Periodica Magazine: lo spazio per il dialogo aperto
Sessualità e scuola
C’è uno scarto notevole tra ciò che gli adulti pensano che i ragazzi e le ragazze sappiano a proposito del sesso e ciò che sanno davvero. Ci riferiamo a quella parte di popolazione molto giovane, gente delle medie insomma, che - come è noto - comincia proprio in quegli anni ad approcciarsi al sesso - in senso lato - e a tutto ciò che lo riguarda. Eppure, più o meno consapevolmente, tendiamo ad auto-convincerci che loro, di sesso, sappiano ben poco. Forse è così. Sapere è un concetto vago e ampio, e conoscere la sessualità è un qualcosa che si fa con il tempo, senza neanche imparare tutto. Ciò che è indubbio, però, è che * ragazz* della loro età hanno quasi quotidianamente un contatto con i più svariati contenuti espliciti. Non solo conoscono un corpo nudo, femminile o maschile che sia, ma conoscono la terminologia, le posizioni, le categorie pornografiche, i nomi di attori e di attrici. Conoscono come funziona, in teoria, un atto sessuale e non se ne stupiscono più di tanto. Ne parlavo qualche giorno fa con un caro amico insegnante di scuola media. Mi raccontava di questa conoscenza enciclopedica, per quanto non per esperienza diretta, della materia da parte dell* alunn*. Soprattutto maschi, dice. Tutto ciò accade tra l’inconsapevolezza o negazione da parte degli adulti, che siano insegnanti datati che confondono l’educazione sessuale con l’anatomia o che siano genitori incapaci di pensare al loro figlio o figlia come a un potenziale fruitore di porno. Mi riportava un caso specifico. Il padre di un alunno, infuriato, lamentava agli insegnanti il comportamento di un compagno, colpevole di aver inviato al proprio figlio un link di un noto sito pornografico. Il figlio, naturalmente, non aveva visto il video, diceva lui, perché sul telefono ha un ineludibile sistema di blocco dei contenuti espliciti (certo, certo). Pur lasciano da parte l’ironia, l’evento rappresenta una fotografia amara e reale. Docenti e genitori, ovvero coloro che dovrebbero, insieme ad altri, non dico insegnare ma per lo meno parlare di sessualità, non lo fanno, o se lo fanno, è un farlo a tentoni, quasi con un senso di imbarazzo. Nelle scuole in particolare manca ancora un’educazione sessuale programmatica e sensata. È vero, esistono casi in cui - nelle scuole superiori - vengono ospitati esperti per parlare della cosa, ma sono casi isolati. Non è la norma. Spesso la materia è affidata a docenti che per formazione non sono adatti a parlarne, e scambiano la sessualità con l’anatomia. Spiegare come avviene l’eiaculazione di un uomo o come una donna rimane incinta limita a una fredda e distaccata conoscenza scientifica la cosa, conoscenza che da molt* verrà anche ignorata. E non solo: limitare alle scuole superiori quei pochi approcci di educazione sessuale vera, come se ci fosse una qualche censura alla cosa prima dei sedici anni, esclude tutta una parte di pubblico che nel frattempo approccia dei contenuti sessuali senza un filtro o una consapevolezza, anche solo di base. Lo sdoganamento nella pornografia, per quanto sacrosanto, può avere effetti impattanti se non accompagnata dall’idea che quella non è il sesso. La pornografia non è e non deve essere educazione sessuale, non dobbiamo lasciare che generazioni di individui formino la propria sessualità su modelli lontanissimi dalla realtà. I rischi, infatti, sono molti. Innanzitutto la struttura maschio-centrica della maggior parte dei porno, che relega la donna a mero strumento per l’eiaculazione in un atto violento e martellante che finisce quando è il maschio a finire; e in secondo luogo il senso di inadeguatezza che si sviluppa, solitamente in un ragazzo, osservando certi modelli. Se l’unico approccio vero alla sessualità è stata la pornografia, nel momento dell’atto potrebbe non essere in grado di accettare i propri limiti, le proprie dimensioni, le proprie sicurezze. Eccetera. Per quanto sottovalutiamo la cosa, il sesso è una sfera che costantemente circonda gli individui. Che per quanto ci ostiniamo a chiamare tabù, e a trattarlo da tale, tale non è. Il sesso ci circonda, siamo bombardati da immagini, filmati, discussioni: eppure a casa e a scuola ci convinciamo che in fondo va bene non parlarne, o se mai accennare di sfuggita il tema. No. È necessario parlarne perché è necessario mediare tra un mondo in cui il sesso è parte della cultura e delle persone che con il sesso si dovranno, prima o poi, confrontare. E se ne devono occupare figure esperte, psicologi se non sessuologi. Non insegnanti di altre materie, più o meno costretti da un’indicazione ministeriale a inserire nella programmazione un paio di ore all’anno di educazione sessuale. Perché quella non è educazione sessuale, è un modo per pulirsi la coscienza, perché lo Stato possa rassicurarsi nella consapevolezza che certi temi li affronta. Non basta, vogliamo di più. ENRICO PONZIO
Saperne di piùIl lato oscuro del ciclo, forse
Se fossi vissuta nell’Antico Egitto, i tuoi assorbenti sarebbero stati fogli di papiro. Se fossi vissuta nell’Antica Grecia, i tuoi assorbenti sarebbero stati pelli di animali e il tuo sangue considerato potente veleno tossico (venom, venom, venom… non senti la canzone in sottofondo?). Se fossi vissuta nell’Antica Roma, i tuoi assorbenti sarebbero stati panni di stoffa da legare alla cintura. Grazie al tuo tocco, durante il periodo mestruale, saresti stata in grado di seccare le messi di grano, inacidire il mosto, far cadere i frutti dagli alberi, uccidere le api e appannare gli specchi (avresti avuto i superpoteri insomma). Se fossi vissuta nel Medioevo, i tuoi assorbenti sarebbero stati di panno o di muschio. Saresti stata in grado persino di far venire la rabbia ai cani e mandare il malocchio ai tuoi nemici (la seconda sembra utile!) Nel Sei-Settecento ti saresti vestita di rosso almeno una volta al mese per nascondere macchie (altro che mutande mestruali, abiti mestruali!) Se fossi nata in Napal (almeno fino al 2005) saresti stata esiliata di casa ogni mese e lasciata al freddo poiché il tuo ciclo avrebbe fatto infuriare gli dei. Se fossi stata una cuoca, per molte culture, il tuo ciclo non avrebbe fatto lievitare il pane, la carne nelle tue mani sarebbe marcita e la maionese sarebbe impazzita (ah, questa maionese isterica…). Se fossi stata a passeggio nel bosco o al mare gli orsi e gli squali ti avrebbero attaccata subito (altro che Steven Spielberg). Se fossi stata in India, durante il tuo ciclo non avresti potuto accedere al Tempio perché troppo impura per gli dei. Se fossi nata in Iran, per molti le tue mestruazioni sarebbero state in realtà una brutta malattia. Se fossi nata in Afghanistan o in Giappone durante il periodo mestruale non avresti potuto lavarti, cucinare sushi o dormire con la tua famiglia. Ma sei nata in Italia e i tabù sulle tue mestruazioni non ti garantiscono ancora il congedo mestruale e altri diritti sacrosanti che ti spetterebbero. Per molti non dovresti fare cose come il bagno al mare, lavarti e tingerti i capelli o depilarti. Ma ora che li conosci puoi liberarti dai falsi miti che ci hanno tenute per secoli chiuse nella gabbia dei pregiudizi. È ora di abbracciare la nostra autenticità e sfidare tutte le convinzioni sbagliate. EMILIA BIFANO
Saperne di piùPARLIAMO DI FIBROMALGIA: SCOPRIAMO QUEL VELO INVISIBILE CHE ANCORA LA NASCONDE
Il 12 maggio è stata la giornata internazionale della fibromialgia, e cogliamo l'occasione per fare chiarezza su questa malattia e per dare la giusta visibilità che questa patologia merita, promuovendo una maggiore consapevolezza tra tutt* noi. Questo perché la fibromialgia appartiene a quel gruppo di malattie che sono rimaste invisibili troppo a lungo. Invisibile perché non è riconosciuta correttamente dal Sistema Sanitario Nazionale e, anzi, sono molti i medici che non la conoscono o ne negano addirittura l’esistenza. Di conseguenza, anche a livello sociale e medico, spesso i pazienti non sono né creduti né aiutati. Vengono abbandonati dalla sanità e dallo Stato, che dovrebbero garantire il benessere di tutt* quant*. Questo non è possibile, però, senza sapere che cosa effettivamente sia la fibromialgia e su quali punti sia importante intervenire da parte della sanità. La fibromialgia è una patologia cronica del sistema nervoso centrale che si manifesta, soprattutto, attraverso l'insorgenza di dolori muscolari e articolari diffusi, accompagnati spesso da sindrome del colon irritabile, stanchezza, ansia e depressione, difficoltà a concentrarsi, disturbi del sonno e sessuali. Questa malattia interessa circa il 2-4% della popolazione (in Italia sono 2 milioni le persone affette) e colpisce soprattutto le donne, con una prevalenza che varia tra il 70-90% del totale dei casi. Si associa, poi, spesso ad altri disturbi come la sindrome da stanchezza cronica o il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). La causa della fibromialgia non è ancora completamente nota, ma si pensa che ci sia un’interazione tra diversi fattori genetici, ambientali e psicologici, con alla base un interessamento principalmente a livello nervoso. Si ritiene, infatti, che sia una manifestazione di un disordine neurologico che coinvolge la percezione del dolore a livello cerebrale, che fa sì che stimoli normalmente non dolorosi vengano interpretati come dolore. Il dolore diffuso è spesso accompagnato da punti trigger, chiamati tender points, ovvero dei punti di maggiore sensibilità alla pressione, ma questi non sono sempre presenti. Inoltre, alcuni fattori di rischio, come lo stress, l'inattività fisica e alcuni disturbi del sonno, possono aumentare la probabilità di sviluppare questa patologia. La fibromialgia, come, purtroppo, altre patologie, non ha una cura specifica e definitiva, ma esistono diverse strategie terapeutiche per migliorare i sintomi e la qualità di vita dei e delle pazienti. Tra queste ci sono la terapia farmacologica, con antidolorifici, antidepressivi, antiepilettici e miorilassanti, e la terapia non farmacologica, con esercizi fisici mirati, fisioterapia, terapia occupazionale e supporto psicologico, quest’ultimi soprattutto per gestire più efficacemente la stanchezza e migliorare il sonno. Inoltre, stili di vita sani possono ridurre l'impatto della fibromialgia: evitando, per esempio, alimenti e bevande che possono irritare l'intestino, esercitandosi in modo costante e moderato (esercizi fisici leggeri, come il nuoto o la camminata) per migliorare la postura, la mobilità, il tono muscolare e la rigidità muscolare. Inserendo, poi, all’interno delle giornate, delle tecniche di rilassamento come lo yoga o la meditazione, si è visto un miglioramento generale della salute e dell’umore delle persone affette da fibromialgia. La fibromialgia, però, non è solo una serie di sintomi: l’impatto che causa sulle vite delle singole persone non si limita a questo. È importante, infatti, sottolineare che la fibromialgia non è una malattia immaginaria o psicologica, anzi, viene spesso sottovalutata o negata dai medici, in quanto quest’ultimi, essendo i sintomi non visibili né facilmente misurabili attraverso gli esami di laboratorio, imputano i dolori riferiti come frutti di immaginazione, parlando, quindi, di patologie mentali, soprattutto nel caso in cui la paziente sia una donna. La sintomatologia di questa patologia, essendo poco chiara e riconoscibile, poi, può essere facilmente confusa con altre patologie, come l'artrite reumatoide o il lupus. Per questa ragione, la diagnosi di fibromialgia può richiedere molto tempo e molte visite mediche, con conseguente frustrazione per chi ne è affett*. È, quindi, una patologia reale che può causare gravi limitazioni nella vita quotidiana, rendendo difficili tante cose che chi non è affett* dà per scontate nella propria vita. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei professionisti sanitari è, quindi, fondamentale per garantire in primis dignità alle e ai pazienti affetti da questa malattia, in secundis una diagnosi precoce e un trattamento adeguato della fibromialgia. Non tanto per parlare della malattia in sé, quanto del trattamento riservato a tutte le persone che soffrono di tutte quelle patologie invisibili che non rientrano nei LEA, ossia i Livelli Essenziali di Assistenza. E per questo tipo di patologie lo Stato non offre alcuna esenzione, diventando a carico totale delle singole persone affette. Non viene nemmeno considerata una malattia invalidante, nonostante lo sia eccome, e per questa ragione non si svolge sufficiente ricerca per sviluppare una terapia né le case farmaceutiche investono abbastanza da poter sviluppare un farmaco ad hoc per la fibromialgia. I benefici delle terapie, infatti, spesso risultano minori rispetto a quanto ipotizzato e comunicato alle e ai pazienti e i costi rimangono altissimi, finendo, però, tutti a carico della persona malata e non dello Stato. E non si tratta di terapie che tutti possono permettersi: quante persone devono continuare a soffrire perché non hanno la possibilità di curarsi per via di uno Stato poco attento? Come tutte le donne affette da vulvodinia e/o da altre malattie invalidanti, le persone affette da fibromialgia sono per lo Stato a tutti gli effetti dei malati di serie B. Lo Stato deve riconoscere al più presto questa malattia come invalidante e garantire a tutt* la possibilità di curarsi e di poter smettere di soffrire. È importante, quindi, parlare di fibromialgia, perché si tratta di una patologia che colpisce un gran numero di persone in tutto il mondo e che ha un impatto significativo sulla loro qualità di vita. Inoltre, la fibromialgia è una patologia ancora poco compresa e molto sottovalutata, a causa della mancanza di conoscenza tra la popolazione e dello stigma che circonda i disturbi che non sono facilmente diagnosticabili o visibili esternamente. Molte sono le persone che si sentono, difatti, stigmatizzate, isolate e non comprese, e, spesso, incontrano difficoltà nel trovare il giusto supporto medico e sociale nelle relazioni con gli altri. Conoscere la malattia significa, quindi, poter vivere una vita dignitosa, non subirla, non sentirsi in colpa se ci si sente indisposti. Aiuta a comprenderla meglio e rende più facile l’accesso alle risorse per gestirla, rendendo possibile una diagnosi più precoce e un trattamento più efficace. Per questo è così importante che la fibromialgia entri a far parte attivamente del dibattito pubblico e politico e se ne faccia una corretta sensibilizzazione ed educazione. Parlare di fibromialgia, infatti, aiuta a sensibilizzare l'opinione pubblica e a superare gli stereotipi e i falsi miti sulla malattia, evidenziandone la sua complessità e le diverse sfaccettature che la caratterizzano. Inoltre, può aiutare a rompere i pregiudizi legati a tutti i tipi di disturbi cronici invisibili, promuovendo una maggiore comprensione e solidarietà, adattando meglio il mondo circostante per renderlo più inclusivo per tutt*. In questo modo, si può contribuire a migliorare la qualità della vita dei pazienti e la loro capacità di gestire la patologia con successo. Sensibilizzando le persone sulla fibromialgia, si può aiutare anche a promuovere la ricerca sulla malattia, incrementare l'interesse e la formazione su questa da parte della sanità pubblica e privata, portando a una maggiore comprensione delle cause e dei meccanismi sottostanti alla malattia e favorendo lo sviluppo di nuovi trattamenti e terapie più mirati ed efficaci per le persone che ne soffrono. Nonostante tavoli per il riconoscimento della malattia in alcune regioni siano attivi da diversi anni, il tempo passato senza alcuna soluzione è durato troppo a lungo per chi è affetto da questa patologia. E non può continuare così. LORENZO CIOL
Saperne di piùCHIACCHIERE DI SESSUALITÀ: 5 LIBRI SULLA SESSUALITÀ FEMMINILE
Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della consapevolezza della propria sessualità, nonché delle relazioni in generale e del rapporto con sé stessi. Ciò che un tempo era considerato un tabù è diventato sempre più oggetto di dibattito e di discussione aperta, anche attraverso la pubblicazione di libri dedicati a questi temi.In particolare, grazie al movimento femminista, sempre più attivo e influente, la donna e le sue reali esigenze (sia fisiche che emotive) stanno prendendo spazio nelle conversazioni pubbliche (ancora troppo poco), cercando di liberarsi dai pregiudizi e dalle limitazioni che in passato hanno ostacolato la piena espressione della sessualità femminile. Esplorare la sessualità femminile può essere una sfida, poiché molte donne hanno subito una socializzazione repressiva che le ha portate a sentire vergogna o a sentirsi limitate nel parlare apertamente della loro sessualità. Di ciò che vivono e provano dentro di loro. Questi libri, che esplorano la sessualità femminile in modo approfondito, saranno il nostro spazio per riappropriarci di tante di quelle cose di cui vorremmo parlare apertamente e uno spunto, per il genere maschile, per integrare aspetti del femminile nella propria esperienza personale. Vengo prima io. Guida al piacere e all'orgasmo femminile di Roberta Rossi Vengo prima io è una sorta di manuale, scritto dalla psicoterapeuta e sessuologa Roberta Rossi, per tutte le donne che desiderano iniziare a prendere maggior confidenza con sé stesse e con il proprio corpo: dal sesso alla masturbazione. Un libro che prende spunto e narra la storia di moltissime donne - per l’esattezza sedicimila - che hanno deciso di condividere i propri dubbi e le proprie esperienze personali dando vita a un dialogo schietto e libero riguardante un argomento tanto intimo e al contempo così spesso trascurato come la sessualità femminile. Man mano che si procede con la lettura ci si spoglia da tabù, luoghi comuni e timori e si trovano le risposte a tutte quelle domande che non abbiamo mai avuto il coraggio di porre a voce alta. Tante storie, tante vite che si intrecciano per un fine comune: da chi non è sicura di aver mai raggiunto l’orgasmo a chi è alle prime esperienze, a chi dopo il parto fatica a ritrovare il piacere e a chi in menopausa si scontra con una condizione nuova e disagevole fino a chi prova dolore Il piacere femminile. Scoprire, sperimentare e vivere la sessualità di Ilaria Consolo Nel corso dei secoli, le donne sono state cresciute con l'idea di uguaglianza a meri oggetti, schiacciate da condizionamenti e continue repressioni, al punto da far divenire talmente radicati questi fin dall’ingresso nella società fatto da bambine. Ora, però, le donne stanno cercando di rivendicare il loro diritto a cercare e provare il piacere sessuale, in quanto gli uomini possono viverlo liberamente senza essere giudicati per ciò. Nonostante i molti progressi che sono stati fatti, le donne soffrono ancora di un doppio standard rispetto agli uomini, così come di disuguaglianze economiche e sociali, di nuove rivendicazioni provenienti dal mondo degli uomini, ma anche conflitti interni a loro stesse. La cultura di appartenenza e gli stereotipi sulla sessualità indirizzano infatti ancora oggi gli individui, in generale, e le donne in particolare verso il peccato, la vergogna, l'impudicizia. La sessualità e l'eros sono considerati tabù e visti come qualcosa di "sporco", di cui è meglio non parlare, relegati all'intimità più nascosta e raramente argomentati con libertà e senza prudenza. In questo contesto, l'autrice del libro offre uno sguardo approfondito sulla sessualità femminile e sugli stereotipi di genere ad essa associati, attraverso un'analisi storica e una proposta educativa sulla sessualità e sul vivere la propria persona. Ilaria Consolo, infatti, propone un'educazione all'affettività e alla sessualità, cercando di indirizzare la donna a una maggiore consapevolezza di sé e a valorizzare pienamente la propria femminilità senza ricalcare modelli maschili imposti dalla società. Il libro offre anche ai lettori maschi degli spunti utili per comprendere il piacere femminile e integrare aspetti del femminile nella propria esperienza personale, liberandosi dagli stereotipi di genere che spesso limitano la loro espressione sessuale e che caratterizzano il sesso maschile. Ben venga il piacere. Guida pratica alla sessualità femminile e femminista di Giorgia Fasoli In un mondo in cui la sessualità femminile è ancora incredibilmente incartata in pericolosi tabù e stereotipi, che limitano la nostra vita, la nostra felicità e l'espressione di noi stesse Giorgia Fasoli, psicologa e sessuologa, ci porta in un viaggio attraverso la scoperta di noi stesse: dall'anatomia al funzionamento del piacere, dall'autoerotismo al porno, dalle fantasie sessuali alla menopausa. La sessualità dunque non è solo l'atto sessuale in sé e viene narrata attraverso le mille sfaccettature incarnando emozioni, valori, ruoli di genere, costumi e norme culturali. Una guida attraverso la sessualità femminile, a prescindere da orientamento sessuale, età, peso corporeo, disabilità, che porta alla ricerca di ciò che funziona per ognuna di noi senza pudori e pregiudizi. Piacere mio. Guida straordinariamente pratica all’orgasmo di Leni Il raggiungimento del piacere sessuale, se guardiamo con occhio critico e attento il mondo e la società, risulta un privilegio ancora per poche donne: tra i condizionamenti sociali che inducono a credere che la penetrazione sia l'unico modo per arrivare all’orgasmo e i vari tabù, è difficile barcamenarsi e giungere alla verità riguardo la propria sessualità. Ecco perché Leni, psicologa, sessuologa e creatrice del podcast di straordinario successo Vengo anch'io, ha deciso di scrivere questo libro: per condurci passo dopo passo alla scoperta del meraviglioso tempio che è il nostro corpo. Sfacciato, irriverente e assolutamente pratico, Piacere mio è una vera e propria guida all'orgasmo femminile e un viaggio alla scoperta del corpo e della nostra psiche, che ha come obiettivo il superamento dei tabù legati al piacere e a come le donne lo vivono. Lei viene prima. Guida al piacere femminile di Ian KernerQuello di Ian Kerner è un libro che invece, si rivolge proprio al pubblico maschile. In questo manuale, il rinomato sessuologo americano Ian Kerner svela con ironia e precisione anatomica il misterioso mondo dell'orgasmo femminile, dove la stimolazione del clitoride precede la penetrazione. Nel suo approccio "femminocentrico", il cunnilingus diventa il nucleo essenziale di una relazione sessuale appagante per entrambi i partner, dando importanza alla comunicazione e della condivisione di desideri e fantasie sessuali per creare un'atmosfera di intimità. Un libro che non si limita a offrire consigli tecnici, ma mette anche in luce l'importanza dell'aspetto emotivo dell'intimità sessuale, sfatando con tono divertente e istruttivo i miti diffusi sull'anatomia e sulla risposta sessuale femminile. MARTA BORASO
Saperne di piùAssorbenti in azienda
L’accesso a prodotti mestruali migliora salute, benessere, inclusività e produttività nell'ambiente di lavoro. La mancanza di prodotti per l'igiene personale, come ad esempio la carta igienica, in luoghi pubblici come scuole, aziende o università può essere un problema significativo, dal momento che tali beni sono essenziali per la salute e l'igiene personale. Allo stesso modo, il ciclo mestruale è un processo fisiologico naturale e inevitabile per molte persone, e pertanto la disponibilità di prodotti per l'igiene mestruale è altrettanto essenziale, e la mancanza di assorbenti nel momento del bisogno può creare disagio e imbarazzo alle dipendenti. Perché, allora, questi ultimi non sono facilmente reperibili negli spazi comuni? Noi di This, Unique abbiamo sviluppato un progetto di welfare da proporre ad aziende, università e luoghi di aggregazione che permetta ai gestori di stanziare dei budget per l’acquisto di assorbenti da mettere a disposizione di lavoratrici, studentesse e frequentatrici in modo gratuito. Perché fornire gli assorbenti alle dipendenti è un vantaggio per le aziende? Attrarre e mantenere talenti: Datori di lavoro di alto livello stanno offrendo stanze di allattamento, congedo parentale, e servizi di assistenza all'infanzia. Offrire assorbenti e tamponi gratuiti dovrebbe diventare standard per la cura dei dipendenti. Raggiungere gli obiettivi di sostenibilità: Dal 2024 il bilancio di sostenibilità sarà obbligatorio per tutte le aziende. I prodotti This Unique utilizzano il 91% di acqua in meno rispetto agli altri assorbenti in fase di produzione, sono privi di plastica, compostabili in 3 mesi e certificati TUV Austria. Azione prevista dal Gender Equality Plan Per creare ambienti di lavoro più inclusivi con una serie di azioni strutturali e culturali, per le discriminazioni di genere e la promozione della cultura del rispetto e delle pari opportunità. Aumentare il tasso di presenze e diminuzione dell’assenteismo: Quando i dipendenti hanno accesso agli assorbenti in azienda, non devono più dedicare tempo per cercarli altrove. Questo può aiutare a ridurre le interruzioni , creare una maggiore serenità sul luogo di lavoro e migliorare la produttività complessiva, garantendo Il nostro servizio: This Unique propone un kit di assorbenti e dispenser da introdurre nei bagni della tua azienda: un servizio di facile installazione, dal grande impatto sociale e dai costi contenuti (a partire da 0,50 € a dipendente). Le tipologie di dispenser sono varie, adattabili a ogni realtà, dal piccolo bar alla grande corporate. Ecco come funziona il servizio: Parliamo: This Unique ti guiderà nelle scelte più adatte alla tua azienda, in call o via mail. Le scorte ti arrivano alla frequenza che vuoi, così non rimani mai senza! La tua offerta: una volta scelti gli assorbenti e il è dispenser, spediremo tutto Lancio: progettiamo e comunichiamo insieme il lancio dell’iniziativa Cosa puoi fare per avere gli assorbenti in azienda? Se sei il titolare dell’azienda, contatta il nostro team tramite fabio.capurso@thisunique.com , riceverai tempestivamente risposta Se sei dipendente, parla di noi al tuo titolare. Entra a far parte della rivoluzione mestruale, con This Unique.
Saperne di piùStress e mestruazioni
Amenorrea ipotalamica: quando lo stress (e non solo) incide sul ciclo mestruale Con la dottoressa Alessia Giovannoni, biologa nutrizionista, affrontiamo questo delicato argomento tw: dca Quante volte durante un periodo stressante, una variazione della propria dieta o della propria attività fisica, ci sono “saltate” le mestruazioni? E quante volte lo abbiamo sottovalutato pensando non fosse nulla di preoccupante? Nel caso in cui questa condizione dovesse diventare cronica, potrebbe trattarsi di amenorrea ipotalamica (ma rivolgetevi sempre ad un professionista, non affidatevi a dottor Google!). A tal proposito, ne parliamo qui con la dottoressa Alessia Giovannoni, biologa nutrizionista fiorentina: una giovane professionista che nutre un forte interesse nei confronti dell’alimentazione al femminile, studiando per queste persone un’alimentazione a supporto delle loro problematiche ginecologiche e non. Inoltre, anche grazie alla sua esperienza personale di amenorrea, oggi è in grado di aiutare tante persone nella medesima condizione. Dottoressa Giovannoni, ci dia una definizione di amenorrea ipotalamica. L’amenorrea ipotalamica è una condizione di anovulazione cronica non dovuta a cause specificatamente organiche ma spesso associata a una condizione di stress psicofisico, perdita di peso eccessiva, allenamento eccessivo. E’ una condizione di cui purtroppo soffrono tantissime ragazze e spesso dalle stesse viene sottovalutata o non presa in considerazione finché non sufficientemente grave. Lei ha parlato della sua esperienza personale con questo tipo di amenorrea sulle sue pagine social. Ce ne vuole parlare? Si, certo. Nel 2018 mi sono messa a dieta da sola, le classiche diete fai da te che poi ti portano a perdere tanto peso in poco tempo (no carboidrati, no cene o pasti fuori).. questo mi ha portato a soffrire di ortoressia, un disturbo del comportamento alimentare che ti plasma in ogni lato e che purtroppo mi ha portata a perdere il ciclo. Ho deciso di iniziare a condividere la mia storia di “recovery” su Instagram fino a che, una volta tornato il ciclo, ho condiviso ciò che ho fatto per farlo tornare in modo spontaneo. Qual è stato il momento più difficile del suo percorso di cura? Sicuramente l’aumento di peso: non ero pronta psicologicamente a vedere il mio corpo cambiare. Sapevo però, in cuor mio, che l’aumento di peso fosse un evento da accogliere e comprendere, che mi sarebbe servito come presupposto per gettare le basi per il ritorno del ciclo mestruale. Sconfiggere delle barriere mentali che mi ero costruita negli anni, come ad esempio mangiare carboidrati ad ogni pasto, è stato un altro tassello difficile del mio percorso. Quando ha capito che avrebbe fatto della nutrizione la sua passione? Il mio sogno nel cassetto era quello di passare il test di medicina che, però, non ho passato seppur l’abbia provato una sola volta. Mi ha sempre affascinato l’uomo, la salute e col tempo, rendendomi conto di soffrire di un disturbo del comportamento alimentare, ho capito che volevo approfondire la relazione che c’è tra ciò che le persone mangiano e quello che è lo stato di salute. Aiutare le persone a ritrovare il proprio benessere psicofisico, a vedersi bene allo specchio, a ritrovare quella serenità alimentare che sembra perduta per sempre, a renderli consapevoli delle loro scelte alimentari e dei loro comportamenti, sono cose che col tempo ho voluto diventassero parte integrante della mia vita: da qui ho reso la mia passione il mio lavoro. In che modo pensa che la sua esperienza personale influisca sul suo lavoro (in maniera sia positiva che negativa)? Aver sofferto di ortoressia e aver capito sulla mia pelle come ci si sente ad avere un ciclo mestruale completamente assente per due anni, per certo mi aiuta in tanti lati del mio lavoro: quando mi trovo di fronte a persone che hanno sofferto o soffrono di DCA so quali termini utilizzare e come pormi, utilizzare un approccio di tipo non prescrittivo è la chiave. Come tutte le condizioni patologiche hanno dei sintomi (l’influenza ha la febbre, la bronchite la tosse) i DCA hanno i propri sintomi e si riscontrano nella stragrande maggioranza di persone. Avendo fatto esperienza dei sintomi sulla mia pelle riesco a fare delle domande mirate che mi permettono di inquadrare il soggetto e comprenderlo al 100%. Questo incide positivamente sulla sfera lavorativa, onestamente influenze negative non ce ne sono. Quali sintomi pensa che vengano sottovalutati maggiormente dalle persone che ne soffrono? E dai professionisti? Le ragazze che soffrono di amenorrea ipotalamica funzionale inizialmente quando il ciclo tarda di qualche giorno o peggio di qualche mese, sottovalutano la condizione pensando magari che sia una cosa del tutto normale (il ragionamento che di solito fanno è “ho cambiato alimentazione, ho iniziato ad allenarmi ogni giorno.. magari è per questo, ci vorrà del tempo e tutto tornerà come prima) quando in realtà il ciclo inizia a tardare perché le ragazze assumono un quantitativo di calorie al di sotto del proprio metabolismo basale, o magari perché iniziano ad allenarsi ogni giorno in maniera sfinente andando a stressare il loro corpo. I professionisti, trovandosi di fronte ad una ragazza che ha problemi di amenorrea o irregolarità mestruale, dovrebbero porre delle domande specifiche sul rapporto col cibo, con la propria immagine corporea e con l’allenamento, in modo tale da individuare subito la natura di questa condizione fisica. Quali sono i consigli principali che si sente di dare a chi soffre (o pensa di) soffrire di amenorrea ipotalamica? Se avete ritardi col ciclo e se avete problemi con la vostra immagine corporea, con l’alimentazione e se avete ossessione per l’allenamento non abbiate paura a chiedere aiuto: iniziate quanto prima un percorso sia nutrizionale sia psicoterapeutico. Quello nutrizionale vi aiuterà a colmare le eventuali carenze alimentari e vi aiuterà a raggiungere determinati obiettivi tra cui l’aumento di peso, il raggiungimento di una % di grasso corporeo per mestruare, dall’altra parte il percorso psicoterapeutico vi darà un supporto mentale di fondamentale importanza per affrontare il percorso di recovery. Quali invece sono i suggerimenti che vorrebbe dare ai suoi colleghi per accompagnare al meglio le persone con amenorrea? Ciò che mi sento di consigliare ai miei colleghi è questo: siate scrupolosi, indagate ogni lato della paziente, fate domande, osservate bene la paziente, ascoltatela e prendete nota dei suoi atteggiamenti. Ogni singola cosa che viene detta è importante. Fate domande sugli eventi della vita, chiedete se la paziente ha passato un periodo stressante, se è successo qualcosa di recente che l’ha segnata nel profondo. ANTONELLA PATALANO
Saperne di piùParliamo di vulvodinia
Il trattamento dalla vulvodinia è un problema sanitario, sociale ed economico irrisolto: un percorso tra disagi, falsi miti e soluzioni effettive Sono ancora fin troppe le donne, sia giovanissime che in età fertile, ma anche dopo la menopausa, che soffrono di vulvodinia e che spesso non lo sanno. Nonostante circa il 15% dell’intera popolazione femminile ne sia affetta, come descritto in svariati articoli e studi, la vulvodinia rimane ancora oggi una patologia poco conosciuta dalla classe medica e dalla società. Sono infatti innumerevoli le pazienti che, non sapendo cosa fare, si sono rivolte speranzose alle proprie ginecologhe e ai propri ginecologi per ricevere, invece, risposte come “Signorina, il suo dolore non esiste, è solo nella sua testa”, “Signora, la sua è solo una cistite, aspetti che le prescrivo un ciclo di antibiotici, ovuli e lavande” oppure qualche mirabolante rimedio senza alcun razionale clinico, insistendo con le pazienti sul fatto che fossero i medici ad avere ragione. Sono fin troppi i dottori che, rendendosi conto di non sapere, non danno la risposta che dovrebbero dare, che è soltanto una: “Io non so cosa fare per poterla aiutare, è meglio che si affidi a un* professionista più preparato di me in questa materia, io nel mentre cercherò di colmare questa mia mancanza di conoscenza.”. Purtroppo, questa ammissione è poco diffusa. Capitano fin troppo spesso, invece, episodi di invalidazione del dolore e dei sintomi, di diagnosi e di piani terapeutici completamente errati, di mancanza di capacità nel riconoscere e curare correttamente questa problematica ginecologica. Fortunatamente, grazie all’impegno di molte attiviste e di molt* professionist*, la vulvodinia sta iniziando ad avere finalmente uno spazio concreto nelle discussioni, sia a livello parlamentare, sia a livello medico ma anche nella popolazione stessa. Non è possibile, difatti, che una paziente che soffre di questa patologia ne sappia più di molti medici che dovrebbero, invece, essere in grado di aiutare questa persona e di guidarla attraverso il processo di cura e di guarigione. Secondo uno studio europeo condotto del 2019, tra il 45% e il 60% dei ginecologi non sa fare una diagnosi di vulvodinia; il 20% la conosce, ma non saprebbe trattarla: questa percentuale, nella maggior parte, si concentra nel Nord Italia. Tutto ciò causa un ritardo diagnostico di anni: alcune pazienti che attendono qualche anno, altre che hanno atteso anche tra i 12 e i 15 anni prima di ricevere una diagnosi. Le cause della mancanza di conoscenza sono molteplici: in primis la società patriarcale e maschilista per la quale un dolore come questo in passato è stato riconosciuto – e lo è ancora, purtroppo da più medici – come mentale, dunque non biologico e fisico. Non è un caso che le parole isteria e simili derivino da histerëcus, che significa utero, imputando in generale la causa delle patologie mentali alle donne. Ma ancora oggi nelle Scuole di Medicina e Chirurgia italiane, spesso patologie come la vulvodinia vengono soltanto accennate, ma non affrontata nel dettaglio come sarebbe corretto fare. Tutto questo alimenta una circolazione inesatta delle informazioni, dando spazio sia nel mondo dell’internet sia tra diversi professionisti – che di professionale hanno ben poco, verrebbe da dire – a bufale che riguardano sia le cause della vulvodinia sia i rimedi. Vediamo insieme, quindi, alcuni di questi falsi miti e quali siano, invece, le terapie corrette che vengono proposte da parte di professionisti seri e realmente preparati. Diffidate da qualsiasi professionista che vi dica che per guarire dalla vulvodinia serve avere più rapporti sessuali – in posizioni diverse e senza essere tese –; che il dolore deriva dalla paura di avere rapporti o che sia causato da una mancanza di desiderio nei confronti del proprio partner; diffidate da chi indica la causa del dolore nello stress, da chi consiglia di provare la malva, vari tipi di integratori e prodotti omeopatici oppure addirittura di usare i cristalli – sì, stiamo parlando davvero di cristalloterapia – o da chi nega il vostro dolore. Spoiler: non è normale provare dolore. Diffidate inoltre da chi consiglia di rimanere incinta, perché la gravidanza risolve tutto: non è così. O magari di concedersi all’alcol per inibire il dolore. Queste sono solo alcune delle risposte che numerose pazienti si sono sentite e si sentono tuttora riferire. La vulvodinia non si cura così! Innanzitutto, bisogna diagnosticarla correttamente e questo si fa attraverso il cotton swab test e l’anamnesi eseguita insieme alla paziente, ascoltando tutto quello che la paziente sente di condividere e di raccontare, indagando soprattutto la tipologia di dolore che prova, di come si sente durante i rapporti sessuali e al di fuori di questi, e se noti anche dei disturbi a livello intestinale. Sono molte le domande da fare per un’anamnesi accurata e appropriata: un vero professionista non si limiterà a quelle citate qui sopra, ma ne farà di ulteriori per completare la propria diagnosi differenziale di vulvodinia. È poi necessario effettuare una valutazione del tono del pavimento pelvico per comprendere lo stato di quest’ultimo: ipertono del pavimento pelvico e vulvodinia, infatti, vanno a braccetto. A queste diagnosi devono seguire sia un piano terapeutico che la riabilitazione del pavimento pelvico, la quale non può essere omessa in presenza di ipertono. La cura della vulvodinia non si basa solo su questi passaggi effettuati da un* ginecolog*, ma si deve adottare un approccio multidisciplinare che comprenda anche altr* professionist* della salute, come fisioterapist*, endocrinologh* urologh*, nutrizionist*, psicoterapeut*/psichiatr* e laureat* in Scienze Motorie e Sportive: sono davvero molte le componenti da considerare e sulle quali si può lavorare per un migliore stile di vita. Essendo varie e diverse le cause, la terapia deve essere non solo personalizzata, ma anche adattata alla sintomatologia della paziente. Per stabilire un rapporto terapeutico sano fra medico-paziente, è fondamentale: Credere alla paziente e ascoltarla; evitare di farla sentire responsabile del proprio dolore e di quello che sta affrontando; evitare di sovrastimare i benefici secondari; evitare di renderla passiva e dipendente, perché il migliore approccio è che la paziente sia la protagonista attiva del proprio processo di cura; chiedere come il dolore persiste anziché chiederne il perché; definire chiaramente obiettivi realistici verso i quali accompagnare la paziente e adattare lo stile del trattamento a quest’ultima. Ed eccoci, finalmente, al cuore di questo articolo: i vari trattamenti della vulvodinia, che sono molto differenti fra loro e attraverso i quali si cerca di ottimizzare il controllo del dolore – nella consapevolezza che una sua totale scomparsa potrebbe non essere possibile – e migliorare lo stato di benessere psicofisico e, così, la qualità di vita. Tra le terapie farmacologiche, quelle più efficaci a livello sistemico sono gli antidepressivi ciclici, gli anticonvulsivanti e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) off-label che, a dosaggi inferiori, interrompono i circuiti del dolore cronico e la sensibilità abnorme dei nervi causante l’allodinia, quella sensazione dolorosa che viene percepita senza esserci realmente un danno. Qualora il medico ritenesse opportuno prescrivere tali farmaci informerà la paziente dei possibili effetti indesiderati e concorderà con lei le modalità di assunzione. A livello locale si possono applicare anestetici topici in crema, come la lidocaina, direttamente in sede vestibolare per alleviare transitoriamente il dolore, soprattutto prima dei rapporti sessuali. Ci sono, inoltre, anche formulazioni in combinazione con antidepressivi/anticonvulsivanti per migliorarne e potenziarne l’efficacia a livello topico. È possibile utilizzare anche creme inibenti l’attività mastocitaria al fine di evitare un’iperattività dei mastociti. Queste sono a base di aliamidi, come l’adelmidrol, o di sodio cromoglicato e polidatina, elementi che impediscono la degranulazione dei mastociti. L’associazione di questi principi attivi può essere un ottimo coadiuvante nel controllo della risposta infiammatoria propria dell’innesco, del mantenimento e della riattivazione delle alterazioni neuropatiche proprie della vulvodinia. Alla terapia farmacologica viene associata la fisioterapia: ogni programma di terapia, dalla farmacologica alla manuale, fino a quella psicologica, è personalizzato in base ai risultati della valutazione iniziale della paziente. Il fisioterapista ha dei compiti fondamentali nel processo di cura: infatti, oltre alla valutazione e alla riabilitazione manuale della muscolatura specifica del pavimento pelvico e del bacino, deve effettuare una valutazione posturale e della respirazione della paziente, perché il diaframma lavora in associazione con la muscolatura del pavimento pelvico. A questa valutazione devono seguire la correzione degli atteggiamenti posturali non corretti e l’insegnamento di una good practice a cui la paziente deve attenersi, come esercizi di stretching e di detensione della muscolatura coinvolta nell’ipertono. Eventuali tensioni muscolari della zona del bacino, poi, vanno a influenzare la contrattura della muscolatura del pavimento pelvico e, dunque, sarà da agire anche su queste. Le terapie manuali effettuate con la fisioterapia e quelle fisiche, cioè attraverso l’utilizzo di macchine, se eseguite con regolarità, danno sollievo nell’80% dei casi. Una terapia fisica è quella del biofeedback elettromiografico che permette di imparare un metodo di auto-rilassamento per controllare le contrazioni dei muscoli e, di conseguenza, il dolore. La finalità della terapia è consentire alla paziente d’imparare a controllare la muscolatura pelvica, riducendo progressivamente l’ipertono che la caratterizza. Si può ricorrere, tra i trattamenti fisici, anche alla TENS (la Stimolazione Elettrica Nervosa Transcutanea), tecnica che consiste nell’applicare sulla parte interessata alcuni elettrodi che emettono impulsi elettrici a bassa frequenza in grado di inibire le afferenze nervose coinvolte nella trasmissione del dolore. Ai presidi medici e farmacologici va affiancato, poi, uno stile di vita e comportamentale volto a ridurre al minimo gli stimoli irritativi, magari utilizzando determinato abbigliamento intimo e non oppure l’utilizzo di prodotti adeguati alla cura dell’igiene intima. Un supporto psicoterapeutico può essere utile, in particolare quando in anamnesi si evidenziano elementi riferibili a traumi psicologici o di abusi fisici e/o sessuali. Nel momento in cui, però, questo tipo di soluzioni non dovessero essere sufficienti, è possibile ricorrere a dei trattamenti più invasivi, come le infiltrazioni nelle sottomucose vestibolari di cortisonico e anestetico locale, che, attraverso la rapida interruzione del sintomo, l’azione antiinfiammatoria e l’effetto inibitorio esercitato sulle fibre nervose, ne fanno un’efficace metodica. Un altro tipo di infiltrazione è quella muscolare della tossina botulinica, che agisce a livello della giunzione neuromuscolare inibendo il rilascio dell’acetilcolina e, quindi, provocando una spasmo-lisi muscolare. Anche la chirurgia, solitamente utilizzata come ultima soluzione, può essere uno strumento terapeutico per affrontare questa patologia. C’è, quindi, una serie di trattamenti differenti di cui usufruire e molti altri sono ancora in fase di studio all’interno di diversi trial clinici. Una domanda, però, sorge di fronte a tutto questo: chi è a pagare per tutte queste cure? Le pazienti, di tasca propria. Si stima che una donna, infatti, possa spendere fino a 50 mila euro nell’arco dell’intero percorso di diagnosi e di cura della vulvodinia. Le mancanze del Servizio Sanitario Nazionale hanno permesso a diversi specialisti privati, sedicenti “guru” propinatori di rimedi totalmente inefficaci, di chiedere cifre astronomiche per una prima visita o anche per una semplice valutazione del pavimento pelvico. Il prezzo, anche se viene fatta una media, rimane comunque oneroso: tra i 150 e i 250 euro per le visite ginecologiche, ogni mese almeno 300 euro di fisioterapia, tra i 50 e i 100 euro di integratori realmente efficaci e circa 50 euro di farmaci non detraibili. Senza tenere conto del costo della psicoterapia. E chi non può permettersi una spesa del genere? Purtroppo, la risposta la sappiamo. Oltre alla scarsa formazione di personale medico specializzato, la vulvodinia non è riconosciuta neanche dallo Stato: lo dimostra il fatto che la malattia non compare nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè non è una malattia per la quale sono previste prestazioni o servizi forniti dal Servizio Sanitario Nazionale, ma sono tutte a pagamento. La vulvodinia è e rimane, purtroppo, ancora doppiamente invisibile: al medico, che non la conosce e riconosce, e allo Stato. Le uniche a vederla sono le pazienti lasciate a soffrirne la presenza nelle proprie vite. Ed è ora che questo mantello di invisibilità venga tolto. LORENZO CIOL
Saperne di piùVulva o vagina?
Guida definitiva alle differenze fra vulva e vagina: perché le confondiamo così spesso? La differenza tra vulva e vagina è essenziale, ma per troppo tempo è stata ignorata per una sorta di “comodità” o abitudine. Usare indifferentemente il termine vagina per descrivere tutta la parte anatomica femminile è sempre stata una consuetudine, però è ovvio che non sono la stessa cosa e, con l’intento di fare chiarezza e di educare sulla sessualità e il corpo, in questo articolo analizzeremo per bene le loro differenze. Intanto, in primis, la vulva è il complesso degli organi genitali esterni femminili che, oltre all'apertura esterna della vagina, ospita il meato dell'uretra, la clitoride e alcune piccole ghiandole, il tutto delimitato dalle labbra vulvari. Al contrario, la vagina è il canale muscolare elastico interno che si estende dal collo dell'utero al vestibolo e funge da organo femminile dell’accoppiamento, è una componente del canale del parto e serve per espellere il sangue mestruale. Ma, all’interno di queste due “macro parti” esistono tante altre “micro parti” che, nell’insieme, costituiscono appunto la vulva e la vagina e che andremo a scoprire assieme. Di quali parti è composta la vulva e com’è fatta?Nel corso degli anni, rappresentazioni distorte e standard di bellezza hanno influenzato anche l'anatomia dei genitali femminili, creando idee infondate su come dovrebbero essere. Tuttavia, ogni vulva è diversa, unica: come ci piace dire a noi, non ne esistono due uguali.E non rimangono uguali. Infatti, non dobbiamo dimenticare che il suo aspetto cambia nelle varie fasi della vita, dalla pubertà alla menopausa, e tutto ciò dipende dai livelli ormonali. • Il monte di Venere: formato da tessuto adiposo dal quale crescono i peli, è detto anche monte del pube ed è situato appena sopra la vulva; copre l’osso pubico e sovrasta le grandi labbra ed è delimitato dalle pieghe dell’inguine.• Le grandi labbra: iniziano dal monte di Venere e si uniscono nel perineo, a un paio di centimetri dall'ano, formando la forchetta vulvare. La funzione delle grandi labbra è quella di proteggere le strutture sottostanti, come le piccole labbra e sono dotate di ghiandole sudoripare e sebacee, oltre a terminazioni nervose e vasi sanguigni. Durante la fase dell'eccitazione sessuale le grandi labbra tendono infatti a gonfiarsi per l'aumentato afflusso sanguigno e si separano, rendendo più evidenti le piccole labbra, che aumentano di dimensione e accentuano la propria colorazione.• Le piccole labbra si trovano internamente alle grandi labbra, sono rosate, umide e prive di peli e la loro conformazione varia in maniera sensibile: possono essere infatti diverse, asimmetriche e di diverse dimensioni. A differenza delle grandi labbra, le piccole labbra non si uniscono, ma si assottigliano posteriormente e scompaiono piano piano confluendo nella parte interna delle grandi labbra.• Il glande clitorideo, cioè l’unica parte della clitoride visibile dall’esterno, a differenza del resto dell’organo, che si “nasconde" sotto la vulva. È rivestito da un involucro cutaneo detto prepuzio della clitoride (proprio come il prepuzio maschile che ricopre il glande del pene) ed è particolarmente sensibile, grazie a una ricca rete di vasi e di terminazioni nervose sensitive al suo interno. Infine, la clitoride aumenta leggermente di volume in stato di eccitazione sessuale, infatti è l’unico organo dedicato unicamente al piacere!• Il meato uretrale, ossia l’orfizio dal quale espelliamo l’urina e dal quale esce il cosiddetto squirt. • L’orifizio vaginale; ovvero l’ingresso della vagina. Di quali parti è composta la vagina e com’è fatta?• L’imene: è una membrana di tessuto connettivo simile ad un anello, che varia sensibilmente da una donna all'altra per dimensioni e spessore e viene “rotta” generalmente durante il primo rapporto sessuale, ma può accadere anche facendo sport o a seguito di traumi locali.• La fornice vaginale è una parte interna della vagina, situata nella parte più profonda e circonda completamente la cupola che forma il collo dell’utero. Insomma, vulva e vagina sono proprio due mondi completamente differenti, ma al contempo afferenti insieme a creare i nostri bellissimi e intimi genitali. A caratterizzare la nostra reale bellezza che è unica, diversa per ognunə di noi.Parlare di come siamo fattə, riscoprendo il nostro corpo nella sua bellezza, può allontanare dubbi, rimuovere stereotipi e tabù che si sono formati e si formano ancora attorno alle vagine e alle vulve, donando nuova e vera libertà a tuttə noi! MARTA BORASO
Saperne di piùTutta colpa della lingua?
In uno dei più conosciuti dizionari della lingua italiana, alla voce “donna” si può leggere: “femmina adulta dell’uomo / donna di casa, che ama la vita domestica, che sa governare una casa / moglie, donna amata, la mia donna / appellativo onorifico che si premette ai nomi di signore altolocate, per es. alla moglie del presidente della repubblica / signora, padrona / Nostra Donna, la Madonna / donna di servizio domestica … / donna cannone: donna grassissima, numero d’attrazione nelle fiere / figura del gioco delle carte: donna di picche”. Non vi stupirà, dunque, se in questo articolo parleremo di discriminazione di genere e linguistica. Del resto la differenza con la voce “uomo” è evidente: “un grand’uomo / un uomo di mondo / un uomo nuovo, una persona umile che si è fatta da sé / un uomo d’affari, manager /un uomo di legge, giurista, avvocato / l’uomo del giorno, chi in un dato momento o periodo si impone all’attenzione per l’attività che svolge, per i suoi meriti / un uomo di lettere …” La diamo spesso per scontata, ma la discriminazione linguistica tra uomo e donna può avere un impatto significativo sulla percezione e il trattamento dei generi nella società e può anche contribuire a mantenere e perpetuare disuguaglianze sociali ed economiche. PAROLE, SOLTANTO PAROLE? Seppure negli ultimi anni molte realtà editoriali si stiano impegnando per rovesciare il paradigma che vede il genere maschile predominante tra le pagine del dizionario, il traguardo per raggiungere l’uguaglianza tra i generi è ancora lontano. Questo perché storicamente il genere maschile era convenzionalmente considerato "genere neutro". Nei secoli, questa idea si diffuse anche in altre lingue europee, dove il genere maschile divenne il genere predominante in molti ambiti, tra cui quello della scrittura dei dizionari: nei dizionari italiani pubblicati fino a oggi, la maggior parte dei femminili non compaiono affatto o al massimo vengono affiancati con il riferimento al termine maschile (per esempio: “bella, femminile singolare di bello”). Tutto ciò è stato influenzato anche dal fatto che molte attività e professioni erano storicamente svolte principalmente da uomini e quindi i termini associati a queste attività erano spesso al maschile. QUESTIONI DI GENERE A rafforzare la discriminazione linguistica vi sono anche l’intenzione e l’accezione che spesso vengono attribuite da chi parla (intenzionalmente o meno) a molti termini femminili. Esempio cardine è che per decenni (e spesso ancora oggi) l’utilizzo del termine “uomini” per indicare gli esseri umani in generale invece del termine inclusivo “persone”. Eccone molti altri che fanno parte del nostro linguaggio quotidiano: "Uomo d'affari"/"donna di casa", implicano che un certo genere sia più adatto a certi ruoli o professioni rispetto all'altro. "Ragazzi" o "membri" per descrivere un gruppo di persone, che esclude implicitamente le donne. I pronomi maschili come "lui" o "il suo" per riferirsi a una persona di cui non si conosce il genere, che implica che l'interlocutore sia maschio per default. Nomi e aggettivi che implicano che un certo comportamento o tratto di personalità sia esclusivamente maschile o femminile. Ad esempio, "maschiaccio" o "effemminato" sono termini che suggeriscono che certi comportamenti o interessi siano adatti solo a uno dei due generi. Espressioni che escludono categoricamente il femminile come “solo per veri uomini”. Termini riferiti agli attributi sessuali esclusivamente maschili per definire una caratteristica caratteriale con accezione di forza e/o coraggio “tu si che hai le palle”. L'uso di espressioni che suggeriscono che la sessualità delle donne sia un aspetto primario della loro identità, mentre quella degli uomini no come "donna facile". Termini che minimizzano o negano l'esistenza di problemi o disuguaglianze che riguardano le donne come "femminismo estremo". Termini denigratori o offensivi per riferirsi a donne, come "puttana" o "troia", che implicano che le donne siano inferiori o oggetti sessuali. L'uso del maschile per riferirsi a un gruppo misto, ad esempio "gli studenti" invece di "gli studenti e le studentesse". Come se questo non bastasse esistono anche: Linguaggio corporale: in determinate circostanze alle donne viene imposto un utilizzo del linguaggio più sottomesso rispetto agli uomini, ad esempio evitando di guardare negli occhi. Linguaggio ambiguo: alle donne è stato insegnato di usare un linguaggio più morbido o ambiguo, ad esempio quando si tratta di comunicare un'opinione o di dare indicazioni. Giudizio di valore: le donne viene fatto notare il modo in cui parlando. Ad esempio se usano un tono troppo alto o troppo basso, se sono troppo assertive o troppo timide. Interruzione e monopolio della conversazione: gli uomini hanno spesso maggiori opportunità di interrompere le donne o di monopolizzare la conversazione senza che vengano ripresi per questo atteggiamento (al contrario delle donne). Uso dei titoli: le donne spesso vengono identificate dal loro status matrimoniale, ad esempio "signora" invece di "signorina", mentre gli uomini vengono identificati solo dal loro nome (come il tristemente comune: “la fidanzata di Damiano dei Maneskin” per indicare Giorgia Soleri) La differenza di tono e linguaggio: ad esempio, si possono usare parole come "forte" e "assertivo" per descrivere un uomo, ma "aggressivo" e "dominante" per descrivere una donna che ha le stesse caratteristiche. E LE PAROLACCE? Noi donne vantiamo un’invidiabile sequela di epiteti volgari a noi riferiti, ma per raccontarveli lascio la parola alla straordinaria Paola Cortellesi che recita un monologo ispirato a un testo di Stefano Bartezzaghi sugli usi sessisti della lingua italiana… VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=4WjhLSkXqTk di EMILIA BIFANO
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