Siamo tutte Sarah Everard
Nelle ultime settimane, l’opinione pubblica è stata scossa da un avvenimento che tocca tutti noi – a qualunque genere sentiamo di appartenere – molto da vicino.
Il caso è quello della tragica scomparsa di Sarah Everard: quello che è successo è fin troppo noto, ma merita comunque una breve nota. Trascorsa una serata a casa di amici, Sarah si incammina intorno alle 21 dal quartiere di Clapham, nella zona sud di Londra, verso casa sua che, purtroppo, non raggiungerà mai, ennesima vittima di una violenza fin troppo diffusa.
La sua scomparsa ci ha portati a ripensare a un problema tanto silente quanto diffuso: la paura che le donne vivono ogni qualvolta devono tornare a casa da sole di notte. Sono vari gli stratagemmi ai quali ciascuna pensa: stare al telefono con i propri amici, preferire un taxi anche quando si tratta di percorrere una manciata di isolati, accelerare il passo per arrivare quanto prima alla meta, armarsi di spray urticanti etc. Quante volte, poi, abbiamo chiesto a un’amica di scriverci non appena arrivava a casa?
Ma il punto è: tutto questo dovrebbe esistere? La risposta non può che essere un sonoro no! Eppure, l’altissimo numero di femminicidi, l’altissimo numero di donne che subisce violenze – di qualunque tipo esse siano, fisiche, verbali, psicologiche – rende la paura saldamente fondata.
La tragica vicenda di Sarah, d’altra parte, ci ricorda che neanche prendere le “precauzioni” adatte può portarci a casa sane e salve. Il punto è che deve cambiare qualcosa di più profondo, che si lega a un altro tipo di progetto educativo da veicolare che abbia come punti focali il rispetto di ogni genere e il contenimento dei propri istinti.
Quello che molti accusano, infatti, è che il problema della violenza di genere venga gestito dagli Stati in modo emergenziale che praticamente implica una maggiore illuminazione delle strade e uno spiegamento più consistente delle forze di polizia. Non è questo sicuramente il bandolo della matassa: è ora di iniziare a pensarci tutti sullo stesso piano, ad attribuire a ciascuno le proprie responsabilità. Fintanto che continueremo ad insegnare alle donne che devono proteggersi, non cambierà nulla. Quel che serve è educare – e sicuramente si stanno compiendo dei passi in avanti – i ragazzi a rispettare la sensibilità delle donne: che non è necessario fare un indesiderato apprezzamento ad alta voce, che è preferibile cambiare lato della strada se è notte e davanti a loro c’è una ragazza.
Non sono che piccoli passi che possono derivare solo da un’educazione familiare e scolastica e da un linguaggio che deve cambiare. Le parole hanno un grande peso: sono il filtro principale attraverso il quale percepiamo il mondo e fin troppo spesso, frequenti espressioni quotidiane dipingono un mondo in cui gli uomini sono superiori alle donne.
Invece, insegniamo alle nuove leve che le donne al volante non sono un pericolo costante, che non bisogna focalizzarsi su ciò che indossano, che i posti dirigenziali possono raggiungerli senza essersi concesse a nessuno, che una donna forte non ha le palle: è forte.