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Quando il tuo dolore non é abbastanza visibile
Se non sei moribonda, allora stai bene: il grande inganno sulle malattie femminili Le malattie croniche femminili hanno un problema di fondo: spesso non si vedono. Nessun arto ingessato, magari no cicatrici evidenti, niente che gridi "sto male". E se non si vedono, per il mondo esterno – e spesso anche per la medicina – è come se non esistessero. Se una donna lavora, viaggia, esce con gli amici a bere, allora significa che sta bene. Giusto? Sbagliato. Radicalmente sbagliato. Questo fraintendimento tossico è uno dei più grandi ostacoli per chi convive con patologie come endometriosi, fibromialgia, sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), sindrome da fatica cronica (CFS/ME) e molte altre. Secondo un report del 2023 dell’European Journal of Pain, le donne con dolore cronico aspettano in media quattro anni in più rispetto agli uomini per ricevere una diagnosi, e il 50% di loro riferisce di non essere creduta dai medici al primo consulto. Non perché il loro dolore non sia reale, ma perché la medicina è ancora abbondantemente permeata da pregiudizi di genere. Il gaslighting delle malattie invisibili: quando il dolore ha bisogno di prove Avere una malattia invisibile significa combattere su due fronti: contro il proprio corpo e contro un mondo che pretende prove tangibili della sofferenza. Se il dolore non è scritto sulla pelle, se non c’è un gesso, una cicatrice evidente, una sedia a rotelle, allora per molti semplicemente non esiste. Il “gaslighting medico” è una realtà documentata. Secondo uno studio del Journal of Women’s Health, il 65% delle donne con malattie croniche si è sentito dire che il proprio dolore fosse solo stress. Tradotto: non è il tuo corpo che sta crollando, sei tu che esageri. Ma la delegittimazione non arriva solo dalla medicina. È radicata nella società, nelle conversazioni quotidiane, nei giudizi non richiesti. “Ma ieri sei uscita, quindi non puoi stare così male.” “Hai lavorato tutto il giorno, allora stai bene.” Frasi apparentemente innocue che, in realtà, obbligano chi soffre a un bivio crudele: ritirarsi dalla vita sociale e professionale per essere creduta, o continuare a vivere come meglio può, accettando di essere vista come un’esagerata. Il messaggio è chiaro: se vuoi che il tuo dolore venga preso sul serio, devi smettere di esistere. I numeri non mentono: il dolore esiste, anche se non lo vedi Le malattie invisibili non si misurano con l’immobilità. Eppure, chi ne soffre si trova spesso a dover dimostrare la propria condizione, come se il dolore fosse reale solo quando inchioda a letto. Ma i dati raccontano un’altra storia: Endometriosi: colpisce tra il 10% e il 15% delle donne in età fertile, ma la diagnosi arriva con 7-10 anni di ritardo. Dieci anni di dolori debilitanti liquidati come normali crampi mestruali (World Health Organization). Fibromialgia: affligge tra il 2% e l’8% della popolazione mondiale, con una prevalenza schiacciante nelle donne. Il 90% di loro, prima di una diagnosi corretta, si è sentito dire che era solo ansia (American College of Rheumatology). Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS): il 70% dei casi non viene diagnosticato, nonostante sia una delle principali cause di infertilità femminile. Tradotto: migliaia di donne scoprono troppo tardi di avere un disturbo che impatta ormoni, metabolismo e salute riproduttiva (The Lancet). Ora la vera domanda: se queste malattie non impediscono di lavorare, sorridere o semplicemente esistere, significa forse che non esistono? O è la società a non volerle vedere? La società non vuole vedere il dolore femminile Il dolore delle donne è sempre stato un fastidio da mettere a tacere. Se non era isteria, era stress. Se non era stress, era solo nella loro testa. La medicina lo ha psichiatrizzato, la società lo ha minimizzato. Il messaggio? Soffri in silenzio, sii forte, non lamentarti. E chi chiede aiuto viene trattata come un’esagerata. Ma resistere non significa stare bene. E il fatto che una donna riesca a lavorare, uscire o sorridere non cancella il dolore che si porta addosso ogni giorno. È ora di cambiare prospettiva: il dolore non si misura in produttività o in quanto una persona riesca a funzionare socialmente. Cosa serve? Più formazione medica, perché i corpi femminili non siano più un mistero per la scienza Un cambio culturale, perché il dolore non ha bisogno di essere evidente per essere reale Maggiore supporto sociale e lavorativo, perché nessuna donna debba scegliere tra il prendersi cura di sé e l’essere creduta Smettiamo di chiedere prove. Basta valutare la sofferenza da quanto “normale” appare una vita. Il vero problema non è che le donne con patologie invisibili vivano. È che nessuno voglia vedere cosa stanno realmente attraversando. LUCIA SCARANO
Saperne di piùOdore vaginale come empowerment?
Le narrazioni tossiche che da sempre hanno riguardato le nostre vulve & vagine sono molte. Tuttavia, una in particolare è stata posta al centro di una retorica che, nel corso del tempo si è trasformata da shaming a powerful, associata prima a una proliferazione di mercato senza precedenti che, approfittando del senso di mortificazione e vergogna delle donne, ha creato le basi per una diffusione dell’odore vaginale perfetto e poi, una vera e propria riappropriazione e auto affermazione della propria unicità che ha sfidato i canoni imposti dalla società. L’idea che l’odore naturale della vagina fosse di cattivo gusto e dovesse essere “coperto” ha radici antiche (si hanno testimonianze di soluzioni posticce come irrigazioni vaginali o l'abbondante uso di talco utilizzate dalle donne per mantenere le loro parti intime "fresche e pulite" molto prima dell'invenzione delle moderne salviettine disinfettanti e dei deodoranti intimi) ma solo nel 900 la vergogna delle donne rispetto al proprio odore verrà sfruttata ufficialmente, in una sapiente azione di marketing, per dare il via a un’esplosione senza precedenti di prodotti di igiene intima femminile. Alimentando un senso di profondo imbarazzo e plasmando la percezione che le donne stesse avevano del proprio corpo e creando una domanda che persiste ancora oggi. Un esempio storico significativo è rappresentato dall'azienda Lysol nel 1946, che attraverso campagne pubblicitarie che colpevolizzavano le donne per i problemi coniugali dovuti al loro odore corporeo, promuovevano la propria lavanda per l’igiene femminile come soluzione a tutti i litigi con il marito. Successivamente, tutta una serie di altri prodotti ha invaso il mercato grazie ad aziende come Femfresh, Bidex e FDS, che hanno presto sviluppato una gamma di intimate refreshing products (da spray a salviette per la zone vulvare da tenere in borsa per un touch up durante la giornata) trasformandoli in beni di consumo di prima necessità e rendendoli accessibili a un numero sempre più cospicuo di persone grazie al posizionamento nei negozi (ampliandone così la domanda e l'offerta attraverso la maggiore visibilità). Non solo: anche la pubblicità ha avuto un ruolo notevole nell’ascesa della popolarità di questi prodotti. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta i prodotti per l’igiene intima femminile che promuovevano una “vagina profumata a fresca” hanno iniziato infatti a essere pubblicizzati più frequentemente e con una maggiore propensione anche in riviste femminili mainstream e in televisione, facendosi strada così fra un pubblico sempre più vasto. Il problema intrinseco alla pubblicizzazione di questi prodotti però può essere ricondotto banalmente al come venivano pubblicizzati e al presupposto stesso sul quale si fondava questa pubblicizzazione, ossia il fatto che l’odore naturale della vagina fosse qualcosa di sgradevole, umiliante e da nascondere, caricando le donne di un’ inutile quantità di vergogna intorno al loro corpo. Prima di continuare, sentiamo però di dover fare uno statement importante: le vagine devono avere un odore e no, non devono profumare di fiori, zucchero, biscotti della nonna o qualsiasi altra cosa vi sia stata fatta credere. Ogni vagina ha un odore diverso, unico e, non sempre ricorda i prati fioriti: anzi, non dovrebbe neppure. Tramite l’uso di messaggi persuasivi e delle emozioni umane per influenzare le nostre decisioni di acquisto i prodotti di igiene intima femminile sono stati commercializzati dunque come la soluzione a un problema - di per sé inesistente - che nel tempo ha ampliato i propri confini anche ad ambiti come la femminilità in generale. In alcuni studi infatti è stato evidenziato come il linguaggio codificato usato da alcune aziende per promuovere, a fini di vendita, l’immagine della vagina perfetta abbia generato a lungo andare stigmi non solo inerenti all’odore vaginale, ma anche a temi come le funzioni corporee (come il ciclo mestruale e le perdite) e la sessualità. Un caso particolarmente noto riguarda l’azienda Femfresh che legò l’immaginario della vagina “fresca e inodore" a quello di castità e purezza, convalidando e aggravando lo stereotipo della giovane ragazza innocente e virginale che si preparava alla prima notte di nozze utilizzando il loro deodorante prima dell’atto, allargando dunque lo spazio dalla sola “igiene” intima all’intera sessualità e alle norme sociali sul sesso. Negli ultimi decenni, il mercato ha subito una rivoluzione radicale, adattando i propri prodotti alla richiesta reale dei consumatori, sia dal punto di vista comunicativo (discostandosi della retorica tossica che li ha accompagnati in passato), sia dal punto di vista dei bisogni effettivi delle donne, che hanno abbracciato l'idea di un'igiene intima sicura per le proprie vulve, evitando l'uso eccessivo di prodotti profumati e educando sé stesse e gli altri sulla normalità e bellezza del corpo femminile. Ovviamente, a questo proposito non possiamo non dedicare uno spazio apposito - prendendolo come campione - al nuovo detergente intimo di This, Unique, che rappresenta l’esempio perfetto di come un prodotto al giorno d’oggi dovrebbe essere e di quali valori dovrebbe trasmettere. In linea con tutta la filosofia del brand, che si prodiga per abbattere lo stigma e la vergogna che circonda il ciclo mestruale & co, aumentando la consapevolezza ed eliminando i tabù tramite le proprie piattaforme, anche il detergente è stato formulato per rispettare al 100% le nostre zone intime, garantendo una pulizia efficace mentre mantiene l'equilibrio delle mucose. Infuso con estratti naturali di Croton Lechleri e ingredienti biologici, è ideale per l'uso quotidiano e il suo leggero profumo non è invasivo e non mira a modificare o mimetizzare il nostro odore, bensì a donare una sensazione di freschezza e protezione durature. Infine, il modo in cui è cambiato l’approccio all’odore vaginale nel tempo, è frutto di una società che ha saputo trasformare un tabù in un punto di forza ed emancipazione femminile e che ha posto al centro della propria narrativa un’immagine positiva e di empowerment dell’odore vaginale. L’esempio più eclatante è stato quello dell’attrice Gwyneth Paltrow, la prima a catturare l’attenzione dei media mondiali lanciando la candela “al profumo della mia vagina”, seguita da Erykah Badu - famosa cantante e grande attivista americana - note per aver creato una linea di incensi inspirati alla sua parte più intima, realizzati con parti di mutande da lei stessa indossate e bruciate incluse poi nel prodotto finale, con l’obiettivo di condividere con il mondo gli ideali di totale libertà femminile. MARTA BORASO
Saperne di piùVulvodinia e sessualità
Come vivere l’intimità senza dolore Come sappiamo, la vulvodinia è una malattia ginecologica caratterizzata da dolore cronico a carico della vulva e dei tessuti che circondano l'accesso alla vagina, classificata come una condizione invalidante che colpisce più aspetti della vita quotidiana: dalle cistiti ricorrenti, le sensazioni di bruciore, irritazione, secchezza e tensione, all’impossibilità di sedersi, di indossare vestiti stretti, fino alla dispareunia, conosciuta anche come “dolore da rapporto sessuale”. Meno colloquialmente possiamo dire che, con il termine dispareunia, si intende il dolore genitale che si verifica durante il rapporto, e si distingue in superficiale (in sede di penetrazione con dolore urente all’introito vaginale), e profondo (in sede vaginale profonda e nello scavo pelvico). Esso si scatena nella maggior parte di casi in concomitanza con i tentativi di penetrazione, anche se può insorgere ed essere avvertito anche durante o dopo il coito: una condizione che rende difficoltoso vivere appieno l’esperienza senza timori o sensazioni spiacevoli e che risulta essere uno dei principali ostacoli al vivere il piacere sessuale. Di conseguenza, anche il modo stesso di vivere la sessualità, per chi è affettə da vulvodinia, cambia e si differenzia rispetto a quello normalmente (o potremmo dire solamente maggiormente, perché chi definisce cos’è normale o meno per ognunə di noi?) conosciuto. Una delle sfide più importanti che spesso ci si trova ad affrontare è quella di “accantonare” momentaneamente o per sempre (il tutto in base alla propria volontà, alle proprie scelte personali e al proprio monitoraggio del dolore) una parte del sesso per com’è sempre stato vissuto e per come ci è stato imposto dalla società: una società fallocentrica che ci ha spintə a pensare per troppo tempo che il fulcro del rapporto sessuale fosse necessariamente la penetrazione e, che senza di essa, per chi ha un apparato genitale femminile, fosse impossibile godere a pieno. Ovviamente queste affermazioni sono profondamente false: esistono vari modi di vivere la sessualità che non sono legati all’esclusivo atto della penetrazione e che possono essere delle validissime alternative per personə con vulvodinia. Non solo: il mito della penetrazione come unico modo di avere un rapporto sessuale non è l’unico scoglio da superare. È essenziale anche trovare una persona che comprenda il vostro personale modo di vivere la sessualità, rispetti quelli che sono i vostri bisogni e limiti: è importante infatti non sottovalutare mai il disagio fisico che si prova e fermarsi qualora si dovesse sentire dolore. Quali sono dunque le soluzioni alternative per essere intimi e praticare dell’attività erotica che non includa la penetrazione sessuale? Dry humping: ossia lo sfregamento dei propri genitali (o una parte del corpo) contro i genitali e il corpo del proprio partner (potete scegliere di sfregare il clitoride contro il suo pene così come tra le sue cosce o altre zone erogene). Si può fare con i vestiti addosso oppure senza e permette di vivere l’intimità secondo le proprie regole: sarete infatti voi a decidere come e quanto spingervi e muovervi sul partner, gestendovi personalmente in base al dolore. Masturbazione reciproca: masturbarsi a vicenda può essere estremamente sensuale e non comprende necessariamente la penetrazione. Basterà lasciare che il partner tocchi la vulva (clitoride, labbra) senza entrare nella vagina mentre voi masturberete lui - magari guardandosi negli occhi o parlandosi per rendere il tutto più intimo. Masturbare sè stessi mentre si guarda il parthner: questa tecnica lascia ancora più liberə di toccarsi secondo le proprie regole e/o bisogni (è utile soprattutto quando si conosce da poco il partner, che non è totalmente a conoscenza dei nostri limiti/sta ancora imparando, oppure nei momenti in cui si è più sensibili). Tribadismo: detta anche sforbiciata - per la posizione a forbice che la caratterizza - è una tecnica che prevede lo sfregamento di due vulve, per stimolarsi vicendevolmente il clitoride. Fellatio: praticare del sesso orale al proprio partner stimolandolo tramite la bocca è un modo per far eccitare l’altra persona e auto eccitarsi guardandolo. Potete scegliere di concentrarvi esclusivamente sulle sue espressioni di piacere e sui suoi movimenti oppure al contempo sfregarvi sul suo corpo con la vulva stimolando il clitoride. Cunnilingus: è considerata una delle pratiche sessuali che più riescono a dare piacere a una donna e farla arrivare all’orgasmo, di conseguenza può essere una delle alternative più apprezzate alla penetrazione. In più, siccome per le personə affette da vulvodinia è molto importante la lubrificazione, è una delle tecniche che più la stimolano, mischiando fluidi vaginali a saliva. Se non ve la sentite di essere penetrate con la lingua, basterà concentrarsi sul resto della vulva e sul clitoride. Sex toys: al giorno d’oggi esistono tantissimi sex toys progettati per essere usati solo esternamente. Basta pensare ai succhia clitoride a pulsazioni, vibratori esterni che vibrano da capo a piedi - perfetti per essere applicati anche sul perineo o sui capezzoli e in qualsiasi altra zona preferiate - fino ai plug anali. Da usare sia quando siete solə che in coppia! Massaggio erotico: divertimento per tutto il corpo! Farsi toccare, accarezzare e sfregare una ad una le zone erogene fino ad arrivare lentamente e gradualmente, tenendoci sulle spine, alla vulva. MARTA BORASO
Saperne di piùMalattie ginecologiche invisibili
Hai mai sentito parlare di malattie femminili invisibili? Non sono invisibili perché non si sentano, o siano impercettibili, ma perché nonostante la loro diffusione – che via via si scopre sempre più radicata – esistono pochi centri specializzati per la ricerca e lo sviluppo delle cure. Questo rende difficoltosa la diagnosi, ma andiamo con ordine. Perché spesso malattie invisibili è accompagnato dall’aggettivo femminili? Questa domanda ha una risposta scientifica ed evidenza un divario medico-culturale importante. Il fatto è che, negli anni, all’interno della sperimentazione medica il genere femminile è stato sottorappresentato: la gran parte dei programmi scolastici di medicina veicola ancora l’assunto che l’unica differenza esistente in corpi biologicamente maschili e femminili siano solo gli organi sessuali.Non è un caso, dunque, che malattie specificamente femminili – come le malattie invisibili, endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo – siano poco studiate. E qui ci scontriamo con il secondo grande tema che caratterizza questa vicenda: la cultura del dolore. Cos’è la cultura del dolore? L’idea che il corpo delle donne sia naturalmente portato al dolore non ha età, è un evergreen che accomuna diverse culture e diversi secolo. Non solo le donne sarebbero portate al dolore, ma dovrebbero anche sopportarlo senza doversene lamentare. È esemplificativo il fatto che, ad esempio, i dolori mestruali debbano ancora essere nascosti o sopportati: prendere un giorno di malattia per questo motivo è spesso considerato un capriccio da donne o un atto di pigrizia. Una sorte simile è condivisa da quelle che sono le malattie femminili invisibili: le più conosciute sono endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo. Sono diverse le testimonianze di donne che arrivano ad una diagnosi dopo lunghi anni di visite e di sofferenze; secondo alcuni studi, per avere una diagnosi di endometriosi ci si impiega in media 7,4 anni dove, oltre ai dolori fisici, le persone affette da questo genere di disturbi sono sottoposte anche a pressioni psicologiche di diverso tipo: la rinuncia a diversi aspetti della propria sfera personale come il sesso, occasioni di socialità e persino il lavoro è all’ordine del giorno, per via del dolore.Nel percorso diagnostico, sono molteplici le testimonianze di coloro che non affermano di non essere credute circa i dolori che provano, vedendo minimizzare disturbi cronici che impediscono il naturale svolgimento delle loro vite.Ora che di queste malattie si è iniziato a parlare, la lotta sarà quella di incrementare le risorse della ricerca e di richiedere che siano introdotti, per via dell’invalidità che comportano, e riconosciute dal sistema sanitario nazionale. Se sperimenti dolori e fastidi all’apparato uroginecologico: Consulta tempestivamente un* espert* al quale raccontare senza vergogna tutti i tuoi dolori, cosicché possa indirizzarti verso studi ed analisi più approfonditi; Sottoponiti ai test specialistici; Qualora non dovessi sentirti capit*, cambia centro: purtroppo ad oggi la diagnosi prevede un lungo percorso di accertamenti. Rivolgendoti a centri specializzati o con esperienza in questo campo, potresti agevolare il processo. Alice Carbonara
Saperne di piùCistite: conoscere per prevenirla
Cistite, un fastidioso disturbo che tende a ripresentarsi in autunno, complici i primi freddi e l’abbassamento delle difese immunitarie. Proviamo a conoscerla meglio per capire come prevenirla.
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