin' at the speed of life”).
Barbie - la Principessa e la Povera è una storia di giochi di potere, scambi di persona, regni in banca rotta. La trama si articola su due ragazze, nate lo stesso giorno ed identiche in tutto ma provenienti da due classi sociali radicalmente diverse, che dopo essersi conosciute casualmente, si scambiano i ruoli e le rispettive vite, da cui entrambe vorrebbero di scappare.
I temi fondamentali sono l’autodeterminazione, la ricerca della libertà, l’affermazione dei propri desideri. Le due protagoniste infatti, si sentono costrette a rivestire un ruolo che la società ha loro imposto: la canzone rivelatoria “I am a girl like you” mette in luce il profondo legame che nasce fra le due quando si rendono conto di subire la stessa ingiustizia sociale, schiacciate reciprocamente nel ruolo di futura moglie di uno sconosciuto, e di operaia sottopagata sommersa di debiti (“I'm just like you/ You're just like me/ There's somewhere else we'd rather be/ Somewhere that's ours/ Somewhere that dreams come true/ Yes, I am a girl like you”).
Un’altra tematica che viene toccata nel film, e che ancora una volta incoraggia l’identificazione delle persone queer, è l’accettazione di sé stessə attraverso la celebrazione della diversità: il gatto di una delle due protagoniste abbaia anziché miagolare, e questo è causa di disagio per l’animale, perché sente che la sua vera identità non rientra in una categoria specifica e normata (né cane, né gatto). Erica, una delle due protagoniste, prontamente intona una canzone attraverso cui lo sprona a non cambiare, a ricordarsi che “diverso” non significa “brutto”: “If you bark, celebrate it,/ Make your mark, serenade it/ And if what you are is a strange you/ Doesn't mean you should change you/ Only means you should change your point of view”. L’eroina si dimostra alleata e affettuosamente solidale in un momento di vulnerabilità dell’amico gatto: “There is not one hair of you/ That I would rearrange/ I love you the way you are/ And that will never change.”
Perciò, si può dire i film delle Barbie rappresentino l’avanguardia dell’inclusività o della decostruzione del Male gaze in ambito cinematografico? Sarebbe piuttosto approssimativa e incorretta come lettura: Barbie, infatti, promuove un ideale di femminilità specifico e tradizionale, oltre che privilegiato ed escludente (una donna bianca, cis, magra, abile). E anche nei cartoni, alla fine non viene mai distrutta la gabbia sociale in cui i personaggi si trovano all’inizio, le storie non lasciano spazio ad interpretazioni più profonde del contesto sociopolitico in cui si articola la vicenda. Barbie non è una rivoluzionaria, non vuole davvero rompere gli schemi, sovvertire un sistema in cui non si identifica. E questo è chiaramente dovuto al fatto che tutto l’impero Barbie poggia, comunque, su un ideale individualistico liberale, che non ha davvero interesse nel provocare una riflessione critica complessiva nellə piccolə spettatricə.
Perciò vanno condannati in toto?
Direi di no. I cartoni delle Barbie hanno offerto e offrono comunque uno spazio sicuro alle personcine queer e alle bambine al di fuori dal Male Gaze, in cui possono sentirsi rappresentatə, avvoltə da un caldo e profumato abbraccio rosa pastello. Hanno dato a persone come me, prima di entrare a dodici anni in contatto con le dinamiche stereotipiche di genere della società eteronormata, la possibilità di immaginarmi ad esempio a convivere con una ragazza in un bosco mangiando pane e marmellata per sempre. E questo prima che articolassi una riflessione di qualsiasi natura sul mio orientamento romantico. Perciò non penso abbia senso condannare le ragazze e le persone queer che ora ricordano affettuosamente i film delle Barbie come qualcosa in cui nella loro infanzia si sono identificate.
E per questo, tutto sommato, li rivendico.
VALERIA REGIS
Hanno ispirato l’articolo:
Joey Soloway on The Female Gaze, MASTER CLASS, TIFF 2016: https://www.youtube.com/watch?v=pnBvppooD9I&t=2602s
Barbie and the straight-to-DVD movie: pink postfeminist pedagogy: https://www.tandfonline.com/doi/pdf/10.1080/14680777.2016.1178158?needAccess=true
Overanalyzing the Barbie Movies: https://www.youtube.com/watch?v=ZION_-IsJro