L'ANSIA PEGGIORE
Una volta ho fatto cilecca! Che pesantezza, che tremendo imbarazzo nell'ammettere una verità così comune e, al contempo, così nascosta, repressa, inaccettabile. Eppure, è così, è successo. E si sa, in questi casi, un capro espiatorio lo si trova ad ogni costo, per quanto poco verosimile esso sia: «Ho bevuto troppo», dice qualcuno; «Sono stanco», qualcun altro; «Eh, le radiazioni del cellulare...». Recentemente Tommaso Ghezzi, per «Il Tascabile», ha raccontato in un articolo quella che, ai tempi, fu una vicenda televisiva celeberrima: la cilecca di Pietro Taricone davanti alle telecamere del Grande Fratello 1. Insomma, il concorrente sex symbol e super-macho non aveva raggiunto l’erezione durante un rapporto con Cristina Plevani. e Ghezzi racconta di come agì il megafono mediatico di Antonio Ricci: essendo stati tutti presi alla sprovvista e dunque smaniosi di una motivazione, ai microfoni si dichiarò che quella défaillance fosse «dovuta al bombardamento delle onde elettromagnetiche irradiate dalle batterie dei microfoni, che i ragazzi tengono fissate sui pantaloni all’altezza dell’inguine». Come poteva, infatti, il maschio per eccellenza fallire proprio nella sua più grande peculiarità? Certo, quella era l’Italia dei primi anni duemila, e il faro berlusconiano Mediaset brillava più che mai: si sguazzava tra il sessismo e il machismo senza che le poche e flebili grida di protesta potessero essere ascoltate da alcuno. Eppure, sulla questione in sé, anche oggi le reazioni sono simili.
Capita di fare cilecca, bene. Pare che sia sempre necessario trovare una spiegazione al di fuori di noi stessi, scaricare la responsabilità della cosa su un fattore esterno – possibilmente plausibile – di modo da poterci giustificare agli occhi del mondo. Il fattore psicologico non può essere una scusante: il maschio non fallisce durante il sesso, non prova ansia. È una macchina perfetta, oliata a dovere, che una volta attivata lavora fino a soddisfare (ne siamo poi così sicuri?) le esigenze della femmina. E nel frattempo noi maschi, cresciuti con questa convinzione fin dai primi giorni dell’adolescenza, coltiviamo a poco a poco una paranoia silenziosa, non condivisa con nessuno: la possibilità di fallire. È così silenziosa, appunto, così adagiata in profondità nel nostro inconscio da farci dimenticare della sua esistenza finché un giorno, inspiegabilmente, falliamo. Facciamo cilecca. Il mondo ci è crollato addosso: è successo. Si comincia a sudare, ci si infuria e ci si arrovella sul motivo di quella tragedia. Ci convinciamo di essere gli unici, perché è una cosa che non dovrebbe succedere, perché abbiamo stampata in testa l’idea del sesso come l’animalesco esercizio funambolico del porno-attore palestrato e invincibile. Non si vuole, certo, scaricare la responsabilità di un problema sull’industria pornografica, quanto piuttosto evidenziare l’immagine distorta che si ha, comunemente, della virilità. La vergogna della non-erezione non è altro che l’ennesima delle tantissime rappresentazioni di ciò che non deve essere o fare l’uomo: non deve piangere, non deve assumere atteggiamenti tipici femminili, non deve fallire durante il sesso. Eccetera. Nell’ideale di maschio comune con cui siamo cresciuti non c’è posto per l’emotività, né tanto meno per ogni fragilità di sorta: la virilità è fisicità, a qualunque costo. Succede allora che la pressione sessuale diventa altissima, per alcuni insostenibile, e capita che un evento comune e di poco peso come il mancato raggiungimento dell’erezione si trasformi in vera e propria ansia da prestazione, talvolta in impotenza. Perché ognuno di noi, chiuso nel proprio guscio di convinzioni, è terrorizzato di essere l’unico, di rappresentare un problema. Se cominciassimo a dialogare tra noi, ad ammettere le nostre quotidiane incertezze, le nostre umane fragilità, ci accorgeremmo (rincuorandoci) di una cosa: capita a tutti, o quasi. Questa è la (triste? amara? banale?) verità. Tralasciando i casi di impotenza, i cui numeri sono ben più bassi, secondo le stime ben un uomo su due ha avuto difficoltà di erezione almeno una volta nella vita. Forse si tratta di un esercito di ubriachi, o di persone costantemente colpite dalle radiazioni nell’area genitale. Oppure, più semplicemente, si tratta di uomini comuni, definiti come chiunque da una complicatissima gamma di emozioni, da uno spettro psicologico irriducibile allo status di automa. Uomini, insomma, di tutti i giorni, senza ombra di dubbio non infallibili.
ENRICO PONZIO