IL SANGUE E IL SUO OPPOSTO

Da quasi un anno (tempus fugit) gli articoli, le riflessioni e i post su tutto ciò che riguarda il ciclo mestruale su questo spazio sono stati moltissimi, e la ragione pare scontata, dato l’obiettivo che noi di This Unique ci proponiamo.
Eppure, eppure, sembra che manchi qualcosa. Se la rivoluzione mestruale è un discorso che riguarda tutt*, il pubblico a cui viene sottoposto il problema è spesso e volentieri un pubblico solo femminile, così come le bocche che ne parlano, o i profili che lo diffondono.
E anche al di là dello spazio social, la problematica legata al ciclo (ai dolori, ai disagi, al prezzo degli assorbenti, all’imbarazzo e la lista potrebbe proseguire) resta relegata ai bisbiglìi pudici tra amiche, al dialogo prima o poi inevitabile madre-figlia, agli affettuosi consigli tra sorelle.


Gli uomini - intendo dire non la totalità degli essere umani ma proprio specificamente i maschi - sono (meglio dire “siamo”, per non cavarmi da un impaccio che è anche mio) allegramente esclusi da questa faccenda. Insomma, ce ne laviamo le mani, non ci riguarda, è una di quelle noie che evitiamo felicemente di porci, dato che il destino ha stabilito che fisiologicamente la cosa non ci tocchi.
Non solo.
Capita, e d’altronde è inevitabile, che di tanto in tanto noi uomini entriamo in contatto con qualcosa che riguarda il ciclo mestruale. Qualunque cosa. Succede allora che nel migliore dei casi borbottiamo qualcosa imbarazzati, distogliamo lo sguardo, ci giriamo dall’altra parte; e nel peggiore che chiediamo alla persona interessata di non parlare, possibilmente, di quell’argomento. Perché comunque è sangue, e può anche infastidire, diamine!
Questo fa da contraltare a un altro atteggiamento, ancora squisitamente maschile (mica di tutti i maschi, eh, ma insomma per capirci): e cioè la tendenza a ricondurre qualunque malumore femminile al ciclo. Qualunque. Psicologi improvvisati, analizziamo l’inconscio delle nostre amiche, ragazze o conoscenti in un batter d’occhio, ci rendiamo conto che qualcosa non va e chiediamo, quasi con una risatina: “Hai le tue cose?” 
Le tue cose. Perché comunque la parola ciclo, il sangue, fanno impressione, ed è sempre meglio censurarle. Perché anche solo nominarlo sarebbe come evocare un mostro che temiamo, che ci fa sentire improvvisamente a disagio, piccoli di fronte alla maledizione ancestrale e divina dell’altro sesso, costretto e sorbirsi mensilmente qualcosa che per noi è così lontano da parerci di un altro mondo.

La verità è che il ciclo ci fa paura, che in una donna con “le sue cose” vediamo tutte le difficoltà che non saremmo in grado di superare perché mai abbiamo dovuto farlo.  E allora reagiamo come reagiamo, imbarazzati, a disagio, del tutto fuori luogo. Perché il ciclo è un tabù. Perché le stesse pubblicità degli assorbenti, in televisione, censurano il colore del sangue e architettano articolati giochi linguistici per evitare di ferire la sensibilità di qualcuno. Del ciclo, tra i maschi ma in generale in pubblico, non se ne parla, non va bene, non è argomento da affrontare ancora oggi, nell’epoca in cui si affronta e si parla di tutto. Anche al bar, tra i discorsi più bassi e beceri (e ben vengano anche quelli) il ciclo è troppo basso, troppo becero. E non parlo del ciclo della sconosciuta, ma anche di quello della propria ragazza, con cui in quei giorni non si fa sesso, perché va bene tutto, ma quello fa anche un po’ schifo.


Abbiamo paura del sangue. Non parlo soltanto di noi maschi (capisco che forse sia troppo generalista come categorizzazione), parlo di noi in quanto società. Generalmente, il primo sentimento che le ragazzine provano nei confronti del primo ciclo è la vergogna, come fosse uno stigma. Dall’altro lato, i ragazzini entrano in contatto col ciclo del tutto impreparati, e tali restano per buona parte della vita, se non per tutta.
La società non fa nessun tentativo di normalizzare la cosa, non se ne parla, e quando se ne parla lo si fa soltanto come freddo fattore fisiologico, letto a scuola su un libro di scienze tra qualche battuta e qualche risatina. Il risultato è un rifiuto incondizionato ad accettare il sangue da parte di quella metà della popolazione che il sangue non lo perde, e un senso di imbarazzo e pudore da parte di quella che invece, ahi lei, lo perde.
Non è di per sé colpa del maschio se è intimorito dalle mestruazioni; né tantomeno della femmina se ne prova vergogna. La colpa è del tabù che la società costruisce, ancora troppo conservatrice e bigotta per aprirsi a quel che ha sempre reputato impuro, e troppo orgogliosa per ammettere la forza indomabile delle donne nell’affrontare il ciclo, con tutti i dolori - fisici e psicologici - che questo comporta a seconda dei singoli casi. La forza delle donne, appunto, che è in sé inaccettabile. Perché è un’antitesi, un paradosso: perché la donna, si sa, è il sesso debole.

ENRICO PONZIO




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