HAI MAI PENSATO DI RALLENTARE?

“The ideal candidate should be able to work in a fast-paced environment”. 
Una delle frasi che leggo di più quando, distrattamente, controllo le nuove offerte di lavoro settimanali: “Lə candidatə ideale dovrebbe saper lavorare in un ambiente lavorativo dinamico”. Ed effettivamente mi accorgo che da quando ho fatto il mio ingresso nel mondo del lavoro mi sono trovata da subito a seguire un certo tipo di ritmi, a volte frenetici più che dinamici, in tutto ciò che facevo, e che alla fine dei conti ho imparato a farlo molto bene, perché l’ambiente lo richiedeva.
Portare a termine un compito celermente significa poterne fare un altro subito dopo e di conseguenza produrre, se così si può dire, di più. 
Nel mondo occidentale industriale ma ormai anche post-industriale veloce è bello perché è prestante e produttivo e si ha sempre bisogno di essere produttivi ai massimi livelli e ritmi, altrimenti non si contribuisce alla crescita dell’azienda, del brand, dell’economia, della società e così via dicendo.
È probabilmente largamente interiorizzata la concezione che lento è invece sinonimo di pigrizia e di conseguenza di improduttività. Ma ad oggi si dovrebbe ancora essere di questa idea?È abitudine di alcuni marchi di fast e luxury fashion, come hanno messo in luce alcuni bilanci in certi casi diffusi dalle società stesse, distruggere l’invenduto – piuttosto che metterlo ai saldi e degradare in un qualche modo il nome del brand per far spazio alle nuove collezioni che sostituiscono a ritmi frenetici ciò che era una tendenza la stagione (o anche solo il mese) precedente.Questo perché le industrie sono ormai predisposte a produrre, o meglio sovra produrre, con una certa velocità per arrivare a certe quantità, senza preoccuparsi dell’effettivo bisogno che c’è dei loro prodotti.

È veramente inevitabile arrivare a questo? Perché produciamo a questa velocità considerando gli impatti economici e soprattutto ambientali che possono avere queste modalità?

Durante il primo lockdown invece, all’inizio del 2020, per quanto i risvolti negativi dello stesso siano stati numerosi, molti si sono accorti di come da alcune analisi fosse risultato che una pausa temporanea delle emissioni del traffico e delle attività industriali delle città avessero riportato livelli di qualità dell’aria, prima discutibili se non pericolosi, ad un grado di nuovo vivibile e più sano.

Questi sono solo alcuni degli esempi di come a volte lavorare, produrre, muoversi, vivere a ritmi dinamici fino a che non diventano sfrenati non porta solo vantaggi ma può anche essere dannoso. Forse non dalla prospettiva di produttività e crescita economica ma, per inciso, è davvero lo scopo ultimo di tutto ciò che facciamo?
Per quanto sia praticamente impossibile, e non proprio
l’ideale per una serie di motivi che possiamo immaginare, pensare di fermare nuovamente le città, il traffico, il movimento di persone, le industrie e lo stile di vita che a cui ci siamo abituati nel lockdown, si potrebbe forse iniziare in un qualche modo a pensare di rallentare.

Rallentare può essere interpretato da alcunə come prendersi una pausa dal lavoro, quando possibile, scandire le proprie giornate, dedicare dei momenti del giorno ad attività rilassanti con conseguente giovamento per corpo e mente, tutte modalità che i supporter dello slow living ci insegnano per ritrovare una sana connessione con sé stessi e l’ambiente che ci circonda. Tuttavia, andando oltre la visione individualistica della cosa, il rallentare può essere anche guardato da un punto di vista diverso, con la prospettiva di portare vantaggi alla società e di preservare l’ambiente, se declinato in strade e ambiti specifici. Prendiamo come esempio il problema di distruzione dell’invenduto da parte di grossi produttori in ambito fashion citato: come si potrebbe interpretare il rallentare in chiave benefica?

 

Rallentare la produzione – Manufacturing On Demand e analisi dei dati

Per quanto possa sembrare utopico, rallentare la produzione industriale di beni e prodotti non è una pratica del tutto inesistente. Il liberarsi dell’invenduto distruggendolo da parte delle aziende è chiaramente causa di grossi danni per l’ambiente in merito di spreco di materia prima e risorse ancora totalmente utilizzabili: cosa sarebbe successo invece sel’azienda produttrice avesse prodotto solo quello di cui i suoi clienti avrebbero avuto bisogno?

Ad oggi sembra impossibile aspettarsi da alcuni dei colossi, specialmente del fast fashion, una modifica in questa direzione delle loro modalità di produzione ma a quanto pare non è una via impraticabile.
La produzione on-demand, per alcuni settori industriali, è ad esempio un processo in cui la merce viene prodotta solo quando richiesta e come richiesta dal consumatore con il coinvolgimento di piattaforme e tecnologie ad hoc. A differenza dei metodi di produzione tradizionale si evitano in questo modo grossi sprechi di materiale, non sono necessari grandi spazi per lo stoccaggio e il prodotto finale è anche più personalizzabile dal cliente stesso.

Con lo stesso scopo, quello di rendere più efficiente la produzione e minimizzare in questo modo sprechi e invenduto, alcune società si stanno muovendo per indirizzare le loro modalità produttive basandosi sull’analisi dei dati digitali degli acquirenti presi, ad esempio, da siti di e-commerce. In questo modo gli è consentito di produrre solo ciò che è richiesto in quel momento e di cambiare velocemente direzione insieme alle mutazioni della domanda dei consumatori.

Rallentando i ritmi e le quantità che si producono oggi con queste pratiche, diminuendo di conseguenza gli sprechi e i danni ecologici che essi comportano, anche le aziende produttrici stesse possono trarne vantaggio. Possiamo quindi augurarci un futuro del genere?

 

Rallentare (o prolungare) la vita di un prodotto – Upcycling, Repairing, Reusing

Mentre la produzione industriale è qualcosa per la cui evoluzione dovremmo forse aspettare ancora qualche anno di avanzamento tecnologico, il ciclo di vita di un prodotto è ciò con cui abbiamo e avremo a che fare molteplici volte nell’arco della nostra vita.
L’upcycling di prodotti è una delle pratiche che permettono di allungarne la vita nel momento in cui pensiamo non ci servano più, non svolgono più la loro funzione come si deve o semplicemente non ci piacciono più. In poche parole: se una cassetta di legno non ci serve più per contenere la frutta può diventare un contenitore per piante da balcone oppure se una gonna troppo lunga ormai non ci convince più può essere tagliata e ricucita per essere indossata di nuovo.
Lo stesso principio vale per il riparare ciò che si è rotto. Alcune aziende di abbigliamento sportivo e tecnico particolarmente attente alla causa ambientale, ad esempio, cercano di contribuire loro stesse condividendo con gli acquirenti delle guide o tutorial su come riparare i loro prodotti.
E infine uno dei migliori modi per prolungare il ciclo di vita di un prodotto: continuare ad utilizzarne uno che è stato già usato ma che è ancora in ottime condizioni.
Per rimanere nell’ambito dell’abbigliamento, ad oggi, con le numerose app per acquisti di prodotti usati o pre-loved fruibili da casa propria esattamente come da un sito di e-commerce, ri-usare l’usato è diventato facile come comprare il nuovo ma più conveniente.
Prestando attenzione a tutte o anche solo alcune di queste pratiche di fronte ai prodotti con cui abbiamo a che fare ogni
giorno si può veramente spostare l’asticella un po’ più verso uno stile di vita basato sulla circular economy e un po’ meno vicino a ritmi di consumo frenetici e forse pericolosi.

 

Rallentare il nostro bisogno di consumo – Mi serve davvero?

Forse una delle cose più difficili da ripensare, non solo in termini di rallentare per beneficiare pianeta e società, sono le nostre abitudini mentali.
Nello specifico, parlo delle nostre abitudini di consumo
e per nostre si intende di un mondo occidentale, industrializzato e sviluppato eredità di una società in cui moltə sono natə e cresciutə o in cui in un qualche modo si sono ritrovatə.

Il fast-paced environment, l’ambiente dinamico (o frenetico), di cui parlano gli annunci di lavoro non è solo quello in cui dovremmo essere abituatə a lavorare e produrre ma anche un ambiente che ci suggerisce di consumare ad un certo ritmo. Ricollegando di nuovo il tutto al mondo di moda e abbigliamento non c’è esempio più esplicativo che la velocità con cui i giganti del fast fashion sfornano nuove collezioni e come effettivamente hanno i loro motivi per farlo: gli acquirenti comprano e si stufano presto di ciò che andava di moda la stagione prima, per poi comprare di nuovo, stufarsi ancora una volta e comprare ancora.

Ri-educarci a una consapevolezza di consumo sana e di conseguenza vantaggiosa anche per l’ambiente che ci circonda, le risorse naturali da cui attingiamo, le condizioni climatiche in cui viviamo, può essere una parte della soluzione al problema. È importante chiedersi, prima di acquistare o consumare un prodotto, se ci serve davvero o se invece siamo a posto con ciò che già abbiamo, se possiamo farne a meno, che tipo di impatto avrà l’acquisto: ogni volta sarebbe nostro dovere darci del tempo e valutare attentamente il nostro bisogno di quella cosa nuova che non vediamo l’ora di avere, in poche parole rallentare.

 

ARIANNA PRIMAVERA

 




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