ZAN ZAN! ODISSEA DI UN DDL

A tutti piace fantasticare, arrovellarsi, smarrirsi tra le proprie allucinazioni fino a trasformarle in incubi, un po’ come il protagonista di Auto da fé, così convinto della morte della moglie che, pur vedendola di fronte a sé in carne e ossa, la credeva un fantasma. Di recente, alcuni hanno affermato, attanagliati appunto da fantasticherie, che il vero obiettivo del ddl Zan sia non tanto lo sradicamento dell’omotransfobia e della misoginia, quanto lo sdoganamento della pratica della maternità surrogata (spesso chiamata, brutalmente, «utero in affitto»). Magari!, ci verrebbe da dire. Il fatto è che questa eventualità è un’allucinazione, appunto, una fantasticheria non prevista, purtroppo, in alcun punto del decreto legge. Ma andiamo con ordine.

La discussione generale alla Camera era iniziata il 3 agosto 2020, insomma in tempi non sospetti, e, dopo una serie di ritardi legati all’ostruzionismo di Lega e Fratelli d’Italia, che avevano presentato l’eccezione di costituzionalità, il disegno di legge di Alessandro Zan era stato infine approvato il 4 novembre, con una maggioranza di 265 deputati a favore, contro i 193 contrari – e un astenuto. Tuttavia, la discussione in Senato non è ancora iniziata, e questo perché prima è necessario che si superi l’esame della Commissione Giustizia, che ritarda la calendarizzazione. Andrea Ostellari, presidente della Commissione, ha infatti annullato la riunione dell’Ufficio di presidenza prevista per il 30 marzo, che avrebbe dovuto, appunto, fissare una data. Questione di «merito e regolamento», sostengono alcuni, e non di ostruzionismo: le priorità sono altre, affermano, come la riforma del processo civile, la magistratura onoraria e il disegno di legge contro le violenze sugli animali. Insomma: c’è ben altro di cui occuparci, perché non parliamo di...? Certo, le priorità sono molte, le problematiche ancora di più; ma siamo sicuri che la salvaguardia dell’uomo e della donna dai crimini d’odio sia una questione da accantonare come «non urgente»? Perché è questo il fulcro della legge, il cui titolo recita: «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità».

Se i primi articoli della legge chiariscono e distinguono i concetti di sesso, orientamento sessuale e identità di genere, introducendo tali diciture, insieme alla disabilità, tra le categorie tutelate dal codice penale, il quinto, forse il più importante, modifica la legge Mancino. Ovvero estende ai reati basati sul sesso, sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale o sull’abilismo la pena carceraria, già prevista per «chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» (art. 1 legge Mancino).

Fino a qui tutto bene, viene da dire. I crimini d’odio in Italia sono così tanti – e così aumentati durante la pandemia, come testimoniano l’Osservatorio Vox e l’OSCAD – che una legge che li prevenga e li punisca pare indispensabile. Ma a quanto pare, molti preferiscono tirarsi indietro, pur concordando apparentemente sul rispetto delle persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Ma? Perché, in questi casi, sembra che ci sia sempre un «ma». L’identità di genere? Che cos’è? Alcuni esponenti delle istituzioni pretendono che il sesso biologico coincida con l’identità di genere. E questa non è l’ennesima violazione? In poche parole sostengono: sì all’omosessualità (a patto che non si adottino figli), no al trans (gender o sex che sia). Sulla pena riguardo alle violenze – è solo di poche settimane fa l’aggressione omofoba nella metro di Roma – tutti d’accordo. Solo non si concepisce il fatto che alcune categorie siano più salvaguardate di altre: «Le vittime vanno tutte tutelate», recitano gli incalliti, una sentenza che suona tanto come l’all lives matter, in risposta al celebre movimento black lives matter.

La verità è che alcune categorie, invece, vanno più tutelate perché più colpite, perché discriminate quotidianamente, aggredite, picchiate, insultate e talvolta neanche riconosciute. Il problema è che la legge proposta da Alessandro Zan non dovrebbe essere qualcosa contro cui muovere una crociata, perché non si tratta di politica, ma di buon senso. In Europa tutti gli stati possiedono un decreto analogo, fatta eccezione per la Polonia e l’Ungheria (certo, non una gran sorpresa); crediamo che sia giunto il momento anche per l’Italia, perché si superino certi orrori, perché si intraprenda un processo di crescita sociale equo e indispensabile. Senza allucinazioni o incubi.

ENRICO PONZIO 




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