Parliamo di grassofobia con Lara Lago

La giornalista, autrice del libro “Il peso in avanti”, si impegna da anni nella lotta contro la grassofobia e gli stereotipi che riguardano i corpi grassi

La grassofobia è all’ordine del giorno: siamo immersi in una società pregna di cultura della dieta, di modelle magrissime e che discrimina e isola le persone grasse in ogni ambito, dal lavoro, alla scuola, al campo medico. Il corpo grasso viene visto come un corpo colpevole, malato, che bisogna “migliorare” a priori, quando non è così.

Un racconto che vale la pena leggere e che vi invito a leggere è “Il peso in avanti”,   

dove Lara Lago ci parla delle sue esperienze, all’estero e non, e di come tutto questo abbia portato all’inizio di una storia d’amore col proprio corpo. Quando Lara si ritrova ad Amsterdam per lavoro, realizza che lì non solo regna la meritocrazia, ma il suo corpo, il modo in cui si veste, si trucca, non sono più rilevanti. Finalmente è libera di essere se stessa, senza usare il corpo come strumento.

Ho chiamato Lara per approfondire insieme le diverse sfaccettature della grassofobia.

 

Nel tuo libro “Il peso in avanti” parli  della tua esperienza lavorativa all’estero: alla luce di questo, come pensi debba cambiare il contesto lavorativo italiano?

Uno dei problemi, sempre relativo ai corpi, è che tante aziende, tante realtà implicano la partecipazione della tua immagine: anche se siamo nel 2023 non mancano gli annunci di lavoro con “richiesta di bella presenza”, oppure ci sono catene di intimo dove richiedono alle commesse di lavorare sempre con i capelli sciolti, di non farsi la coda, perché non dai l’immagine di sensualità ed eleganza del brand.

Nel mio libro racconto infatti che la mia sensazione era che il mio corpo, soprattutto quando lavoravo nel giornalismo locale, fosse uno strumento di lavoro così come lo era il mio computer. Se viviamo in una società patriarcale come la nostra, il corpo femminile è più bello (il cosiddetto pretty privilege): più sono bella, più l’estetica mi apre delle porte. Come risolvere la questione? Non dando importanza all'esteriorità e non pensando che esista un physique du rôle per fare un determinato lavoro.

Per un periodo ho lavorato come anchorwoman, leggevo le notizie al telegiornale, ma vi invito a pensare: quante persone grasse avete mai visto in televisione? Le giornaliste che vediamo sono sempre belle, non portano solo notizie, ma lavorano col proprio corpo.

 

Il cambiamento potrebbe partire educando le nuove generazioni, partendo dalla scuola, ad esempio. Come pensi si possa fare?

Nell’ultimo anno mi sono successe due cose: una è che tante mamme mi hanno scritto, per esempio: “Mia figlia ha 5 anni ed è tornata da casa piangendo dall’asilo perché le hanno detto che è grassa” e mi chiedono consiglio su come deve rispondere alla bambina . Il consiglio che do è sempre quello di normalizzare e rendere naturale il più possibile una condizione fisica. Se alla bambina dicono “sei grassa”,  che lei risponda: “Si, sono grassa”, se è davvero così, così come tu hai capelli marroni o tu sei alto o sei basso.. è una caratteristica del mio corpo”. Bisogna togliere la connotazione negativa e oppositiva alla parola grasso e ridurla ad aggettivo che descrive il mio corpo.

L’altra cosa mi è successa quest’anno a dicembre: l’incontro con una scuola di Verona nel quale abbiamo parlato di grassofobia e bullismo in un teatro, di fronte a una platea di 400 persone con ragazzi dai 12 ai 16 anni circa. Alla fine dell’incontro ho fatto girare una boule dove loro hanno scritto delle domande anonime scritte a penna. Una che mi è rimasta in mente è stata: “Come non sentirmi in colpa dopo aver mangiato”, la mia risposta è stata: “Cosa succede se non mangi? Muori. Quindi perché sentirti in colpa per un qualcosa che fa parte del tuo sostentamento?”, dentro questa domanda c’è del giudizio, è molto più che grassofobica la cosa, può essere il campanello d’allarme per un disturbo alimentare. Ci vuole un dialogo costante, bisogna normalizzare i giudizi, farli passare da giudizi ad aggettivi.

 

Il dialogo dovrebbe avvenire in primo luogo con le famiglie, perché spesso possono essere i primi antagonisti nel percorso di accettazione del proprio corpo. Qual è stata la tua esperienza con la tua famiglia?

Invidio molto i bambini di questa generazione, perché le mamme hanno un pensiero più privo di stereotipi rispetto, ad esempio, mia madre. Prima di questi temi non se ne parlava, ma era tutto un grasso=malato, ed era tutto un “ stai attenta, non mangiare questo, non mangiare quello”. Io a 16 anni ho fatto la mia prima dieta dal nutrizionista e all’epoca non ero una bambina grassa, ma ero super bullizzata perché ero più grassa delle mie compagne, ma ero una 46-48. Oggi porto una 52. Io non mi sarei messa a dieta se ai tempi mi avessero detto:  “Tu hai un corpo più grande rispetto alle tue compagne di classe. Accettalo”. Ai tempi facevo nuoto, ginnastica artistica, ma avevo comunque un corpo diverso dalle altre. Mia mamma mi faceva spaccare di sport, ma- spoiler- il mio fisico non cambiava. Invece, quando ho espresso il desiderio a mia madre di voler fare la dieta, è stata subito d’accordo e sono entrata nella spirale delle diete, che ho continuato fino a 27 anni. La domanda che mi faccio ad oggi è: che cosa sarebbe successo al mio corpo se avessi lavorato per il mio corpo e mai contro, se non avessi lavorato per 11 anni con tutte le mie forze per cambiarlo, non riuscendoci, perché la sua forma è sempre tornata fuori. Il mio corpo è molto più stabile adesso che non cerco più di cambiarlo, perché il peso naturale alla fine si assesta, così come lo era il mio peso a 16 anni. Mi fa molto ridere quando parlo di grassofobia in ambienti che non hanno mai sentito parlare dell’argomento e mi chiedono sempre: “Ma tu non ti vorresti mettere a dieta?”. Io penso di avere il mio corpo anche per le diete che ho fatto.

 

Quali pensi siano quelle violenze invisibili che le persone grasse subiscono nel quotidiano? 

Noi persone grasse viviamo delle microaggressioni e microviolenze tutti i giorni. Io per quieto vivere ho cercato di non pensarci, di accettarlo come dato di fatto. Quando ho iniziato a studiare maggiormente l’argomento ho pensato a degli eventi del passato, di quando avevo 15 anni, ma di cui non ho un ricordo così positivo. Ad esempio, nell’ambito delle relazioni il ragazzo che ti chiede di uscire, ma non lo dice in pubblico, e gli amici che gli chiedono se la porti al cinema, lui risponde: “No, perché devo prendere due posti”. E tutto questo mi fa ridere perché ai tempi ero una 46 di taglia.

Il discorso relazionale riguarda anche le app di dating, dove alcuni dicono palesemente “no persone grasse”: di recente sono uscita con un ragazzo qualche mese fa che diceva: “Il tuo corpo piace molto”- senza capire che era una cosa problematica- come a dirmi “non più di così”. Poi passa una ragazza più grassa di me e dice: “lei per esempio è un pupazzo di neve” e io chiedo: “In che senso?” e lui: “Perché ha la palla della testa, la palla della pancia e la palla della parte sotto”, e questa per me è una microaggressione e stai criticando il corpo di una donna, mettendo un parametro, e so che negli anni ci penserò ancora.

Altre violenze nei negozi: io non posso provarmi i vestiti nei negozi perché non c’è la mia taglia. Posso pure comprare dei jeans online e fare il reso con alcuni, ma è una cosa poco sostenibile e nei negozi non posso trovare molto.

Poi c’è la grassofobia medica: il corpo grasso è l’origine di tutti i mali, anche se io sono stata fortunata (questo lo dico anche nel libro) quando ero preoccupata del mio peso il mio medico di base mi disse: “Tu stai bene? Sì”. “Hai scompensi? No”. “Ti senti che hai male da qualche parte? No”. “Allora non preoccuparti”. Però in altri contesti, tipo sei lì per una visita ginecologica e ti dicono: “Però dovresti dimagrire”; la cosa del peso aleggia e si riduce spesso a un “prima perdi peso, poi parliamo della patologia”.

Altre microviolenze le si hanno quando si deve viaggiare: ad esempio, se hai un corpo infinifat (corpo che supera la XXXXXXL, ndr) puoi viaggiare solo in prima classe.

Anche nella moda, va bene se il corpo è curvy, con un rotolino, Vanessa Incontrada è accettata, ma se è il corpo di “The whale”, il film, no. “Se sei così è colpa tua” non la levi a nessuno come idea.

 

ANTONELLA PATALANO




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