LA MIA AMENORREA
Sono passati già 4 anni, e credo che non potrei mai più raccontare una parte della mia storia se non ci aggiungessi, ora come ora, le riflessioni fatte durante questo tempo trascorso.
Tempo che mi è servito per capire e per imparare da, probabilmente, la lezione più dura che abbia mai ricevuto in vita mia.Non parlo spesso di quando ero ammalata di anoressia e per quanto, di conseguenza, non ho avuto le mestruazioni. Ed è qui che voi direte: ma come non ne parli? e i libri? i tuoi speech?
Quando scrivo, entro in una zona protetta, mi rifugio dietro a semplici pagine con la convinzione che queste possano coprirmi, difendermi, nascondermi, da quel mostro chiamato giudizio o, peggio ancora, dalla più totale indifferenza. La stessa cosa vale nel momento in cui decido di fare uno speech, ritrovandomi ad accettare l’incarico solo se svolto in situazioni confortevoli che possano farmi sentire “protetta” dalle stesse parole che decido di usare e, a dirla tutta, dalle persone. In modo che, quello che decido di raccontare, possa essere ascoltato solo da chi ha veramente voglia di sedermi accanto, lasciandomi raccontare.
Persi le mestruazioni dopo pochi mesi di malattia. Non ero assolutamente consapevole di soffrire di anoressia nervosa, e per quanto avessi sempre desiderato avere le mestruazioni, per sentirmi più donna nel senso più etimologico del termine, quell’assenza improvvisa di vita non mi turbò affatto. L’anoressia mi aveva completamente infettato la mente, perciò conclusi il tutto con un semplice “eh, vabbè.. niente più dolore e rotture, tanto i figli non li voglio”.
Accade qualcosa di strano, quando sei anoressica. Il tuo corpo “deve” adattarsi alla tua rigidità mentale, non è altro che una cosa da sistemare, il punto numero 1 di una lista senza fine appesa al frigorifero, un imprevisto visibile che ti impedisce di essere quella che vorresti: mentalmente leggera. Come se il peso del nostro corpo, in quel momento, potesse definire quella pesantezza dell’anima che si tenta in tutti i modi di alleviare. Come se non fosse altro che una ricerca distorta e disperata di una libertà e un’ indipendenza che sembra andare ben oltre quelle semplici linee che definiscono la forma del nostro corpo.
Fu per questo che fui quasi felice di non avere più alcun legame con quella Valentina “pesante” di cui volevo disfarmi da tempo, celebrando la fine biologica di qualcosa che avevo definito male, che avevo sempre visto come un impedimento e non come un segno della salute del mio corpo e, di conseguenza, della mia mente. Volevo sentirmi diversa dalle altre donne, da tutte le altre persone, dimostrando a me stessa che la mia forza di volontà avrebbe potuto fermare ogni flusso naturale della vita.
Volevo sentirmi potente. E mi ci sentii. E così, il mio universo si sdoppiò.
La realtà mi diceva: “se non hai più le mestruazioni significa che c’è qualcosa che non va. Chiama il dottore” ma la mia mente gridava: “Sta andando tutto come deve andare”. Fu il primo segnale che il mio corpo cercò disperatamente di inviarmi, fu il primo cartello ad indicarmi che, purtroppo, mi ero persa.
Se le mestruazioni, nell’immaginario comune, denotano anche un senso di forte appartenenza al gruppo delle donne (cosa che non condivido), io non ne volevo assolutamente fare parte. Non mi ero mai sentita accettata da loro e desideravo, inconsciamente, scostarmi dalle stesse ma soprattutto da quell’idea stereotipata del femminile che, ancora oggi, tende a perseguitarci.
Come se l’assenza del ciclo, potesse aiutarmi a farmi sentire così, libera dal sessismo degli uomini ma anche da quello delle donne. Come se, l’assenza del ciclo, potesse proteggermi dalla sessualizzazione e oggettificazione continua che subivo (e subisco) continuamente dagli uomini.
Come se, l’assenza del ciclo e il raggiungimento di un corpo di bambina potesse rendermi indifferente a quello sguardo famelico maschile che riusciva a distruggere la mia anima e la mia persona. E, allo stesso tempo, potesse rendermi libera dallo sguardo invidioso e sprezzante delle altre donne.
Godevo di un vuoto colmo di rabbia che mi ero minuziosamente creata per riuscire a sopravvivere a qualcosa di reale ma più grande di me, a qualcosa sul quale non potevo avere controllo, qualcosa che mi stava letteralmente divorando dentro. Qualcosa di cui, in realtà, non avevo colpa.
“Io non sono più niente, quindi appartengo al vuoto, a quello che non c’è e che non esiste e, di conseguenza, in questo vuoto, devo crearmi una tana nella quale sopravvivere”.
Scelsi inconsciamente la via della morte, dopo essere stata rifiutata ripetutamente dalla vita.
Ricordo molto bene il giorno in cui mi tornarono le mestruazioni. Era estate, la stagione che odio di più in assoluto. Mi svegliai nella Residenza nella quale ero stata ricoverata molti mesi prima, totalmente ignara che, poco dopo, qualcosa di inaspettato avrebbe nuovamente cambiato il corso degli eventi.
Il mio corpo stava di nuovo parlando, dopo tre lunghi anni di silenzio. Quella percentuale di malattia ancora presente nel mio corpo andò completamente fuori controllo ed io ebbi una delle più grandi crisi isteriche della mia vita.
Non ero ancora del tutto guarita e accettare che il mio corpo si stesse riprendendo (e quindi tutto quel bagaglio psicologico che ho descritto prima) fu una pessima notizia per il mio disturbo alimentare.
Ricordo la nutrizionista sorpresa e sorridente, incapace di nascondere le bellezza di quel momento che io vivevo con feroce rabbia.
Fu anche stavolta, il ciclo, il primo segnale che il mio corpo decise di inviarmi per comunicarmi la sua volontà di rinascere, la sua volontà di fidarsi nuovamente di me, di essere pronto a riportarmi tutto quello che avevo tentato di nascondere.
Fu il primo mattone visibile che la realtà decise di mettere tra me e la malattia. Mattone che fu di vitale importanza nella costruzione di quel grande muro che ancora oggi mi divide da ciò che è stato. Dalle mie paure e dai miei tormenti.
Ritornare alla vita significa affrontare tutto quello che si è tentato in tutti i modi di soffocare, riappropriarsi di quel riflesso donato alle persone sbagliate. Riprendere il pieno possesso della propria vera identità, prendersi cura della propria salute, rinunciare a quell’irraggiungibile perfezione mentale e fisica che questo disturbo ti obbliga ad ottenere. Non potrei negare che quest’esperienza mi abbia cambiata nel profondo, e forse non smetterò mai di analizzarla comprendendo sempre più a fondo le diverse sfaccettature e dietrologie psicologiche che ruotano attorno a questo genere di malattie. Ma una cosa la so. E’ riuscita a svegliarmi, a rendermi molto più connessa alla realtà, alle altre persone che hanno passato situazioni simili alle mie, ai problemi che questa cultura causa alle persone più sensibili e, infine, sorpresa… alle donne.
Grazie a questo ho imparato a sentirmi donna, ma donna davvero. Indipendentemente dalle mie forme, dal mio peso, dalle mie mestruazioni. Donna nel coraggio di lottare per la sopravvivenza, donna nella voglia di raccontarlo e sensibilizzarlo, donna nell’affrontare la realtà, donna nel pianto e nello sconforto, donna nella resilienza, donna nell’aiutare e aiutarsi, donna nella sorellanza e nell’empatia, donna nella ribellione e nella ricerca della verità.
Donna nell’anima e non solo nel corpo.
Donna dentro e nel profondo.
Donna e basta.
N.B. Questo articolo è relativo ala mia esperienza. Se stai vivendo un disturbo alimentare e sei in cura, non è detto che le mestruazioni tornino sempre autonomamente. Questo non significa che il tuo corpo non si fida di te, ma è tutto molto soggettivo e relativo ai dettagli del disturbo alimentare stesso (da quanto tempo ne soffri, come, eccetera). In alcuni casi, sotto scelta dei dottori supervisori, il ciclo viene stimolato non appena il fisico e la mente sono pronti per tornare alla vita.
Non ci sono regole, ovviamente. Quindi nessun caso è “sbagliato”.
- Be patient, take care, keep go on and never give up. :)
VALENTINA DALLARI