Prova costume? Bocciata

Ho consegnato questa riflessione in ritardo. Vorrei dirvi perché mi piace procrastinare per essere più efficiente sotto pressione, ma mentirei. Ho tardato perché ogni dito, battuto sulla tastiera, era pesantissimo.Ogni lettera un macigno. Perché il concetto di “prova costume” è una cosa che ci tormenta tutti, a prescindere dalla forma fisica di partenza. Perché il numero segnato sulla bilancia di ciascuno di noi è diventato un segno di colpa morale, un simbolo di fallimento personale


Sei troppo o troppo poco, per indossare un costume d’estate e per qualunque altra cosa. 


L'espressione stessa "prova costume" evoca immediatamente un giudizio e un confronto con un ideale di bellezza irrealistico e inaccessibile, saldamente ancorato a canoni estetici promossi dai media e dalla società. Tale linguaggio, ripetuto incessantemente, non solo intensifica l'ansia e l'insicurezza legate alla percezione del proprio corpo, ma contribuisce a portare avanti una cultura di conformità e omologazione.


Ma questa, purtroppo, è una storia che va avanti da tempo.


Nel 1946, l'introduzione del bikini da parte del designer francese Louis Réard segnò un punto di svolta epocale per la moda balneare. Era un capo d'abbigliamento molto audace per gli standard dell'epoca e richiedeva un corpo snello per essere indossato "correttamente" secondo i canoni dettati dalla moda del tempo


Negli anni '50 e '60, l'esplosione della cultura del fitness, delle riviste di moda e delle pubblicità visive iniziò a proporre un ideale di bellezza femminile sempre più ristretto e specifico. Icone come Brigitte Bardot e Ursula Andress divennero i simboli di un'estetica incentrata sulla magrezza e sulla tonicità, consolidando un modello corporeo irraggiungibile per la maggior parte delle donne.


Negli anni '80 e '90 le riviste cominciarono a promuovere regimi di esercizio fisico e diete specifiche per raggiungere il corpo "perfetto" per l'estate.Supermodelle come Cindy Crawfor, le cui immagini erano onnipresenti nei media, divennero gli esempi a cui concorrere per avere un corpo “da sogno”: magro, muscoloso e privo di imperfezioni. 


Con l'avvento dei social media, la pressione per conformarsi a questi standard estetici si è ulteriormente intensificata. Piattaforme come Instagram e Facebook hanno reso ancora più immediata e a macchia d’olio la diffusione di immagini ritoccate e filtrate di corpi perfetti. Influencer e celebrità hanno iniziato a condividere regolarmente le loro "routine di preparazione alla prova costume", spesso ignare di alimentare un ciclo infinito di confronto e insicurezza tra i loro follower. 


Il linguaggio e le immagini legate alla "prova costume" non sono neutrali; veicolano un giudizio implicito e promuovono un'ideologia che privilegia l’appartenenza a standard estetici specifici. Così, la narrativa tossica dei corpi da bikini ha contribuito a radicare profondamente nelle società occidentali l'idea che il valore di una persona sia inestricabilmente legato alla sua apparenza fisica. 


Decostruire questa narrativa tossica richiede anche una consapevolezza critica del linguaggio e delle immagini che consumiamo quotidianamente. Sostituire il linguaggio giudicante e promuovere la diversità corporea può contribuire, infatti, a creare una cultura più rispettosa e accogliente per tutti i corpi. 


Se ciò non fosse sufficiente, per comprendere più a fondo l'impatto della "prova costume" sulle persone, ho condotto un sondaggio sui social media. Ho ricevuto decine di risposte che, per rispetto della privacy e della fiducia riposta in me, ho deciso di non rendere pubbliche. Conservo queste testimonianze con immensa gratitudine e rispetto verso coloro che hanno condiviso con me le loro esperienze intime e personali.


Nessuna delle persone che ha partecipato al sondaggio ha riportato esperienze positive. Leggerle mi ha fatto comprendere quanto profondamente questa narrativa influisca su di noi, spesso in modi invisibili. Persone che reputo esteticamente impeccabili hanno messo a nudo insicurezze che non avrei mai immaginato, rivelando un lato umano e vulnerabile che viene celato dietro immagini apparentemente perfette.


Le risposte hanno evidenziato una diffusa ansia e un senso di inadeguatezza, alimentati dal confronto costante con altri. Questa pressione non risparmia nessuno, indipendentemente dall'aspetto fisico o dallo stato di forma. Una delle testimonianze più toccanti descriveva come la preparazione per l'estate sia diventata un rituale di autocommiserazione e giudizio, piuttosto che un momento di gioia e libertà.


Un'altra testimonianza raccontava di come, nonostante anni di allenamento e diete, la sensazione di non essere mai abbastanza persistesse.


È, dunque, fondamentale creare uno spazio dove ogni corpo possa essere accettato e rispettato per la sua unicità, rompendo così il ciclo di giudizio e confronto che tanto nuoce alla nostra salute mentale e fisica. Riconoscere l'impatto devastante della "prova costume" è il primo passo verso la costruzione di una società più empatica e rispettosa. È evidente come questa pressione estetica non solo rifletta una cultura distorta dell'aspetto fisico, ma anche una profonda ingiustizia nel modo in cui vengono imposte aspettative irragionevoli.

Vale davvero la pena rinunciare al piacere e alla libertà che il mare e l'estate offrono? 




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