La sottomissione delle donne è un fatto naturale?

Ero una bambina eppure capivo il rispetto delle regole. Sono sempre stata sottomessa alle leggi umane. C'erano divieti dappertutto, in casa con la mia famiglia, a tavola davanti al mio piatto preferito, a scuola quando dovevo stare attenta a parlare d'impeto perché dovevo ricordarmi di alzare la mano. È sempre stato doveroso chiedere permesso, scusarsi, forse anche redimere il peccato di essere al mondo. 

E un bel giorno, nel luglio strano dei miei dieci anni, in un campo scout lontano da casa, è arrivata la prima mestruazione. Non sapevo nulla di come funzionasse il mio corpo, pensavo solo di essermi guastata, anche se una parte di me nel silenzio innocente del bagno delle femmine sentiva che quella cosa prima o poi doveva accadere: ero sottomessa anche dalla natura, ora il mondo mi aveva completamente. 

Mi sono sempre sentita così, un corpo basso, nel senso più vicino possibile alla sconfitta, all'oppressione. Tutto ha contribuito a farmi sentire una femmina sottomessa. Le regole non le potevo fare io, mai. Non restava altro che obbedire. 

Ho cercato di trovare allora, in anni più dissennati che piacevolmente incoscienti, un ruolo alla sottomissione. Un ruolo che per qualche attimo potesse ribaltare il gioco, in cui la spettatrice poteva per qualche minuto divenire protagonista, dire la sua battuta su un palco illuminato e prestigioso e poi tornare all'ombra da cui era sbucata. 

Quel ruolo per me l'ha avuto il desiderio. Sordido, liquefatto, tortuoso, scriteriato, casuale, il mio desiderio di giovane donna andava a tentoni tra corpi senza nome, sentimenti senza definizioni, sere senza raccapriccio. Fin quando l'ho trovata lì, quella sensazione pulsante e aberrante, che da diavolo diventava angelo e da mappamondo si faceva mappa: la sensazione del piacere che invade il corpo. Procurata sottomettendomi. 

È così che è iniziato il mio viaggio interiore alla ricerca dell'origine della mia sottomissione. Sottomissione di bambina, di giovane donna, di ragazza, di adulta. Sottomissione di figlia, di studentessa, di amica, di lavoratrice, di fidanzata. Sottomissione al sistema, alla società, alla cultura che non mi sono scelta. 

È per questa ipocondriaca innocenza della mia anima, che vuole dare un nome alle cose che prova, che ho voluto leggere 'Sottomessa non si nasce, lo si diventa' di Manon García. Di lei avevo letto anche 'Di cosa parliamo quando parliamo di consenso' e mi aveva dato buoni spunti su cui poter ergere le mie riflessioni. 

Ho capito che quella sottomissione di cui parlo, che poco sopra definisco innata, scorgo essere ancestrale, quasi pura o ontologica, meschinamente definitrice, è la sottomissione che sentono tutte le persone socializzate donne. 

La causa è nel sistema patriarcale che da tempo immemore ormai continua a definire le nostre esistenze, creando squilibri di potere tra generi, inserendo quelle consuetudini che io oggi sento come un'appartenenza.

Manon García si chiede: noi donne siamo sottomesse per natura? In altre parole: fa parte della natura della donna stessa l'inclinazione alla sottomissione? 

Per dimostrare la sua tesi García utilizza tutte le principali teorie filosofiche occidentali e ‘Il secondo sesso’ di Simone de Beauvoir, qui considerato un testo filosofico con una qualità di pensiero inaudita per i tempi in cui è stato scritto. Lo scopo ultimo è solamente quello di analizzare la sottomissione delle donne agli uomini (con una limitazione alle donne che vivono in Occidente e negli Stati Uniti) per comprendere il modo in cui le gerarchie di genere hanno modellato e continuano a modellare le esperienze delle donne.

García arriva a dimostrare, come precedentemente aveva fatto De Beauvoir, che la donna è situata in un certo contesto dove ad essa sono prescritte delle norme da rispettare, tra cui la sua sottomissione al potere e alle logiche predominanti (maschili).
Analizzare la sottomissione è complesso perché bisogna unire la sfera personale e quella collettiva. Inoltre, intendere la sottomissione come una conseguenza della cultura diffusa permette anche di ripensare la questione del consenso, anche in ambito sessuale. 
Ad oggi sappiamo che tutte abbiamo acconsentito alla sottomissione in diversi ambiti della nostra vita e possiamo ammettere in serenità che essa è una situazione contraddittoria, non facile da riconoscere, da decostruire. Sappiamo anche che avere atteggiamenti sottomessi non significa rinunciare alla libertà ma avere una reazione passiva, che potrebbe trasformarsi nel suo contrario. 

Oggi so che la sottomissione che provo è generata, che la mia mente e il mio corpo sono prigioniere di una gabbia invisibile contro cui sferro colpi di ascia ogni giorno, sperando di romperla.

Alcuni giorni mi metto seduta e osservo l'invisibile: quelle catene che mi ancorano a terra, che prendono le forme di voci nella testa e di emozioni stagnanti, mi dicono: non puoi, non devi, resta al tuo posto. 

Altri giorni metto a soqquadro il mio desiderio: cosa voglio e come lo voglio: forza, rispondi. In nessuna vita umana possibile vorrò mai più sentirmi così, in colpa per un corpo, in colpa per un desiderio, in colpa per essere stata una bambina senza regole e una donna adulta senza costruzioni. 

Sottomessa non si nasce, lo si diventa: è una fortuna poter praticare la strada al contrario. Voltarsi e saper riconoscere il paesaggio, stavolta la strada sarà meno lunga.

Ci sono passate donne e donne prima di me, alcune morendo alcune vivendo, e io non starò a guardare la geografia cambiare: cambierò prima me. Poi te. Poi tutte insieme fino al ritorno. Marciando come partigiane resistenti. Verrà il nostro aprile. 

CLARA MARZIALI




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