Neuroscienze, bias culturali e altri miti duri a morire
Introduzione
“Le donne sono più emotive, gli uomini più razionali.” Quante volte abbiamo sentito queste affermazioni? Ma cosa c'è di scientifico dietro queste generalizzazioni? Le neuroscienze contemporanee offrono una prospettiva diversa, smontando i miti sul cervello “femminile” e rivelando come i bias culturali influenzino la nostra comprensione dell'identità.
Cervelli diversi o stereotipi travestiti da scienza?
Per decenni, la ricerca neuroscientifica ha cercato di identificare differenze significative tra cervelli “maschili” e “femminili”. Tuttavia, una svolta importante è arrivata con uno studio del 2015 pubblicato su PNAS, che ha analizzato oltre 1.400 cervelli umani e concluso che la maggior parte presenta una configurazione “mosaico” di tratti, alcuni più comuni nei maschi, altri nelle femmine, ma nessuno completamente univoco (https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.1509654112).
E non si tratta di un caso isolato o superato. La ricerca scientifica successiva va decisamente nella stessa direzione. Studi pubblicati tra il 2021 e il 2024 continuano a smentire l’idea di due cervelli distinti. Una meta-analisi ha dimostrato che le differenze strutturali tra cervelli di sesso diverso si ridimensionano una volta controllate le dimensioni cerebrali totali (https://neurosciencenews.com/). Altri lavori, come quello pubblicato su Nature Communications, sottolineano come le configurazioni cerebrali “androgine” – che sfuggono alla logica binaria – siano associate a migliori indicatori di benessere emotivo e cognitivo (PMC).
In breve: il consenso scientifico si sta muovendo in modo netto verso una visione più fluida, complessa e non deterministica del cervello umano. Parlare di “cervello femminile” oggi non è solo riduttivo: è scientificamente sbagliato.
Bias culturali: quando la scienza conferma gli stereotipi
Il termine bias si riferisce a un pregiudizio sistematico che può influenzare la raccolta e l'interpretazione dei dati. Nelle neuroscienze, i bias culturali possono portare a interpretazioni distorte dei risultati, confermando stereotipi di genere preesistenti.
Gina Rippon, neuroscienziata cognitiva, ha coniato il termine “neurosexism” per descrivere l'uso improprio della neuroscienza per giustificare differenze di genere non supportate da dati scientifici solidi (en.wikipedia.org).
L’identità: un costrutto dinamico e relazionale
L'identità di genere non è determinata esclusivamente dalla biologia. È un costrutto complesso che emerge dall'interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali. Le aspettative culturali, l'educazione e le esperienze personali giocano un ruolo cruciale nella formazione dell'identità.
Come sottolinea Rippon, “le esperienze guidano l'architettura del nostro cervello” (time.com). Ciò significa che l'ambiente in cui cresciamo e le interazioni sociali influenzano profondamente lo sviluppo del nostro cervello e, di conseguenza, la nostra identità.
Conseguenze pratiche: oltre i miti per una società più equa
Attribuire differenze comportamentali o cognitive a presunte differenze cerebrali innate tra i sessi può giustificare disuguaglianze e limitare le opportunità. È fondamentale riconoscere che molte delle differenze osservate sono il risultato di influenze culturali e sociali, non di determinismi biologici.
Ad esempio, la sottorappresentazione delle donne nelle STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) è spesso attribuita a differenze innate, ma studi dimostrano che le aspettative culturali e le opportunità educative giocano un ruolo più significativo.
Conclusione
Il concetto di un “cervello femminile” distinto da quello maschile è più un mito che una realtà scientifica. Le neuroscienze moderne ci invitano a superare queste semplificazioni e a riconoscere la complessità dell'identità umana.
Riflettiamo: quali convinzioni abbiamo interiorizzato riguardo alle differenze di genere? E come possiamo contribuire a una comprensione più accurata e inclusiva dell'identità?
Nota: Per approfondire, si consiglia la lettura di “The Gendered Brain” di Gina Rippon e “Delusions of Gender” di Cordelia Fine.
LUCIA SCARANO