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Periodica Magazine: lo spazio per il dialogo aperto

Dirty Talking: guida semiseria all’arte di parlare sporco

Dirty Talking: guida semiseria all’arte di parlare sporco

C’è chi è già esperto, chi ci sta approcciando per la prima volta e chi pensa:Ma che è? Si mangia? Il Dirty Talking è, letteralmente, “parlare sporco” – ma non nel senso delle piastrelle in cucina dopo aver cucinato un’amatriciana coi fiocchi.Potremmo tradurlo più onestamente con: dire le zozzate. È una pratica che si può usare nelle sessioni di sexting ma anche, per gli amanti dell’offline, dal vivo: come preliminare o durante il rapporto. E ce ne sono di cose da dire… può essere un complimento super esplicito, sussurrato all’orecchio o inviato in un vocale, magari dopo un nude particolarmente hot una descrizione di ciò che vorremmo fare (o ricevere) una telecronaca di quello che ci sta succedendo e di ciò che ci sta piacendo Ma perché ci piace tanto? Stimola l’eccitazione: il dirty talking attiva il cervello prima ancora del corpo Ti permette di esprimerti (o trasformarti): puoi essere te stess* o provare un ruolo diverso, dando voce alle tue fantasie  Crea connessione: dire i propri desideri, ascoltare quelli dell’altro è un modo potentissimo per creare intimità Ti piacerebbe provare ma non sai da dove iniziare? Ecco qualche dritta: Inizia soft: non sei in un porno. Le sfumature eccitano più delle frasi da film Ascolta l’altra persona: osserva la sua reazione. Se ti segue, prosegui. Se si blocca, fermati Trova il tuo stile: c’è chi è poetico, chi esplicito, chi buffo, chi fantasioso. Scopri cosa ti eccita e fallo tuo Usa il contesto a tuo favore: sei a cena e non puoi passare all’azione? Sussurra una fantasia. Sei in ufficio? Scrivi cosa succederà dopo Un’ultima cosa importante.I porno ci hanno abituato a un dirty talking finto e spesso imbarazzante. Nella realtà, ognuno ha il proprio modo di esprimersi, le proprie sfumature, i propri limiti. Il dirty talking – come il sesso – non ha uno standard. Finché c’è consenso, non esiste un modo giusto o sbagliato. Esiste il tuo. Il vostro. Quindi schiarisciti la voce, e preparati a far salire la temperatura, baby.   LINDA CODOGNESI

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Facciamo chiarezza sull'asessualità: il sesso è l’unica misura dell’intimità?

Facciamo chiarezza sull'asessualità: il sesso è l’unica misura dell’intimità?

Ripensare piacere e relazioni attraverso l'asessualità   L'asessualità è uno di quei temi che, nonostante la sua rilevanza, continua a essere poco conosciuto o banalizzato. Ma approfondirlo è una vera occasione per mettere in discussione come la società costruisce desideri, relazioni e aspettative. Questo articolo, basato su ricerche scientifiche e sull'esperienza della comunità asessuale, offre spunti per capire cosa possiamo imparare da questa prospettiva. Cos’è davvero l’asessualità? L’asessualità non è semplicemente assenza di attrazione sessuale verso l3 altr3, come spesso si sente dire. È molto di più: è un orientamento che si esprime in modi diversi e che non ha nulla a che vedere con repressione, traumi o scegliere di non fare sesso. Insomma, è un modo autentico e personale di vivere la propria identità. Non è un monolite, ma uno spettro che include esperienze come: Demisessualità: attrazione sessuale che nasce dopo un forte legame emotivo Gray-asessualità: attrazione sessuale rara o che si manifesta solo in determinate situazioni Asessualità aromantica: assenza di attrazione sia sessuale sia romantica Secondo studi (Bogaert, 2012; Chen, 2020), circa l’1% della popolazione mondiale si identifica come asessuale, ma questa cifra potrebbe essere sottostimata. E con una maggiore visibilità, sempre più persone stanno trovando le parole per descrivere ciò che vivono. Piacere oltre la sessualità Parliamoci chiaro: viviamo in una società che ci martella con l’idea che il sesso sia il cuore del piacere, dell’intimità e delle relazioni. Ma per molte persone – asessuali e non – il piacere può assumere forme completamente diverse. Siamo pront3 a uscire da questa narrazione? Le persone asessuali ci mostrano che il piacere può venire da: Legami affettivi intensi: amicizie profonde che riempiono il cuore Creatività e passioni personali: scrivere, dipingere, cantare – tutto ciò che ci connette a noi stess3 Esperienze sensoriali non sessuali: abbracci, carezze o il semplice stare vicin3 a qualcunə senza aspettative Essere asessuali non significa non aver mai fatto sesso o non volerlo fare. Difatti, molte persone asessuali possono scegliere di avere rapporti sessuali per mille ragioni diverse, senza che questo neghi la loro identità. Se consideriamo il piacere anche da una prospettiva analitico bioenergetica, capiamo che non è qualcosa di esclusivamente legato al sesso. Il piacere è un'esperienza totale, che coinvolge il corpo, la mente e le emozioni. Una doverosa e necessaria critica all’allonormatività Questa storia che si debbano vivere le relazioni seguendo per forza il binomio sesso-amore è diventata una specie di mantra sociale. Ma chi ha deciso che è così? L’allonormatività – cioè l’idea che tutt3 provino (e debbano provare) attrazione sessuale e che questa sia indispensabile per una vita piena – è una gabbia. Non solo per chi è asessuale, ma anche per chiunque non si riconosca in modelli standardizzati di relazione. Criticarla e coltivare il dubbio significa aprire gli occhi su quanto le nostre vite siano influenzate da aspettative esterne. E, soprattutto, è un invito a immaginare relazioni più libere, autentiche e vicine ai nostri bisogni reali. Relazioni alternative: queer-platonic e oltre Le persone asessuali spesso costruiscono legami che vanno oltre le convenzioni. Alcuni esempi? Ecco qui: Relazioni queer-platonic: amicizie profonde che non si limitano a ciò che la società definisce "amicizia", ma che non rientrano neanche nei canoni dell’amore romantico Relazioni collaborative: basate su progetti comuni, come condividere la vita o crescere figli, senza bisogno di attrazione sessuale o romantica Questi modelli dimostrano che le relazioni possono essere ricche e soddisfacenti, senza dover rientrare in schemi predefiniti. L’asessualità non è solo un orientamento sessuale: è un modo per ripensare piacere, relazioni e norme sociali. Accoglierla non è solo un atto di inclusività, ma un'opportunità per costruire una società più libera e autentica. Non è forse il momento di liberarci dai vecchi stereotipi? LUCIA SCARANO Riferimenti bibliografici Per chi vuole approfondire, ecco alcune risorse fondamentali: Bogaert, A. F. (2012). Understanding Asexuality. Rowman & Littlefield. Decker, J. (2015). The Invisible Orientation: An Introduction to Asexuality. Skyhorse Publishing. Brotto, L. A., & Yule, M. (2017). Asexuality: Sexual orientation, paraphilia, or mental disorder? Archives of Sexual Behavior, 46(3), 619-627. Przybylo, E. (2019). Asexual Erotics: Intimate Readings of Compulsory Sexuality. Ohio State University Press. Robbins, N. K., Low, K. G., & Query, A. N. (2016). A qualitative exploration of the "coming out" process for asexual individuals. Archives of Sexual Behavior, 45(3), 751-760.  

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Addio filtri di Instagram: è il momento di accettarci?

Addio filtri di Instagram: è il momento di accettarci?

Dal 2010, anno in cui sono stati introdotti i filtri su Instagram, abbiamo assistito a un fenomeno che ha portato diversi vantaggi, ma soprattutto molte criticità  La scelta di rimuovere i filtri da Instagram, sebbene sia legato anche a una scelta di Meta di “dare priorità ad altri investimenti”, è stata una mossa che segna la fine (forse) di un’epoca figlia di realtà artefatte e distorte. Prima dell’introduzione dei filtri, scattare una foto era semplicemente un modo per catturare ricordi da condividere con amici e familiari. Dopo, l’introduzione di questa funzione, ha permesso a chiunque di poter esplorare la propria creatività e immaginazione, trasformando le loro foto in opere d’arte. I filtri hanno dato alle persone il potere di alterare la realtà delle loro foto e di creare un proprio brand personale attraverso le immagini condivise. L’immagine online e l’identità personale, così facendo, si sono strettamente intrecciate. Le piattaforme (Instagram, TikTok, Snapchat, etc.) hanno fatto sì che la percezione della propria vita, del proprio ruolo nella società, del proprio senso di sé, fosse modificato, trasformando la realtà e dando delle narrazioni meticolosamente costruite per presentare una determinata immagine ai propri follower. Gli aspetti positivi dei filtri Nonostante gli effetti negativi, è importante riconoscere che Instagram e i filtri abbiano anche aspetti positivi. La piattaforma consente alle persone di esplorare la propria identità, presentare aspetti di sé altrimenti nascosti, connettersi con individui di tutto il mondo e scoprire nuovi interessi (Choi & Sung, 2018; Yau, Marder, & O’Donohoe, 2020).  Inoltre, i social media offrono opportunità per piccoli imprenditori e artisti di mostrare il proprio lavoro a un pubblico più ampio, creando nuovi modi per guadagnarsi da vivere attraverso la creazione di contenuti. I filtri sono diventati più di un semplice strumento per migliorare le foto; sono diventati un mezzo di espressione e promozione personale.  I filtri: l’ossessione per il perfezionismo Spesso non ci rendiamo conto che queste dinamiche possono avere un impatto negativo sulla nostra salute mentale. La pressione, soprattutto per i giovani, di pubblicare solo le migliori foto e video ha creato un’ossessione moderna per il perfezionismo. Ha portato a sentimenti di ansia, depressione, disturbi alimentari e bassa autostima, specialmente nei giovanissimi che devono ancora costruirsi una propria identità. Questo processo può portare a un’autovalutazione negativa e a un aumento dell’ansia sociale, specie quando si confronta il proprio aspetto reale con quello ritoccato delle immagini condivise online.  I filtri più utilizzati, come quelli che schiariscono la pelle, rendono i denti più bianchi o distorcono le dimensioni del corpo (come lo skinny filter su TikTok), contribuiscono a rafforzare un ideale di perfezione che è difficile o impossibile da raggiungere nella vita reale. Un esperimento condotto su 130 donne ha mostrato che il tempo speso a modificare i selfie non solo aumenta l’insoddisfazione verso il proprio aspetto, ma amplifica anche gli stati d’animo negativi. Il fenomeno della selfie dysmorphia La selfie dysmorphia è una condizione in cui si perde la capacità di distinguere la propria immagine reale da quella pubblicata sui social network. Chi ne soffre può abituarsi così tanto alla versione ritoccata e alterata del proprio volto online da non riuscire più a riconoscersi davanti allo specchio. Sempre più persone si rivolgono a chirurgi plastici per essere uguali a come appaiono con i filtri impostati. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Clinical and Aesthetic Dermatology, che ha coinvolto 175 partecipanti di età superiore ai 18 anni (intervistati tra il 2019 e il 2021) ha evidenziato che l'uso frequente di social media e di app per l'editing fotografico, è associato a un aumento dell'insoddisfazione per l'immagine corporea. Inoltre, seguire celebrità, influencer e account che mostrano i risultati di procedure estetiche online influenza il desiderio degli utenti di sottoporsi a trattamenti estetici. La rincorsa verso standard di bellezza irrealistici, può condurre i giovani a una disconnessione tra il loro aspetto reale e le immagini modificate che condividono. Questo è un tipo specifico di auto-oggettivazione che può portare, nei casi peggiori, al disturbo da dismorfismo corporeo. Secondo il DSM V, il disturbo da dismorfismo corporeo è caratterizzato da preoccupazione per difetti percepiti nell'aspetto fisico che non è evidente o sembra lieve ad altre persone. Come contrastare la dark side dei filtri Per contrastare questi effetti negativi, è importante sviluppare abitudini più sane, attuando le seguenti strategie: - Essere consapevoli di quanto tempo trascorriamo su queste piattaforme: Instagram consente di impostare un limite giornaliero. La piattaforma ti darà un reminder sia quando starai per raggiungerlo che quando sarà raggiunto. Inoltre, puoi accedere al report settimanale sulla sezione Gestione del tempo, dandoti una panoramica del tempo che trascorri sul social. - Costruire e cercare profondità nelle relazioni e nella vita reale, evitando di focalizzarti troppo sulla vita online -Usa i selfie con consapevolezza: osserva quanto tempo dedichi alla modifica delle foto e rifletti su come questo influisce sul tuo umore e il tuo benessere.  - Accetta il tuo sé autentico: pratica l’autocompassione (self-compassion) accettando le tue imperfezioni in quanto caratteristiche che ti rendono unico. La meditazione allo specchio, ad esempio, può aiutarti a sviluppare un rapporto positivo con la tua immagine priva di filtri. La rimozione dei filtri probabilmente potrà essere l’inizio della fine di questa tendenza a proporre immagini distorte e ci condurrà verso un’esperienza online sempre più reale e autentica. Purtroppo il viaggio verso l’accettazione di sé è costituto da diversi fattori esterni e interni che ovviamente non si limitano soltanto al nostro modo di interagire con le piattaforme. Un primo passo verso la consapevolezza di sé e della nostra presenza sul web, però, è stato fatto. ANTONELLA PATALANO

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Donne e televisione

Donne e televisione

La rappresentazione. La rappresentazione è essenziale nel modo in cui viene percepita, rafforzata o indebolita una categoria di persone, e questa rappresentazione passa attraverso vari canali: il canale che analizzeremo insieme in questo articolo è la televisione, e il ruolo che essa svolge nella lotta femminista e nel ciò che essere una donna significa nell’immaginario collettivo. Ma cosa significa quindi essere donna e lavorare in televisione? La televisione italiana, benchè se ne dica, nel corso degli anni ha promosso ed esposto programmi spesso e volentieri sessisti ed oggettificanti. Se un ventennio fa questo veniva effettuato in maniera più aperta e pubblica, perché meno erano anche le conseguenze, negli anni la società (non senza lotte) è cambiata, e con essa anche il modo di attuare determinati comportamenti. Così, siamo passat* ad avere più presentatrici donne, alla modifica di script per rendere le discriminazioni un po’ più velate, ad un Festival di Sanremo in cui vengono invitate figure femminili di spicco più spesso e volentieri rispetto a quanto venisse fatto prima (senza mai, però, concedere loro il ruolo di conduttrici). Tutto ciò si trasforma quindi in un palese “contentino”, un modo come un altro per nascondere un problema sistemico, in cui la televisione non è altro che la rappresentazione di una società patriarcale, che è ancora molto lontana da un cambiamento significativo, e che non sembra comunque volerlo attuare. Ma andiamo per ordine, guardando al lavoro dell’attivista e scrittrice Lorella Zanardo, che nel 2009 realizza il documentario “Il corpo delle Donne”. Zanardo, attraverso esempi cronologici, ci porta a riflettere su quanto la visione misogina sia cementata e fondata in quella che è la televisione in Italia, sia pubblica che privata. ANNI 70-80 Il primo esempio sono i programmi di Enzo Trapani, mandati in onda a cavallo tra gli anni 70 e 80. Uno dei servizi di Trapani, incluso nella prima puntata di Odeon (1976, Rete Due), trattava del locale parigino di striptease Crazy Horse, utilizzato come espediente per dare in pasto agli occhi del pubblico ragazze seminude, in un format ancora anni luce lontano da quello che, a passi microscopici, si sta cercando di diffondere oggi, ossia che sex work is work. FINE ANNI 80 Più di dieci anni dopo, nel programma televisivo “Indietro tutta!” (1987 - 1988, Rai Due) troviamo la figura delle “ragazze coccodè”, giustificate come parodie della volgarità tipica della televisione italiana degli anni 80. Diventa a questo punto impossibile non riflettere sul come il corpo femminile venga visto come volgare proprio in quanto corpo femminile, ancora una volta oggettificato e sessualizzato, diretto da occhi maschili per un pubblico di occhi maschili (e, perciò, ignorando completamente la presenza di spettatrici donne). IL 2000 Se poi andiamo in fast forward ai primi anni 2000, la situazione non è molto diversa: il programma di varietà “Libero rai” (2000 - 2007, Rai Due), condotto da Teo Mammucari, vede la presenza di Flavia Vento nel ruolo di “valletta”, messa in mostra in una scatola di vetro sotto la scrivania del conduttore, ridotta ad un pezzo di carne che, di nuovo, ha il solo scopo di servire allo sguardo maschile. Qui cito le parole di Zanardo, che si chiede: “Ci si può far infilare sotto un tavolo di plexiglass? Si può assumere la funzione di gambe del tavolo, passare molto tempo lì sotto accucciata mantenendo la leggerezza di un gioco, senza che da qualche parte recondita del nostro corpo non si produca una ferita?”. DAL 2020 AD OGGI Tutto questo non ha che prodotto le basi per interviste come quelle di Amadeus che, quando interpellato sulle (“bellissime”) donne che lo avrebbero affiancato alla conduzione di Sanremo, risponde: l’importante, per una donna, è saper rimanere un passo indietro rispetto ad un grande uomo.  Così ci ritroviamo in un 2024 in cui molteplici artist* si indignano per l’esclusione di Tony Effe dal concertone di Capodanno, quando basta guardare ai testi delle sue canzoni per capirne il motivo. Tuttavia, ancora una volta abbiamo la triste prova del fatto che l’Italia, e il mondo dello spettacolo italiano, non sono pronti a rinunciare ad un’oppressione sistemica di una categoria che, ancora una volta, si ritrova messa all’angolo. Le fonti di questo articolo vengono da un altro articolo scritto da Barbara Berardi, Cecilia Cerasaro e Clara Dellisanti e pubblicato online su recensito.net (https://www.recensito.net/televisione/ogni-donna-%C3%A8-tante-donne-figura-femminile-rappresentazione-nel-piccolo-schermo.html), che vi invito caldamente a leggere per un’analisi più completa e minuziosa della figura femminile nella televisione italiana. In conclusione, citando Berardi, Cerasaro e Dellisanti, “la prevaricazione esisterà finché esisterà il patriarcato”.

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Parliamo di HIV e AIDS

Parliamo di HIV e AIDS

Oggi, 1° dicembre, celebriamo la Giornata Mondiale contro l’AIDS, un’occasione per riflettere sui progressi fatti e le sfide che rimangono nella lotta a questa epidemia globale. Questa giornata non è solo un momento per onorare chi ha perso la vita a causa dell’AIDS, ma anche un’opportunità per informarsi, abbattere pregiudizi e promuovere la consapevolezza su una malattia che colpisce ancora milioni di persone nel mondo. HIV e AIDS: due volti di una stessa battaglia Per prima cosa, chiariamo: HIV e AIDS non sono la stessa cosa. L’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) è un virus che attacca il sistema immunitario, compromettendone la capacità di difendersi da altre infezioni. Se non trattato, l’HIV può evolvere in AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita), una condizione in cui il sistema immunitario è gravemente danneggiato, lasciando il corpo vulnerabile a malattie opportunistiche. Grazie ai progressi della medicina, una diagnosi di HIV non è più una condanna a morte. Con terapie antiretrovirali (ART) adeguate, le persone con HIV possono vivere una vita lunga e sana, senza mai sviluppare l’AIDS. Tuttavia, la chiave è la diagnosi precoce e l’accesso al trattamento. Dall’emergenza degli anni ‘80 al panorama globale nel 2024 La storia dell’HIV/AIDS risale agli anni ‘80, quando i primi casi furono identificati negli Stati Uniti. All’epoca, l’AIDS era una condanna a morte certa, circondata da stigma e disinformazione. Grazie alla ricerca scientifica e agli attivisti che hanno lottato per maggiore consapevolezza e accesso alle cure, oggi la situazione è molto diversa. Nel 2024, ci sono quasi 39,9 milioni di persone che vivono con l’HIV a livello globale, secondo i dati dell’OMS. Di queste, 29,8 milioni hanno accesso alla terapia antiretrovirale. Tuttavia, i numeri variano enormemente tra regioni: in Africa subsahariana, la più colpita, molte comunità continuano a lottare contro la povertà, il basso accesso alle cure e l’educazione limitata, rendendo difficile il controllo dell’epidemia. Nonostante i progressi, ogni anno ci sono ancora circa 1,3 milioni di nuove infezioni e 630.000 decessi correlati all’AIDS. Inoltre, nuove sfide sono emerse: una crescente resistenza ai farmaci, disuguaglianze nell’accesso ai trattamenti e una pandemia di disinformazione che rallenta la prevenzione. Sfatare i falsi miti sull’HIV/AIDS Parlare di HIV/AIDS non significa solo discutere di statistiche, ma anche affrontare i miti che ancora oggi alimentano stigma e paura. Eccone alcuni, con le risposte che aiutano a fare chiarezza: Mito: "L’HIV si trasmette con un bacio o condividendo utensili." Falso. L’HIV non si trasmette attraverso il contatto casuale come baci, abbracci, strette di mano o la condivisione di oggetti come bicchieri o posate. Si trasmette tramite sangue, sperma, secrezioni vaginali, liquido rettale e latte materno. Mito: "Solo alcune persone possono contrarre l’HIV." Falso. L’HIV non discrimina: chiunque può contrarre il virus se esposto. Certo, alcune categorie, come chi ha rapporti sessuali non protetti o utilizza aghi condivisi, sono più a rischio, ma la prevenzione riguarda tutti. Mito: "Se prendi l’HIV, morirai presto." Falso. Con le terapie antiretrovirali moderne, le persone con HIV possono vivere vite normali e in salute. L’importante è iniziare il trattamento il prima possibile. Mito: "Non ho bisogno di proteggermi perché esistono cure per l’HIV." Falso. Anche se esistono trattamenti molto efficaci, l’HIV rimane una condizione cronica che richiede cure per tutta la vita. La prevenzione resta la strategia migliore. Mito: "Solo chi fa parte della comunità LGBTQ+ è a rischio di HIV." Falso. L’HIV colpisce tutte le comunità e le popolazioni. Associarlo solo a un gruppo perpetua stereotipi dannosi e ostacola la prevenzione. Creare consapevolezza e abbattere lo stigma La disinformazione sull’HIV/AIDS ha effetti devastanti. Non solo ostacola la prevenzione e il trattamento, ma contribuisce anche a perpetuare lo stigma, che spinge molte persone a evitare test o cure per paura di essere giudicate. Cambiare questa narrativa è cruciale, e ognuno di noi può fare la sua parte: Informarsi: Leggere da fonti affidabili come l’OMS o organizzazioni come Medici Senza Frontiere. Parlarne: Con amici, familiari e comunità, per normalizzare la conversazione sull’HIV/AIDS. Supportare: Organizzazioni che lavorano sul campo, offrendo supporto economico o volontariato. Prevenire: Usare il preservativo, fare il test regolarmente e, se si è a rischio, considerare la PrEP (profilassi pre-esposizione). Guardare al futuro: verso la fine dell’HIV/AIDS Il 2024 è un anno cruciale. La scienza ci ha dato strumenti potenti per combattere l’HIV/AIDS, ma non basta avere i mezzi se non li mettiamo a disposizione di tutti. L’obiettivo dell’UNAIDS è porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030. Per farlo, dobbiamo affrontare non solo le barriere mediche, ma anche quelle sociali, economiche e culturali. In questa Giornata Mondiale contro l’AIDS, ricordiamoci che il cambiamento parte da noi. Non si tratta solo di numeri, ma di vite. Parliamo, ascoltiamo e agiamo, per un futuro libero dall’HIV/AIDS.

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Se gli uomini avessero le mestruazioni

Se gli uomini avessero le mestruazioni

L’uomo domina sulla donna. Questo non è uno scoop: è la realtà di ogni singolo giorno, da sempre. Nonostante i “presunti” progressi in termini di uguaglianza di genere e di diritti, la nostra società continua a rimanere quella che è: patriarcale, maschilista ed eteronormativa.   Circa la metà della popolazione mondiale (49,6%), quasi 4 miliardi di donne, ha vissuto, vive o vivrà il ciclo mestruale come un evento naturale. Di questi 4, circa 2 miliardi – secondo i dati UNICEF – hanno il ciclo ogni mese. 500 milioni tra queste vivono in uno stato di period poverty, ossia non godono di un accesso adeguato agli strumenti e all'istruzione per l'igiene mestruale, inclusi ma non limitati a prodotti sanitari, impianti di lavaggio e gestione dei rifiuti. Nonostante ciò, le mestruazioni sono un argomento di cui si parla raramente, che viene normalmente circondato dalla vergogna e dal silenzio, soprattutto a causa dei comportamenti perpetrati dal sesso maschile, che spingono, quasi sempre, a far cadere la conversazione a riguardo. I prodotti mestruali sono così, anche per questo, sempre pubblicizzati con eufemismi e i sintomi associati, come i crampi, sono addirittura minimizzati o ignorati.   Proviamo, però, a immaginare questo: se fossero gli uomini ad avere le mestruazioni, se avessero, quindi, tutte le caratteristiche naturali e biologiche di una donna, probabilmente assisteremmo a un'inversione totale di questa narrativa. Quanto sarebbe diversa questa società da quella attuale? Sicuramente le mestruazioni non sarebbero avvolte da tabù, anzi, sarebbero una questione di primaria importanza, come è del resto, all’interno della nostra realtà, tutto ciò che riguarda il mondo maschile. Lo stesso si può osservare in tanti altri aspetti della vita quotidiana, in cui uomini e donne vengono continuamente percepiti e giudicati in modi del tutto differenti.       Se gli uomini avessero le mestruazioni, infatti, potrebbero comunque vivere la propria sessualità sempre con libertà. Avere rapporti sessuali, all’interno della nostra società, infatti, è ciò che rende adulti gli uomini e che diventa motivo di orgoglio per questi. Alle donne, invece, viene sempre attribuito un sentimento di vergogna per il fatto che hanno avuto un rapporto, come se fosse qualcosa che ne abbia rovinato il corpo. Chissà perché solo alle donne.   Per la masturbazione, allora, sarà diverso? Per niente. Quella maschile è, infatti, considerata una normalità e, perfino, celebrata come parte della crescita e dello sviluppo sessuale nel ragazzo; quella femminile, invece, è ancora ampiamente stigmatizzata e nascosta. Gli uomini parlano apertamente e continuamente della propria vita sessuale ovunque e con chiunque, senza aver mai il timore di essere giudicati o attaccati sulle proprie scelte. Parlano delle loro conquiste, di quante o di chi sono riusciti a farsi. È questa la visione che la società ha della donna: quella di un trofeo da conquistare. E se sono le donne, invece, a parlare della propria sessualità, della propria masturbazione o della propria libertà con cui hanno o vogliono avere rapporti sessuali, vengono solitamente additate come troie, puttane, come “quelle che la danno in giro”, poiché non rispettano lo “standard” stereotipico che l’uomo – e quindi la società – ha delle donne. Tutto ciò, poi, peggiora se non si rientra all’interno di quei canoni di aspetto, di cura, di orientamento sessuale e di genere imposti dagli stereotipi sociali.   Se gli uomini avessero le mestruazioni, infatti, gli stereotipi legati alla propria figura e le imposizioni legate al proprio corpo non esisterebbero. Nella nostra società, invece, le pubblicità presentano costantemente donne che rientrano negli stereotipi di bellezza socialmente accettati, caratterizzati da corpi sensuali, magri, curati e depilati. E così sessualizzate. Se per strada, però, una ragazza, vestendosi come più desidera e come più le piace, alla stessa stregua di quella sensualità tanto apprezzata e “valorizzata” in precedenza, lascia intravedere la bretella del reggiseno oppure sceglie di indossare una gonna più corta, allora ella è considerata indecente (nel migliore dei casi). “Sei vestita proprio come una troia”. È ovvio che, se sei donna, non puoi andare in giro troppo scoperta, perché “potresti provocare gli uomini”. Questo è ciò che viene, solitamente, detto a una donna. L’uomo a petto nudo, che si può spogliare e togliere la maglietta, invece, rientra nella normalità: lui non verrà mai insultato né vedrà il suo corpo essere sessualizzato e usato così come insulto. Che quest’uomo sia villoso o depilato, non cambierebbe in alcun modo la situazione: in un caso verrebbe definito come virile, nell’altro come curato e attento. Se ne uscirà sempre positivamente, se si è uomini. Una donna, invece, che sceglie di non depilarsi, sarà considerata come trascurata e non femminile: verrà sempre criticata negativamente. E ci sarà, senza alcun dubbio, un uomo pronto a ricordarle di depilarsi, “perché non è bello vedere i peli sotto le ascelle o sulle gambe”. Peccato che a nessun uomo venga detto cosa fare o meno con il proprio corpo.   Dite che stiamo esagerando? Per niente. Le donne, infatti, devono continuamente conformarsi a standard di abbigliamento e di cura più rigidi e complessi, sia nel contesto lavorativo che in quello sociale e personale, dato che sono sempre giudicate per la propria apparenza e per la cura del proprio aspetto. Gli uomini, dall’altra parte, hanno generalmente maggiore libertà nel loro abbigliamento e, anche se fuori luogo in un determinato contesto, al massimo verranno definiti come originali, stravaganti, fuori dalle righe. La donna, invece, sarà definita come inadatta: non solo esteticamente, ma verrà riconosciuta come tale anche sul piano lavorativo, perché tutto viene interconnesso e colpevolizzato se si è donna.   E se, arrivati a questo punto, sentiste il bisogno di dire che non sono solo gli uomini a dire questo e che molte più volte sono le donne stesse a dirlo ad altre donne, vi siete mai chiesti il perché di tutto ciò? Le donne sono nate e cresciute in una società patriarcale, maschilista ed eteronormativa, nella quale sono state educate in un modo ben preciso: una donna che esce dagli schemi degli stereotipi verrà subito attaccata non solo da uomini, ma anche da altre donne. Dall’intera società.   Se gli uomini avessero le mestruazioni, poi, l’emotività sarebbe sempre un valore aggiunto e tutelato, soprattutto in ambito lavorativo. Se gli uomini avessero le mestruazioni, le loro emozioni, in relazione anche al momento del ciclo, non verrebbero mai considerate un elemento negativo sul piatto di questa bilancia. Nella nostra realtà, però, non è così. Le donne, poiché considerate più emotive, infatti, sono spesso viste come deboli, incapaci di prendere le giuste decisioni e di poter mantenere così le posizioni ai vertici nelle organizzazioni. Sono viste come meno competenti e troppo dure se adottano uno stile di leadership assertivo, mentre gli uomini che adottano il medesimo stile sono considerati determinati e capaci. Questa discriminazione perpetua l'idea che la razionalità e la forza emotiva “positiva” siano caratteristiche esclusivamente maschili. Le donne ambiziose, infatti, vengono spesso percepite negativamente ed etichettate come aggressive o “difficili”, mentre gli uomini sono premiati ed elogiati per la loro ambizione. Come se ci fossero emozioni di serie A e di serie B: anzi, è più corretto parlare di persone di serie A e di serie B. Questa disparità crea un ambiente in cui le donne devono lavorare molto più duramente degli uomini per ottenere lo stesso riconoscimento e avanzamento professionale, pur essendo pagate il 16% in meno e svolgendo il 75% dei lavori domestici nelle proprie case rispetto ai loro colleghi uomini. Inoltre, le donne devono affrontare il "pavimento appiccicoso" di ruoli tradizionalmente femminili che limitano la loro mobilità verso l'alto.   Se gli uomini avessero le mestruazioni, infatti, la maternità non sarebbe un limite alla vita lavorativa e personale. Le donne sono le principali e praticamente le uniche responsabili della casa e dei figli, il che limita quasi sempre le loro opportunità di carriera lavorativa. Gli uomini che scelgono di essere padri attivi e presenti sono sempre lodati per il loro impegno, come se stessero facendo qualcosa in più e di straordinario rispetto al proprio ruolo di genitore. Per la donna, invece, quello di prendersi cura dei figli e della casa, secondo la società, è il “proprio dovere”. Una donna, quindi, che cerca di conseguire una migliore carriera lavorativa diventa, così, una madre assente, non attenta e non disposta a sacrificarsi per la famiglia. Se è l’uomo, invece, quello impegnato a fare carriera, si tratta semplicemente di un padre premuroso che cerca di dare un futuro migliore alla sua famiglia. Se gli uomini avessero le mestruazioni e così il potere di dare la vita a un altro essere umano, sarebbero veramente considerati e acclamati costantemente come degli eroi da ammirare e da rispettare. Non vedrebbero mai essere invalidato il proprio dolore per le mestruazioni, né a casa, né sul posto di lavoro e né in altri contesti sociali. E, soprattutto, non verrebbero esclusi da posizioni di lavoro se avessero l’intenzione di avere una gravidanza in futuro. Per i pochi volonterosi uomini che, poi, decidessero di partorire, il parto avrebbe ogni volta una dinamica simile a quella del Super Bowl o della finale di Champions League per l’importanza che avrebbe tale evento in quella diversa società. I benefit per la paternità costituirebbero percentuali enormi della spesa pubblica e i padri partorenti avrebbero almeno anni di lavoro indennizzato con uno stipendio più alto di quello precedente al parto. E, soprattutto, non verrebbero bloccati e trattenuti da stereotipi di ruoli di genere se volessero continuare a fare carriera. Proprio come accade nella nostra società…   Se gli uomini avessero le mestruazioni, non esisterebbero espressioni come “Donna al volante? Pericolo costante”. Sebbene spesso pronunciato in tono – a detta degli uomini - scherzoso, ha profonde radici sessiste e perpetua pregiudizi ingiusti nei confronti delle donne. L'idea che le donne siano meno abili alla guida rispetto agli uomini ha origini storiche e culturali, ma non corrette: la guida, infatti, è tradizionalmente considerata un'attività maschile, associata a valori come il coraggio, la prontezza di riflessi e la capacità tecnica. Quante volte assistiamo a uomini che insistono fino ad obbligare perché siano loro a guidare? C’è la paura che venga tolto quel ruolo di superiorità di genere tipico di questa società? Le donne, da sempre relegate a ruoli domestici, sono percepite, infatti, come meno inclini a gestire situazioni considerate "rischiose" o "complesse", come la guida di un veicolo. La realtà dei fatti, però, contraddice questo stereotipo. Uno studio dell'Insurance Institute for Highway Safety (IIHS) mostra, difatti, che le donne tendono a essere guidatrici più prudenti e a causare meno incidenti gravi rispetto agli uomini: questi, infatti, sono più propensi a comportamenti di guida rischiosi, come eccesso di velocità, guida sotto l'influenza di stupefacenti e non utilizzo delle cinture di sicurezza. Il vero pericolo costante, quindi, sono gli uomini. Inoltre, questi pregiudizi alimentano una cultura di disuguaglianza, contribuendo a perpetuare le disparità di genere anche in altri contesti, come all’interno di luoghi politici, aziendali, ma anche sportivi e sociali. Le donne potrebbero essere considerate, così, meno adatte per ruoli professionali che richiedono la guida o altre competenze tecniche, basandosi su pregiudizi ingiustificati, nonostante abbiano le medesime competenze, se non tante volte maggiori, di uno stesso candidato uomo.   Se gli uomini avessero le mestruazioni, avrebbero sempre spazio per potersi esprimere e all’interno della società. Quante sono le donne, infatti, che vengono intervistate, soprattutto all’interno di trasmissioni televisive, come esperte nel proprio settore rispetto al numero di uomini intervistati? Perché chiamare delle donne ad affrontare problematiche e situazioni che riguardano loro in prima persona, quando si può mettere in scena un terribile teatrino di soli uomini a parlare di aborto attorno a un tavolo? A parlare e a commentare qualcosa che non riguarda né loro né i loro corpi? E no, prima che ce lo chiediate, non si tratta dell’episodio di BoJack Horseman, ma di Porta a Porta condotto da Bruno Vespa. Quante sono, poi, le donne impegnate nelle cariche pubbliche rispetto al numero di uomini presenti? La sfera pubblica, e così il fare le leggi e dirigere la società, è quasi tutta in mano agli uomini.   Se avessero davvero le mestruazioni, queste sarebbero costantemente al centro degli interessi di tutta l’umanità, così come l’aborto, l’accesso ai servizi e il rispetto dei propri diritti: fare victim blaming a un uomo che ha subito catcalling, violenza e/o molestie sessuali sarebbe impensabile. Non assisteremmo alle classiche accuse che vengono mosse contro le stesse vittime di stupro: “Eri vestitə così, te la sei cercata, lo stavi provocando ed è normale che pensava che ci volessi stare”. La polizia e la Giustizia agirebbero subito a tutela della vittima, come succede nel nostro mondo ogni giorn… ah no, non è vero. Alla fine, nella nostra società, è sempre colpa delle donne e non di chi ha molestato, non di chi ha stuprato, non di chi ha abusato, non di chi ha violentato. Anche se l’outfit messo sotto accusa era una tuta da ginnastica, messa apposta, magari, per uscire di casa solo per passeggiare.   Se gli uomini avessero davvero le mestruazioni, non si penserebbe mai, soprattutto in uno stato che si professa laico, di togliere dall’agenda del G7 il diritto all’aborto libero e sicuro a causa della visita di un'esponente religiosa contraria all'aborto. Inoltre, non si dovrebbe dimenticare che questo tema non dovrebbe riguardarla in quanto donna. Se qualche donna provasse, infatti, a obiettare, le verrebbe subito rinfacciato che decidere su una gravidanza non una cosa che le compete. Assurdo, vero? Invece, in questi giorni, nel nostro mondo, è successo proprio questo. Peccato che né il Papa né altri uomini, e nessuno in generale, possano sindacare e limitare il diritto delle donne all’aborto libero e sicuro, soprattutto in uno stato che si professa laico, garante della libertà di culto e nel quale il cattolicesimo non è l’unica religione praticata. Probabilmente a Roma c’è nostalgia dei Patti Lateranensi.   Se gli uomini avessero le mestruazioni, espressioni autocensuranti come “le mie cose”, poi, non esisterebbero. Invece di essere motivo di imbarazzo, sarebbero considerate un segno di forza, di virilità, celebrate e discusse apertamente: probabilmente chi tra gli uomini avesse il ciclo più abbondante, sarebbe considerato uno dei più virili e forti del gruppo. Se gli uomini avessero davvero le mestruazioni, ciò non impedirebbe loro di andare a scuola, a lavoro o nei luoghi pubblici, perché non verrebbero considerati impuri, come, invece, capita a tantissime donne in diverse parti del mondo. La società, quindi, svilupperebbe una maggiore empatia e comprensione per il dolore e i disagi connessi al ciclo, portando a migliori condizioni di lavoro e supporto sanitario.   Se gli uomini avessero davvero le mestruazioni, infatti, non ci sarebbe alcun impedimento o difficoltà nell’accesso alle cure. In campo medico si conoscerebbero estremamente bene le patologie a queste correlate, come l’endometriosi, giusto per fare un esempio. Se gli uomini avessero davvero le mestruazioni, non ci vorrebbero in media 7 anni per diagnosticare l’endometriosi. Una malattia che provoca dolori e limitazioni importanti, causando anche l’infertilità a chi ne è affettə, sarebbe una delle malattie più conosciute e studiate al mondo.   Se gli uomini avessero davvero le mestruazioni, queste non sarebbero invisibili così come lo sono oggi e i dolori, i crampi e il malessere sarebbero rispettati. Gli assorbenti e tutti i prodotti correlati al ciclo sarebbero considerati da tuttə come beni di prima necessità e inseriti a titolo gratuito vista la loro necessità medico-sociale. Altro che tampon tax e IVA. Il “bello” è che, nella realtà, esiste tutto ciò: da una parte, in Scozia, gli assorbenti sono gratuiti per le donne, dall’altra, in Italia, il tartufo ha un’imposta IVA minore di un assorbente. D’altronde si sa, i tartufi sono un bene di necessità di gran lunga più importante e vitale degli assorbenti, che sono considerati dal governo italiano alla stessa stregua dei beni di lusso e come qualcosa di cui le donne possono fare a meno, come se fosse un capriccio.   Se le mestruazioni, quindi, avessero riguardato la metà giusta dell’umanità, sarebbero un tema di interesse pubblico e non solo “di pochə”. Se gli uomini avessero davvero le mestruazioni, tutto sarebbe stato e sarebbe diverso. Non sarebbe probabilmente, comunque, una società giusta: l’unica società degna di essere chiamata tale è quella, infatti, in cui i diritti di tuttə sono rispettati, senza la prevaricazione di un gruppo su un altro.   LORENZO CIOL

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Depilazione e mestruazioni

Depilazione e mestruazioni

Hai mai sentito dire che durante le mestruazioni è vietato sfoderare il rasoio? O che depilarsi potrebbe trasformare un flusso mestruale tranquillo in una cascata inarrestabile? Bene, è il momento di mettere fine a questi miti che hanno terrorizzato le donne per troppo tempo. Prendi il tuo rasoio e preparati a sfatare le leggende della depilazione durante il ciclo! Mito 1: Non si può fare la depilazione durante il ciclo mestruale. Questo mito è più radicato di un pelo incarnito, ma la verità è che non c'è alcuna ragione medica per evitare la depilazione durante le mestruazioni. La scelta di depilarsi o meno dipende dalle preferenze personali e dal comfort della persona. Non ci sono rischi sanitari associati alla depilazione durante questo periodo. Quindi, se hai voglia di sfoggiare gambe lisce e luminose durante il tuo ciclo, vai avanti senza paura! Mito 2: La depilazione rende il flusso mestruale più abbondante. Un mito che meriterebbe di essere depilato dalla nostra mente! La depilazione non ha alcun impatto sul flusso mestruale. Quest'ultimo è determinato da fattori come gli ormoni e la salute generale dell'individuo, e non da quanti peli decidi di eliminare. Quindi, se pensavi che la depilazione potesse trasformare il tuo flusso in un fiume impetuoso, puoi stare tranquilla. La realtà è molto meno drammatica di quanto si possa immaginare. Mito 3: La depilazione durante le mestruazioni è più dolorosa. È ora di sfatare il mito della depilazione "dolorosa" durante il ciclo. Dal punto di vista scientifico, non c'è alcuna base per questa affermazione. Tuttavia, è vero che durante le mestruazioni, alcune persone potrebbero sperimentare una maggiore sensibilità della pelle o una maggiore sensibilità al dolore. In tal caso, non temere! Puoi adottare alcuni accorgimenti, come l'utilizzo di prodotti specifici per pelli sensibili o optare per metodi di depilazione che causano meno fastidio, come il buon vecchio rasoio. È fondamentale ricordare che le mestruazioni e la depilazione sono affari personali. Ogni individuo ha il diritto di prendere decisioni basate sulle proprie preferenze e il proprio comfort. Quindi, se preferisci lasciare che la natura segua il suo corso senza interferenze, vai avanti. Al contrario, se vuoi sfoggiare una pelle liscia anche durante il ciclo, niente ti ferma! Inoltre, sappiamo che durante le mestruazioni le donne possono affrontare una serie di sfide, e la depilazione non dovrebbe certo aggiungersi alla lista. Quindi, rilassati, prenditi cura di te stessa e ricorda che la bellezza è soggettiva. Sei libera di abbracciare la tua femminilità in ogni momento del mese, peli o no. In conclusione, è tempo di dire addio ai miti imbarazzanti e abbracciare la verità scientifica. La depilazione durante le mestruazioni è completamente sicura, e qualsiasi decisione tu prenda riguardo alla tua bellezza personale è la decisione giusta. Non lasciare che miti senza senso ti implichino nel tuo percorso di autostima e benessere. Pelosa o rasata, sei stupenda a modo tuo!

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Giornata Internazionale dei Diritti della Donna

Giornata Internazionale dei Diritti della Donna

L’Italia si prepara a dipingersi di piccoli e delicati fiori gialli: simbolo della ricorrenza legata alla Giornata Internazionale dei Diritti della Donna – almeno alle nostre latitudini –,  in questi giorni incontriamo la mimosa agli angoli di tutte le nostre strade.  Celebrata in ogni angolo del mondo da poco più di un secolo, le origini di questa festa sono state a lungo controverse. C’è chi ritiene che la festa discenda da un incendio divampato in un’industria tessile di New York che uccise ben 146 donne; altri la riconducono a una presunta manifestazione sindacale sempre di operaie tessili newyorkesi del 1857.  In realtà, l’origine dell’8 Marzo ha origine nelle proteste femministe russe del 1911. Più di un milione di donne e uomini hanno partecipato alle varie manifestazioni che sostenevano la campagna per il diritto delle donne di lavorare, votare, essere formate professionalmente, di svolgere funzioni pubbliche ed essere libere dalla discriminazione, rivendicando maggiori diritti in una società di stampo patriarcale. In ogni caso, sarebbe troppo difficile ricostruire precisamente le origini di una ricorrenza che si è pian piano allargata a tutto il mondo. Quello che più ci interessa è celebrare il suo valore, input, in molti casi, per il raggiungimento della vittoria di tante e importanti battaglie, che miravano tutte a un obiettivo: l’uguaglianza politica, economica e sociale tra persone, indistintamente dal loro genere. Diversi sono i traguardi segnati nel corso del tempo: il diritto di istruzione, quello di voto, del divorzio e, per citare il più importante tra gli ultimi, l’istituzione di provvedimenti penali connessi alla violenza di genere.  Ebbene, nonostante siano passati più di cento anni, le donne non hanno smesso di combattere: ciascuna conduce le sue grandi e piccole battaglie quotidiane per assottigliare quella disuguaglianza che tuttora persiste. Sebbene si registrino intermittenti segnali di miglioramento, lo scenario epidemiologico ci pone di fronte a nuove sfide: per questo non possiamo non pensare ai rischi che corrono le figure femminili ancora una volta.  Se già prima dell’emergenza legata al coronavirus, molte hanno dovuto scegliere tra una vita professionale e una vita familiare, ora diverse ripercussioni, tra cui la chiusura frequente degli istituti scolastici, potrebbero riflettersi sulle donne. Ad esempio, queste, secondo recenti sondaggi, hanno dichiarato di essersi occupate durante il primo lockdown per 62 ore settimanali dei figli alle prese con la didattica a distanza, a fronte delle 36 degli uomini, a discapito del loro lavoro.  Insomma, oggi è più che mai ingiusto doverci confrontare con la scelta del lavoro o della famiglia, è ingiusto essere associate alle responsabilità di cura della casa o dei figli, è ingiusto essere retribuite meno e ricoprire ruoli meno prestigiosi perché donne.  Come abbiamo visto, basta soffermarsi sul tema perché affiorino decine di problemi irrisolti, di diritti non riconosciuti: per la loro risoluzione, per il loro conseguimento è necessario ancora una volta far sentire la nostra voce, senza rassegnarsi alle condizioni vigenti.  Che l’8 marzo, con o senza mimose, sia l’occasione per riflettere sul ruolo che vogliamo rivestire.

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Come rimuovere le macchie di sangue?

Come rimuovere le macchie di sangue?

Sono sicura che tutte abbiamo dovuto affrontare, e ben più di una volta, macchie di sangue sparse sui nostri vestiti o sul nostro intimo. Sui nostri volti prendeva forma, nel frattempo, il più grande dei punti interrogativi. Abbiamo raccolto un po’di consigli da parte di alcune smacchiatrici seriali, perché possa rimanervi qui come piccolo vademecum.   1) Se il sangue è fresco, la situazione è la più semplice. Usate un getto d’acqua molto fredda per smacchiare, aggiungendo, se il caso lo richiede, un po’di sapone di Marsiglia. Mi raccomando, però, non usate MAI l’acqua calda! Potrebbe fissare la macchia sul tessuto.   2) Se invece il sangue è secco, ma il capo macchiato è molto delicato, vi consigliamo di mescolare del sale a un pochino di acqua, creando un composto. I granelli di sale sono un toccasana per le incrostazioni e non sbiadiscono i tessuti. Applicatelo, risciacquate e concludete il processo con un lavaggio a freddo.   3) È probabile avere avuto qualche problema tecnico di notte che si concretizza in una macchia sul lenzuolo e, ahimè, anche sul materasso. Questa sì, rientra tra le macchie ostinate: provate ad applicare sul sangue uno strato di dentifricio. Quando sarà secco, rimuovetelo aiutandovi con le setole, ad esempio, di un vecchio spazzolino. È probabile che sia necessaria più di una applicazione, ma il vostro materasso sarà salvo.   4) Infine, per il sangue secco che si è depositato sui capi non delicati, vi consigliamo di usare dell’acqua ossigenata. L’anidride carbonica che vi è contenuta scioglie il sangue e, in generale, le macchie più difficili. Provate questa soluzione prima su un angolino nascosto del capo, per non rischiare di rovinarlo irreparabilmente. Ah, se avete finito l’acqua ossigenata, niente paura! Provate con dell’acqua gassata, l’effetto sarà il medesimo.   Tutte noi, comunque, avremo avuto dell’intimo che non siamo riuscite a smacchiare a dovere. Il nostro consiglio è: non buttatelo! Potrete sempre tenerlo da parte e usarlo durante il periodo delle vostre mestruazioni. Anche in questo caso, l’ambiente vi sarà grato. Se avete altri suggerimenti oppure volete raccontarci la vostra esperienza con una delle tecniche che vi abbiamo proposto, scriveteci nei commenti!

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