Le prime mestruazioni

Tutto quello che vorremmo esserci sentitə dire al posto di “sei diventata una signorina”.

 

Se potessi tornare indietro e fare visita allə te stessə alla comparsa delle tue prime mestruazioni, cosa ti diresti?
È una domanda che mi sono fatta di recente, e penso che ora risponderei: “Benvenuta nel Patriarcato 2.0! Hai appena sbloccato un nuovo livello!”.

In realtà mi reputo abbastanza fortunata per la mia prima esperienza con le mestruazioni, soprattutto da un punto di vista familiare.
La prima volta che ho visto del sangue sulle mie mutande era sera, stavo per andare a letto. Era piuttosto inequivocabile e sapevo cosa stava succedendo, ma il mio primo approccio è stato la negazione. Le ho tirate su e sono andata a dormire, semplicemente non lo volevo e speravo che il giorno dopo sparisse magicamente. Provavo una sensazione di disagio e vergogna, nessuno doveva saperlo. Non sopportavo che stesse succedendo
a me, l’ho vissuta come un vero e proprio alto tradimento del mio corpo. In un momento in cui non faceva altro che deludermi, cambiando, modificandosi, gonfiandosi in curve nuove e ai miei occhi orribilmente sproporzionate, il ciclo mestruale era l’ultima coltellata alla mia autostima già precaria.

Ma la mattina dopo non solo non se ne era andato, ma urlava ancora più forte e imperante la sua presenza ingombrante nelle mie lenzuola. Non si poteva più fare finta di nulla, così con il passo di chi non ha scampo di fronte al suo destino, mi sono diretta in bagno, e lì ho chiamato mia madre, come se casualmente lo avessi appena scoperto. Le ho mostrato preoccupata la situazione, e lei molto dolcemente è andata a prendermi delle mutande pulite e comode. Mi ha messo il primo assorbente, facendomi vedere come si faceva, poi mi ha chiesto se stessi bene e se preferissi non andare a scuola. Ed io che ero già stata abbastanza svilita da tutta la situazione e volevo resettare una parvenza di normalità il prima possibile, ho deciso che certo che sarei andata a scuola. Ma le medie sono un periodo difficile, specie se hai una presenza enorme e ingombrante in mezzo alle gambe, che si muove ad ogni passo e ti fa sentire costantemente sporcə e diversə. Ricordo che quando sono entrata in classe, era come se tuttə lo sapessero. Facevo attenzione a muovermi nel più naturale dei modi possibile, e prima della campanella dell’intervallo ripassavo mentalmente in modo maniacale i passaggi per prendere l’assorbente nello zaino, metterlo in tasca, alzarmi senza sporcarmi, arrivare fino in bagno, cambiarmi senza fare rumore e buttare l’assorbente usato nel cestino (rigorosamente fuori dai bagni) senza farmi vedere da nessuno. Perché nessuno doveva sapere che io avevo le mestruazioni.

Ora, prima di scrivere questo articolo, ho deciso di intervistare confidenzialmente un po’ di persone con mestruazioni, per confrontare le esperienze e capire in poche parole, se solo io avessi vissuto il ciclo mestruale alle medie in modo tanto traumatico o se fosse un’esperienza condivisa e generalizzabile.
Ed effettivamente ciò che è emerso si articola su due livelli: come la tematica è stata affrontata in contesto familiare, e in seguito a livello scolastico-educativo.

Nel primo caso le testimonianze spaziano in modo più assoluto: in molte famiglie le mestruazioni sono state nascoste ed escluse dagli argomenti da tavolo, liquidate dalle madri con un “sai già tutto, no?”, in altre acclamate e festeggiate con telefonate ai parenti e alle amiche di famiglia, accompagnate da discorsi commossi sulla vita e l’ingresso nel “mondo delle donne”.

Entrambi gli approcci demonizzano le mestruazioni: rendendole un argomento tabù si finisce per parlare di ciclo mestruale solo quando e se diventa un problema, come di fronte ai dolori dei crampi. Viene così patologizzato, esiste solamente quando si manifesta sopra le righe. E comunque spesso non validato, neanche nel dolore fisico.
Invece, esaltandolo e caricandolo di chissà quale significato simbolico legato alla femminilità, al divenire donne, si ottiene un risultato simile: il ciclo mestruale viene denaturalizzato e la sua comparsa viene vissuta collettivamente in un’ottica culturale binaria che lo attribuisce all’esistere in quanto donne.

Come se per essere donna si debba necessariamente mestruare, un tipo di discorso ingenuo (e inevitabilmente tradizionalista) che non solo è escludente per donne transgender, persone in menopausa o con condizioni che impediscono la presenza di mestruazioni, ma che misgendera (ovvero attribuisce un genere a una persona che non si identifica in tale), in modo piuttosto violento, persone non binarie e ragazzi transgender con mestruazioni. E riduce la “donna”, ancora una volta, alle sue semplici funzioni biologiche.

Ma l’esperienza più significativa spesso è quella vissuta in ambito educativo-scolastico. Alla maggior parte delle persone le prime mestruazioni compaiono durante il periodo delle medie (intorno ai dodici anni). Ora, l’Italia non prevede nessun tipo di formazione obbligatoria in materia di educazione sessuale nelle scuole, perciò ogni istituto decide in modo autonomo, influenzato dal contesto socioculturale e dalle correnti politiche o religiose dietro all’istituto. Non è così sorprendente perciò che molte persone, di fronte alle loro prime mestruazioni, non ne abbiano mai sentito parlare, se non in modo molto teorico durante qualche frettolosa lezione di scienze alle elementari e medie, in cui al massimo vengono illustrate le fasi del ciclo mestruale e il viaggio dell’ovulo all’interno del sistema riproduttivo femminile.

Per quanto mi riguarda, nessun istituto educativo mi ha mai insegnato a mettere un assorbente. Nessun istituto ha mai accennato all’esistenza delle malattie ginecologiche invisibili connesse ai dolori mestruali (come l’endometriosi), o mi ha insegnato a riconoscerne i sintomi. Nessun istituto mi ha mai spiegato nel pratico come convivere con il mio corpo durante le varie fasi del ciclo mestruale, come i diversi ormoni che entrano in gioco influenzano il mio umore e come vivere serenamente la loro comparsa. E penso che queste considerazioni, se riguardiamo al nostro passato, valgano per moltə.

E se sommiamo a questo il fatto che il sangue mestruale si dimostri solamente a livello rappresentativo un enorme tabù culturale (pensiamo alle goccioline azzurre che ci vengono mostrate in televisione nelle pubblicità di assorbenti), è facile spaventarsi e andare nel panico quando a dodici anni insieme a un po’ di mal di pancia per la prima volta il tuo corpo sputa sulle tue mutande qualcosa di totalmente nuovo e incontrollabile. Ed è facile comprendere come il terrore più grande per unə ragazzinə con mestruazioni sia sporcarsi i pantaloni o che scappi un assorbente fuori dallo zaino.

Tutta la società intorno a noi, su vari livelli, in modo implicito o esplicito, ci spinge a vivere le mestruazioni come un’esperienza privata, che va nascosta e gestita con discrezione e contegno, che è bene non parlarne. Così finisci a chiedere sussurrando alle tue compagne se hanno un assorbente perché ti sono arrivate “le tue cose”, perché anche il loro nome è motivo di imbarazzo, e a fare passaggi di assorbenti sotto-banco neanche fossero illegali.

Poi crescendo, le cose migliorano, si acquisisce consapevolezza e sicurezza, e impariamo sulla nostra pelle che tutto sommato non ci importa, politicizzandoci. Ma questo dopo essere diventatə forti e sicurə, cosa che quando hai dodici anni, da solə di fronte alle tue prime mestruazioni, non sei.

Perciò, per tornare alla domanda iniziale, se potessi tornare indietro e fare visita allə te stessə alla comparsa del tuo primo ciclo mestruale, cosa ti diresti?
Che sarebbe stato bello se di questo tipo di formazione se ne fosse occupato un ente pubblico formato e specializzato, come la scuola. Che sarebbe stato molto meglio se l’istruzione a riguardo fosse stata orizzontale e accessibile a tutt
ə, ragazzi, ragazze e ragazzə, e non lasciata in mano a riti e spiegazioni fai-da-te delle famiglie. Che non è e non deve essere un argomento da tenere chiuso in bagno, che non ti rende più o meno donna, che anzi non ha proprio niente a che fare con la tua identità di genere, e non ti rende più o meno valida come persona. Che non è sporco, nè fisicamente, nè culturalmente. Che può essere doloroso o può non esserlo, ma che se lo sarà eccessivamente, sarai ascoltatə e credutə, almeno dalla tua rete, che ti aiuterà a rivolgerti allə specialistə adeguatə. Ma soprattutto, anche se sembra che nessuno ne parli, forse non sarà così per sempre. Che non sei solə, e non sono solo tue, sono le mestruazioni di tuttə.

 

VALERIA REGIS




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