C’è ancora domani

Diretto. Il bianco e nero ci riporta a un’epoca oramai lontana e mai dimenticata. Quella concezione della donna non sarà mai veramente superata finché rimarrà, anche solo un uomo che considererà la propria moglie o fidanzata, ma anche madre o sorella, come mera carne capace solo di cucinare o di badare ai propri figli.

Devastante. Paola Cortellesi non si inventa nulla. Al suo esordio alla regia, ora da definire con il botto, racconta un’altra storia basandosi, però, su quelle che si è sentita raccontare. Impossibile non sentirla, impossibile non uscire da quella sala devastati per quanto visto.

Geniale. Raffinato. Rispettoso. Tantissimi sarebbero gli aggettivi che descriverebbero appieno questo film, ma soprattutto questi sono quelli che più rispecchiano il senso di quanto portato in scena. Perché Paola Cortellesi lo sapeva, sapeva di dover rispettare in ogni modo possibile ogni donna che sarebbe andata a vedere il suo capolavoro. Ed è così che porta in sala due delle scene più belle del cinema italiano. Con genialità e rispetto nei confronti delle donne, che potevano ritrovarsi nei panni di Delia, Paola Cortellesi porta in scena la violenza con ferite che compaiono e scompaiono come per magia, sulle note di “Nessuno” della grande Mina. 

Essere picchiata per Delia, come per molte altre donne, era la routine. Loro sapevano che sarebbe successo prima o poi, tanto che era normale pronunciare parole come “Visto? E’ tutto risolto”. Quella routine era semplicemente normalità, così come era normale giustificare un gesto perché si aveva “il difetto di rispondere”.

Pure qui però la Cortellesi non si inventa nulla. Non è affatto raro giustificare un comportamento, un gesto o una parola. I motivi sono tanti, ma la costante è la paura di subire ancora più, di non essere creduti, o di esserlo e poi essere perseguitati. Se un giorno poteva andare tutto bene, il giorno dopo lo zucchero poteva essere nella parte sbagliata della tavola. Le patate potevano bruciarsi, e i pasticcini potevano cadere a terra. Non importava ciò che sarebbe capitato, la cosa certa era che le conseguenze andavano pagate, facendo finta di nulla, pensandoci la sera davanti ad uno specchio, consapevoli che il giorno dopo sarebbe ripartita la stessa sinfonia. Proprio come un disco rotto, come mettere su un disco per cenare in famiglia. Prima o poi finisce, lo rimettiamo dall’inizio e riparte quella canzone che, come Delia, non possiamo non ballare.

Verrebbe da definire quello attuale un momento delicato, un momento in cui un film così lo sentiamo più che mai. La realtà però è che non è il momento a differenziare i sentimenti che si provano di fronte a una pellicola del genere. La verità è che il momento per sentirsi vicino a donne come Delia è eterno. Ogni 72 ore circa. Sperando che 72 ore dopo non sia il nostro turno. Sperando che il nostro non arrivi mai, preoccupate nel frattempo di uscire dall’ufficio e di arrivare in auto. Con quel telefono sempre all’orecchio fingendo una chiamata, e girandosi ogni tanto per vedere chi c’è dietro. Non è questo il caso che racconta Delia, ma la costante è la paura e quella arriva in ogni situazione, indipendentemente da cosa si sta vivendo. 



Magari è esagerato. Non tutti gli uomini sono patriarcali, non tutti gli uomini sono maschilisti o violenti. E questo, fortunatamente, è più vero che mai. E’ anche vero che gli stessi pregiudizi ci ingannano per tutto il film.

È questo che ha fatto Paola Cortellesi, non è colpa della sceneggiatura, forse uno scambio di battute con la divina Emanuela Fanelli, a cui va un encomio per l’interpretazione, durante una tranquilla mattinata al mercato, ma niente più. Gli spettatori più attenti avranno infatti visto le scritte sui muri dietro Delia ad ogni suo passeggio. Paola ce l’ha detto più volte cosa voleva veramente. 

Guardate questo film con gli occhi di un figlio, guardatelo con gli occhi di chi queste cose le ha subite in maniera passiva, da genitore è facile vederlo e sentire il bisogno di dare ancor più protezione. Da figli no, per noi i genitori ci impediscono di essere felici. Immaginate di essere Marcella che, seduta in sala, vede cosa ha fatto per lei sua mamma e state in silenzio. Perché così a bocca chiusa, ma a mente ferma, si conclude un capolavoro meritevole di Oscar, davanti agli occhi di un marito inerme, interpretato magistralmente da Valerio Mastandrea.

 

DEBORAH FIORUCCI




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