PER LA LIBERTÀ
Secondo una statistica di Gay Help dello scorso anno, riportata su La Repubblica del 16/05/2020, il 27% degli adolescenti non vorrebbe condividere il banco di scuola con un compagno omosessuale. Pensando all’omofobia, tendenzialmente, si escludono i giovani, relegandola a un pensiero retrogrado e vagamente bigotto che persiste soltanto da una certa età in su. Pare che non sia così, o almeno non del tutto.
L’indagine di Gay Help dimostra che la tendenza giovanile alla discriminazione, più o meno violenta, è decisamente troppo elevata. Tutto ciò preoccupa maggiormente se si considera che le vittime di omofobia, bifobia e transfobia in Italia siano state 187 tra il 2018 e il 2019 e 134 l’anno successivo. Vanno aggiunti, a questi dati, le discriminazioni minori, gli insulti e via dicendo.
La questione, negli ultimi giorni, è stata particolarmente animata per via delle vicissitudini del celeberrimo DDL Zan e della presa di posizione del cantante Fedez sul palco del Primo Maggio. Che si condividano o meno le modalità e i toni utilizzati dall’artista, è chiaro che, tra statistiche e tendenze, il dibattito è accesissimo. Insomma: uno spettro si aggira per l’Italia, lo spettro della lotta contro l’omofobia. E meno male.
Tralasciando i numeri, fondamentali quando si combatte contro certe discriminazioni, l’oggetto della discussione è il pensiero, l’etica del singolo. Perché di per sé, omofobia significherebbe la paura irrazionale nei confronti di un individuo omosessuale, ma gli episodi di violenza e discriminazione poco hanno a che vedere con la sfera della paura. È, al contrario, una vera e propria ostilità nei confronti di un fatto reale, tangibile, e soprattutto estremamente privato. Discriminare, aggredire o anche solo negare la possibilità di affetto, amore o sessualità tra due persone dello stesso sesso (o genere) implica entrare in un campo che non ci riguarda. La stessa convinzione di poter giudicare la sessualità dell’altro è sinonimo di presunzione morale, come un giudice etico che con il suo lungo indice stabilisce il giusto e lo sbagliato. Che sia irrazionale come tendenza, dunque, non c’è dubbio, ma non confondiamola con la paura: si tratta di odio, di rabbia. E dunque di violenza.
La battaglia contro l’omofobia, da alcuni anni, si è intensificata, prima altrove e ora anche da noi. Oggi è uno di quei giorni in cui maggiormente si discute di ciò, si scrivono articoli, ci si schiera; perché il 17 maggio è la giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.
Generalmente, giorni come questo generano polemiche, opposte e simili. Da un lato c’è chi controbatte domandando, retoricamente, perché non esista, per esempio, una controparte: insomma, perché non esiste la giornata mondiale contro l’eterofobia? (Polemica simile a quella che vorrebbe l’istituzione della Festa dell’uomo). Costoro sono solitamente quelli che non si dichiarano contro l’omosessaulità in sé, ma non sono disposti a concederle il diritto alla famiglia, e ai quali si drizzano i capelli sentendo parlare di Pride.
Superfluo, crediamo, discutere dell'assurdità di tali obiezioni. Dall’altra, c’è un’esagerazione del senso di giustizia, che vorrebbe che la lotta contro l’omofobia si combattesse tutti i giorni, che la festa della donna fosse tutto l’anno eccetera. Sacrosanto, ma si perderebbe il focus del problema: la violenza omotransfobica (o di genere).
Istituire giornate mondiali, in casi come questi, non è una formalità, né un’occasione per celebrare la diversità (quale diversità, poi?); significa piuttosto una presa di posizione, un grido che denunci alla luce del sole le angherie quotidiane che la popolazione non eterosessuale subisce quotidianamente, i pregiudizi, le stigmatizzazioni, e anche le caricature carnevalesche dell’omosessuale, specie se maschio (è ben presente nell’immaginario collettivo l’uomo effemminato e superemotivo che dovrebbe incarnare in sé ogni gay).
L’omofobia, in Italia come in gran parte del mondo, è un modello così radicato da poter essere estirpato solo con una lotta a gran voce, solo con leggi che limitino le aggressioni, solo gesti eclatanti e spudorati. La giornata mondiale, in questo senso, così come la parata del Gay Pride, sono non soltanto giuste, ma inevitabili nel processo di cambiamento che, dobbiamo dircelo con un pizzico di orgoglio, sta avvenenendo. Giorno dopo giorno, sembrerebbe che si compia un passo in più verso il raggiungimento della parità dei diritti: non perché avvengano meno violenze o non ci sia più discriminazione, ma perché finalmente se ne parla a dovere, perché si scrivono leggi, perché si prende posizione su un palco in diretta nazionale. Oggi più che mai, proprio in base al fatto che la nostra voce arriva a un grande pubblico, bisogna resisistere e lottare. È necessario, perché non si tratta di ideologia, o di politica, ma di mera giustizia.
ENRICO PONZIO